Uno degli effetti perversi della quarantena, l’abbiamo notato in molti, è stato il proliferare dei contenuti. Tutti si sono sentiti in grado, quasi in dovere, di dare il proprio contributo all’informazione e all’approfondimento. Ma questo è il paese del Nome della rosa, e il libro sulla commedia sembra trascurabile a tutti, mentre il libro della tragedia è fondamentale.
Così molte forme di intrattenimento hanno puntato sul pensoso mettendo la leggerezza in secondo piano. (Lo sappiamo, per non sentirci in colpa, leggerezza deve essere completata con “lezioni americane” e Calvino, così da scongiurare il senso di colpa). Siamo finiti, in breve, sopraffatti dalla stessa mole di chiacchiere che producevamo sul coronavirus.
E l’effetto è stato che invece di approfondire finivamo sbattuti come banderuole. Sembrava credibile che le cure arrivassero dalle catene whatsapp piuttosto che dagli studi clinici, il Presidente del Madagascar suggeriva l’uso di un’erba e altri studi venivano intrapresi a furor di popolo.
A intrattenere davvero, però, ci hanno pensato in pochi, al punto che, quasi in mancanza d’altro, la politica si è messa a intrattenerci davvero, inventando tutto l’armamentario di pagliacciate che abbiamo ridicolizzato nelle passate settimane. D’altra parte l’unico vero contributo che abbiamo dato al mondo dello spettacolo “Tu viaggerai questa estate?” negli ultimi anni è che siamo il paese che in mancanza di uno star system si è inventato i politici come star system, sovrapponendo e mischiando i piani. Tra i pochi che, invece, hanno provato a sperimentare con efficacia un formato nuovo, Fabio Volo, con il suo Orchite su Instagram.
Ti sembra esagerato dire che siamo tornati alla vita di prima, solo con le mascherine che ci penzolano dal viso?
Secondo me non si torna più alla vita di prima. Tornare alla vita di prima sarebbe un’occasione persa, e sarebbe anche una tragedia inutile, visto che ci sono stati tanti morti. Questo virus si può analizzare sotto tanti punti di vista, ma – senza mancare di rispetto a chi ha sofferto o ha perso qualcuno di caro – può darci l’occasione di rivedere le cose sbagliate che facevamo come automatismi. Nella vita tutto ciò che ti butta fuori dalla vita, qualsiasi imprevisto – Gurdjieff lo chiamava “shock addizionale” – tutto ciò che ti butta fuori dalla routine e ti permette di guardare le cose da un’altra prospettiva e quindi farti vedere delle cose che non vedevi, merita di essere preso in considerazione. È come se questo virus ci avesse buttati fuori dalla macchina, e noi avessimo finalmente visto che le gomme erano tutte e quattro a terra. Adesso, essere così ossessionati dal voler risalire a tutti i costi sulla macchina e schiacciare l’acceleratore come prima mi sembra una follia. Dal punto di vista personale ho intenzione di attuare dei cambiamenti nella mia vita perché questa situazione mi ha fatto vedere delle cose che sospettavo, ma non avevo il coraggio di affrontare, mentre adesso le ho viste. Immagino che per la società sia diverso, le grandi industrie o i grandi capitali vorranno tornare “al prima”, ma per gli esseri umani è una grande occasione per ripensare al proprio stile di vita.
Durante la quarantena eri tra chi credeva che la difficoltà ci avrebbe reso persone migliori?
È un modo di dire che esiste da prima della pandemia. Si è sempre detto: quello lì è stato molto malato, poi è guarito e adesso è diventata un’altra persona. Io penso sempre che queste cose siano delle occasioni, ma non tutti sanno cogliere le occasioni. C’è chi ha un certo grado di consapevolezza, riesce ad analizzare l’imprevisto e capisce che bisogna realizzare un cambiamento perché è l’occasione per farlo. Ma non è automatico, nessuno diventa migliore perché sopravvive a un tumore o alla pandemia di coronavirus. I latini dicevano che l’abitudine è una seconda natura, nel senso che ognuno di noi ha una natura che dovrebbe seguire. Mentre l’abitudine è una seconda natura perché invece di seguirla tu la esegui: l’abitudine ti fa eseguire la vita, non te la fa vivere. Adesso siamo stati costretti tutti a fermarci a riflettere su quale sia la nostra natura e quale sia l’abitudine… Ricordo che andavo in palestra e lì dicevano: “Sai che chiudono la palestra per una settimana” e la gente gli rispondeva: “Ma figurati se chiudono la palestra per una settimana”. Poi dicevano “chiudono Milano” e ti ridevano in faccia, poi “chiudono la Lombardia”, e tutti rispondevano “ma sì, figurati”. E poi hanno chiuso tutto. Ma due mesi fa era fantascienza.
Non trovi che la quarantena abbia chiuso molti ancora di più nella propria bolla e quando hanno ricominciato a uscire avevano ancora più rabbia?
Sono aumentate le paure e di conseguenza è aumentata anche la rabbia. Perché la rabbia è sempre legata a quanto ti senti minacciato o spaventato e hai paura. La rabbia verso qualcuno cresce perché pensi che ti possa rubare il lavoro, o fare del male, o perché credi che non ci sia posto per te, per i tuoi bisogni e le tue necessità. C’è stato quel momento, all’inizio, in cui cantavamo dai balconi, lì mi ero illuso che alla fine della pandemia saremmo stati tutti più uniti. Che fosse davvero come la livella, non ci fossero più Nord, Sud, Juve, Inter, Milan, Roma. Ma poi, andando avanti, abbiamo smesso di cantare sui balconi, abbiamo capito che la cosa era meno goliardica, anzi era molto seria e abbiamo cominciato a spaventarci. E poi quando è arrivata Silvia Romano e abbiamo scoperto che era diventata musulmana, lì ho capito che non era cambiato niente, perché in una frazione di secondo il pregiudizio, il fastidio, l’odio sono usciti con la stessa quantità di prima.
Il corteo delle bare a Bergamo, il Papa in piazza San Pietro totalmente vuota, non ti sembrano scene già lontane?
Oltre alla routine è saltata anche la dimensione temporale. Il tempo si è dilatato moltissimo. Penso ai primi giorni di quarantena e ho la sensazione che fossero due anni fa… Molto dipende anche dal fatto che sui mass media si è parlato solo di questo. Non c’era nient’altro nella vita: c’era solo il coronavirus. Invece una cosa che ho imparato negli anni è che, anche nei momenti di paura e di angoscia, un’arma di sopravvivenza è smettere di continuare a parlare di quel tema, ma introdurre dei momenti di leggerezza. Cosa che invece non ha fatto praticamente nessuno. Io ho avuto il desiderio di realizzare questa specie di programma televisivo che ho messo su Instagram, Orchite, proprio perché credevo fosse necessario, in una giornata, almeno un momento, almeno un’ora, per ricordarsi che la vita è anche altro. E la gioia di vivere è l’antidoto ai momenti negativi. Non voglio metterla sul punto di vista spirituale, ma è così anche dal punto vista biologico. Il cervello quando produce dei pensieri negativi ne diventa addicted e così quando lo stimolo non gli arriva dall’esterno, lo produce dall’interno, perché ha bisogno di produrre quelle sostanze nonostante lo facciano stare male. È come un sasso che cade dalle montagna.
Tra le cose di Orchite che hanno avuto più successo c’è il collegamento che hai fatto con le infermiere di Brescia. Per settimane li abbiamo chiamati eroi, ma le aggressioni nei pronto soccorso sono già ricominciate.
Infatti io non andavo da loro a dirgli che erano degli eroi, che salvavano delle vite, perché glielo dicevano già tutti. Andavo da loro a fare il karaoke. E poi nessuno è “eroe”, sono degli esseri umani meravigliosi, che prima non consideravamo per nulla, erano sottopagati, e poi, quando ci sono serviti davvero, sono diventati dei supereroi. Dire a qualcuno che è un eroe mentre, fino al giorno prima, quella persona non era niente per te, di fatto ti permette di dire che il giorno dopo, quando non ne avrai di nuovo bisogno, quella persona tornerà a non contare nulla.
Durante la quarantena, ti sei molto adoperato per dare conforto al pubblico, invece come ti pare che abbiano reagito i canali più ufficiali?
Hanno battuto soprattutto sull’informazione e mai sul conforto. E poi, per non ripetere la stessa cosa che aveva detto l’altro programma, in molti hanno fatto a gara a chi la sparava più grossa. Ancora una volta c’è stata questa voglia di rimescolare nel torbido, che è una cosa che ho sempre odiato… Ci sono delle persone che mostrano una sofferenza, ma se osservi bene il linguaggio del corpo, l’intensità, sembra quasi che siano contente che è successo qualcosa, perché eccita la redazione. Come quando esplode una bomba: sono tutti dispiaciuti, sicuro, ma, allo stesso tempo, le redazioni esplodono, c’è movimento, c’è una corsa alla ricerca dell’ultima notizia e dell’ultima indiscrezione. Io provo a non andare verso quella cosa lì perché mi occupo di intrattenimento più che di informazione, ma mi accorgo se c’è qualcuno a cui piace mettere le mani nel fango e rimescolarlo.
Tu avevi molto incalzato la politica, già nel 2017, perché realizzasse lo ius soli. Vedere dei parlamentari che si inginocchiano ti sembra una trovata o hai più fiducia stavolta?
Credo che la difficoltà seria in questo momento non sia la destra o la sinistra, o inginocchiarsi o stare in piedi. Purtroppo è passata questa cultura dell’approvazione e del consenso che è la ragione della devastazione totale del paese. C’è una campagna elettorale continua per cui a ogni azione o frase o decisione corrisponde una risposta aggressiva e populista. Allora chi ha cominciato fa una cosa ancora più populista… Io ho due figli maschi e ho una compagna. Se volessi il consenso dei miei figli e ottenere il loro consenso più di quanto ne ottiene la mia compagna, potrei far scegliere a loro cosa vogliono per cena. Loro mi direbbero pizza, gelato o pasta, come mi dicono sempre. Io so che la pizza o la pasta non gli fa bene sempre, ma potrei dargliele e in quel modo diventerei il loro preferito. Quando se insisto su delle cose tipo i broccoli lo faccio perché so che, in quel modo, loro avranno un giorno un corpo più sano, forte e resistente. Il nostro problema è che i nostri politici ci danno continuamente la pizza. Non c’è un leader o un politico coraggioso, ma bulli di paese. Nessuno che abbia il coraggio di compiere scelte impopolari.
A proposito di format, il premier Conte ha ideato questi Stati generali, e li ha annunciati dicendo che ci saranno tanti “ospiti d’eccezione”.
Come a Sanremo: “non vi posso ancora dire, ma ci sarà un grande ospite alla quarta serata”…
Nel Regno Unito, da oggi, non ci sarà più quello che era stato definito il “sex ban”, in pratica i non conviventi potranno incontrarsi di nuovo in casa di uno dei due. Sembra assurdo che la politica abbia di nuovo potuto mettere bocca su argomenti del genere.
Da noi erano gli affetti stabili. E abbiamo chiesto davvero ai poliziotti, come si scriveva su internet, di diventare guardiani e stabilire quanto volevi bene alla ragazza o al ragazzo che andavi a trovare. È una cosa in cui i politici si sono ritrovati così impreparati, ed era tutto così assurdo che non sono stati più capaci di definire un confine intorno all’assurdità delle cose. Faccio un esempio: mio figlio sta facendo i compiti a casa perché le scuole sono ancora chiuse, però hanno riaperto le scuole calcio. Le persone, la mattina, non vanno a lavorare perché hanno i bambini in casa come me, qui, con mio figlio, a fare i compiti, però Salvini va in piazza e si toglie la mascherina in mezzo a migliaia di persone… al bar puoi andare, ma non puoi stare al bancone, però puoi star seduto… a un certo punto hanno cominciato a fare tutto a caso.
È facile fare questa battuta però continua a essere vera: riaprono le discoteche, ma le scuole sono ancora chiuse. E, oltretutto il dibattito politico sulla scuola, ha riguardato come si scriva plexliglass.
Sì, hanno litigato per una “s”. Scemo chi legge e chi lo dice sa di esserlo. Quelle cose lì.
Tu sei particolarmente legato al viaggio. È evidente sia nei tuoi libri che nella tua vita, almeno la parte che condividi sui social. Quanto il covid cambierà il nostro modo di viaggiare?
Io sono stato a casa dall’inizio, e anche durante la fase due perché non avevo motivo di uscire. In questi tre mesi sarò uscito tre volte a fare la spesa e potrei stare in casa altri due mesi perché non mi pesa per niente. Ma la cosa che ho sofferto di più è la facilità del viaggio. A me piace viaggiare e, abitualmente, ogni due mesi vado a New York o a Londra, o a Ibiza o a Roma, perché ho amici sparsi in tutto il mondo e ho le mie routine e il mio modo di vivere. Ho avuto la fortuna, l’anno scorso, di fare un lungo viaggio in giro per il mondo.
Viaggerai questa estate?
Intanto io vivo a Milano e adesso sono io quello non voluto. Bisogna vedere come reagiranno quando dirò che arrivo da Milano. Prima era quasi un vanto, adesso dovrò dire di essere di qualche paesino sperduto perché siamo noi quelli non voluti. Ma, appena riaprono, sì. Dico una cosa forse sbagliata, ma non ho mai avuto paura di contrarre il virus. Ho rispettato le regole fino in fondo e questo mi sembrava sufficiente. Ho degli amici che non sono mai usciti, che disinfettano anche l’aria. Conosco una coppia con un figlio: loro non sono ancora usciti, nessuno può entrare in casa loro e nessuno può uscire. Hanno visto una persona la settimana scorsa, l’hanno fatta stare sul balcone e hanno buttato via, letteralmente, la tazzina che aveva usato. Io non l’ho mai vissuta con la paura, così appena riaprono farò tutto quello che mi si dice di fare, ma partirò di sicuro.
Alla cosa del sentimento anti-lombardo nel paese ci credi?
I lombardi sono sempre stati presi un po’ in giro. Adesso è come aver visto il soldato cadere da cavallo. Ma credo che durerà poco perché la Lombardia è una regione rapida nel superare le cose. Oltretutto Milano è una città fatta da tutti, da tutta Italia. Sarà più interessante capire cosa succede a ottobre. Se torna, mi trovate in campagna sotto un castagno.