Se stessimo scrivendo la storia, diremmo che le avvisaglie c’erano state, c’erano state eccome, pure in tempi non sospetti. Correva il mese di marzo dell’anno 2020 (che tra pandemia, proteste e polemiche varie pare una vita fa), e una nota pasticceria milanese pubblicava su Instagram le foto delle uova di Pasqua che, ogni santo anno da che abbiamo memoria, produce artigianalmente. Quella pasticceria si chiama Sissi, è una delle migliori in città, e quelle uova al cioccolato fondente o al latte raffigurano il volto di una donna o di un uomo africano e sono interamente avvolte in colorate stoffe – sempre africane, ça va sans dire. Le foto vengono pubblicate su Instagram, in un post che illustra le diverse varianti, i prezzi, come e quando effettuare gli ordini e le informazioni tecniche del caso. Basta una manciata di minuti e l’Instagram Mob – che è identica alla Twitter Mob e s’indigna a suon di story condivise dagli adepti con una regolarità quasi chirurgica, a mo’ di tortura della goccia cinese – passa all’azione. Se le story fortunatamente sono andate disperse nel giro di ventiquattr’ore, i commenti sono ancora visibili sul profilo della Pasticceria Sissi: «razzisti»; «dovreste vergognarvi»; «fascisti»; «un’idea del genere è offensiva»; «avete mancato di rispetto a una realtà e una cultura che state letteralmente commercializzano e assimilando»; eccetera eccetera.
In un mondo che s’offende senza sapere o approfondire nulla e in cui la fondatrice di una startup che promuove un’informazione libera dalle fake news si rivela lei stessa la prima a raccontare balle a destra e a sinistra, ovviamente tutti ignorano che Sissi, un’azienda a gestione familiare che esiste ormai da quasi trent’anni, è «una famiglia frutto dell’unione fra un senegalese e un’italiana appassionati di pasticceria, che per amore di un mestiere, ma anche della vita e della bellezza della diversità fra le culture, hanno creato qualcosa di cui andiamo molto fieri». Costretti a scendere in campo – ehm, su Instagram – per difendersi dalla accuse, spiegano che «ci rattrista molto vedere che il leggero (perché non frutto di una pesata riflessione) ma tagliente giudizio dei social sia riuscito a mettere insieme in un unico minestrone storie di razzismo e mercificazione della figura stereotipata dei neri con le nostre uova di cioccolato». L’Instagram Mob, non paga, ciancia di «razzismo interiorizzato» e altre parole d’ordine inventate appositamente per l’occasione, e un tranquillo giorno di fine marzo viene trasformato in una crociata miope e insensata contro dei dolci. Bizzarro: se si scorre il profilo Instagram della Pasticceria Sissi, è impossibile non notare che dal 2017 (anno a quanto pare dell’apertura del profilo), in concomitanza con la Pasqua compaiono puntualmente le stesse identiche uova, che non avevano mai destato lo sdegno generale: forse gli indignati prima non avevano Instagram? Forse erano più occupati e meno indignati? Forse non coltivavano con costanza la loro deplorazione?
Toccherà attendere la Pasqua del 2021 per vedere se la Pasticceria Sissi preferirà piegarsi sotto al peso della stizza altrui o continuare a fare ciò che fa (benissimo) da anni, ma intanto la levata di scudi dei bianchi contriti – per usare la perfetta definizione di Guia Soncini – sulla scia delle proteste in seguito all’omicidio di George Floyd miete altre vittime. La catena svizzera di supermercati Migros lo scorso 11 giugno ha deciso di ritirare dai propri scaffali famosi dolci al cioccolato con una base di wafer e un ripieno di panna prodotti dal 1946 dalla Dubler e battezzati Mohrenkopf, in Italia noti come Moretti. La Dubler era rimasta l’unica a chiamarli così, mentre altre aziende ormai da tempo avevano optato per un più politically correct Kiss: il proprietario Robert Dubler s’è detto «rattristato, perché ci sono ben altri problemi al mondo», ma Migros non lascia spazio a ripensamenti di sorta. Sull’account Twitter dell’azienda si legge che «Abbiamo deciso di rimuovere il prodotto dalla gamma. L’attuale dibattito qui ci ha spinto a rivalutare la situazione. Siamo consapevoli che questa decisione porterà anche a discussioni», in risposta al tweet di un utente che aveva definito «estremamente razzista» il nome dei dolcetti.
Stacco, nemmeno una settimana dopo l’ex deputata laburista Fiona Onasanya manda una mail a Kellogg’s chiedendo perché per i Coco Pops, marroni in quanto al cioccolato, sia stata scelta come mascotte una scimmia, mentre sulle confezioni dei Rice Krispies compaiono tre ragazzi bianchi. La stampa britannica la definisce disgraced per via d’un fattaccio accaduto lo scorso anno: Onasanya era stata infatti condannata a tre mesi per aver mentito su una multa per eccesso di velocità, e – magari sentendo la mancanza della popolarità – la 36enne ha preferito rincarare la dose su Twitter, e rendere pubblica la sua importantissima battaglia nell’attesa di una risposta da parte di Kellogg’s. «Coco Pops e Rice Krispies hanno la stessa composizione (l’unica differenza è che CP sono marroni e al cioccolato). Mi chiedevo quindi perché i Rice Krispies hanno tre ragazzi bianchi a rappresentare il marchio e i Coco Pops hanno una scimmia?». Mentre il tweet di Onasanya macinava condivisioni e commenti e lei veniva criticata da parecchi utenti che l’accusavano di «offendersi per qualsiasi cosa», Kellogg’s – come riporta il Daily Mail – replicava che «Noi sosteniamo la comunità nera. Non tolleriamo la discriminazione e siamo convinti che le persone di ogni razza, genere, background, orientamento sessuale, religione, capacità e credo debbano essere trattate con la massima dignità e rispetto. Abbiamo una vasta gamma di personaggi che mostriamo sulle scatole di cereali, tra cui tigri, giraffe, coccodrilli, elfi, eccetera. È il nostro modo di portare la giocosità a colazione». Una precisazione inutile e ridondante? Certo, ma nell’epoca dell’indignazione il silenzio viene scambiato per connivenza, e diviene fondamentale specificare e spiegare l’ovvio.
Arrivati a questo punto, in molti si domandano, tra il divertito e lo spaventato, quale testa sarà la prossima a cadere causa contrizione e risentimento. L’Amaro Montenegro e il vino Negroamaro saranno costretti a cambiare nome perché qualche attivista li riterrà irrispettosi? Ordineremo con la stessa nonchalance gli spaghetti al nero di seppia o un fine pensatore s’inventerà una perifrasi per riferirsi alla ricetta senza essere bollati di razzismo sistemico? Il white privilege troverà la sua concretizzazione nell’eterna diatriba tra tartufo bianco e tartufo nero? La torta foresta nera verrà convertita nella ‘torta foresta non certo chiara’, ché anche scura è un aggettivo un bel po’ scivoloso? Ma soprattutto, potremo ancora desiderare e chiedere un Negroni, anzi, un Negroni Sbagliato, con la medesima disinvoltura? O i socialmente indignati ci leveranno pure quello? Essendo di base un Americano con l’aggiunga di gin (o di spumante brut nella variante ‘sbagliata’), il Negroni si presterebbe ahinoi fin troppo bene a fantasiosi e irreprensibili giochi di parole fino a ieri non necessari. Il popolo dell’happy hour trema, coloro che da un paio di settimane hanno smesso di comprare le caramelle Morositas in segno di solidarietà esultano: morale della favola, il politicamente corretto più subdolo, stupido e inutile potrebbe non tanto levarci un cocktail, bensì proprio la voglia di ordinarlo.