Tendenza verde La nuova cucina vegetale è consistente, inclusiva, senza scarti: sei indirizzi tra Roma e Milano

Protagonisti e non più comprimari, frutta e verdura entrano prepotenti nella nuova tendenza dell’enogastronomia, scalzando carni e pesci e diventando un affare da grandi chef. Sempre più contadini e sempre più al servizio della natura, fuori e dentro al piatto

Un piatto di Erba Brusca a Milano

Partiamo da un presupposto: la cucina vegetale non esiste, non è una cucina codificata, ma un concetto ancora da costruire. Qui il vegetale è il centro del piatto, non un contorno o un semplice ornamento. Frutta, verdura, legumi, semi, diventano elementi portanti a cui applicare una filosofia alimentare che tratta le proteine di origine animale come elementi non necessari oppure marginali, sfidando un concetto abitudinario secondo cui i vegetali hanno una funzione secondaria, se non accessoria. Per questo cucina vegetale e cucina vegetariana non sono per forza la stessa cosa, perché gli ingredienti animali non vengono esclusi di necessità, ma non rappresentano mai il cuore della portata.

Ma a cosa serve una classificazione del genere? Prima di tutto ad indagare un fenomeno di riscoperta, ancora troppo sottotono, che la cucina italiana sta osservando. Non si tratta solo della nascita di nuove insegne veg che puntano forte sulla qualità, fenomeno anche quello di grande interesse, ma della volontà di riscoprire il vegetale come elemento cardine dell’alimentazione. Anche al ristorante, dove le verdure hanno cominciato troppo spesso a scomparire dai piatti, ad essere considerate ingredienti miseri, quasi punitivi, di ultima classe. Provate l’esperimento di sedervi al tavolo di un ristorante qualsiasi, scorrere il menu e rispondere a queste domande: quanti piatti avranno come protagonista un vegetale? Quanti secondi saranno a base di verdura, o di legumi? Quanti primi avranno un sugo vegetale? Nella stragrande maggioranza dei casi, le verdure spunteranno timidamente solo alla voce dei contorni.

Che la cucina vegetale sia il futuro, è stato detto a sufficienza. Il consumo di carne e pesce negli anni è aumentato a dismisura raggiungendo ritmi e modalità insostenibili. Nel 2017 abbiamo prodotto 330 milioni di tonnellate di carne nel mondo, contro i 70 dei primi anni ’60. Ci sono diversi discorsi, di grande complessità, che tra loro si intrecciano e abbracciano etica, ambiente, salute. La questione che però lascia più perplessi è che anche in Italia, patria della dieta mediterranea, si sia abdicato così velocemente a una cucina animale. L’Italia, ovvero la nazione d’Europa con maggiore ricchezza in termini di flora, conta quasi 10.000 tipologie di piante diverse. Ancel Keys, studioso della dieta mediterranea, ci aveva descritti come “Mangiafoglie” in un famoso passo di un suo studio, sottolineando che “Il cuore di quello che consideriamo Dieta Mediterranea è principalmente vegetariano”.

Fortunatamente qualche insegna contemporanea prova a costruire un nuovo orizzonte, rimettendo al centro del menu piatti focalizzati sulla terra. È il caso di RetroBottega a Roma, dove Alessandro Miocchi, cuoco e proprietario insieme a Giuseppe Lo Iudice, ha lanciato a Gennaio Green Butchery, un percorso di 8 portate che hanno il vegetale come protagonista. «Un giorno abbiamo azzardato, mettendo insieme alcuni piatti incentrati sui vegetali che facevamo da RetroBottega, e aggiungendone alcuni nuovi. Green Butchery era un bel nome, capace di mettere insieme due opposti, e rappresentare il nostro approccio, quasi violento, di trattare la verdura come se fosse una carne.» Alessandro si dedica da 3 anni al foraging e alla cucina selvatica: «In questo percorso ho incontrato degli esperti di botanica che mi hanno fulminato, ma prima ancora c’erano le mani di mia nonna che raccoglievano la cicoria. Lei che, da contadina, parlava della verdura come del piatto più prelibato del mondo».

Tra i piatti del menu c’è una crepinette di foglie, un piatto di recupero che rende il foraging più sostenibile con un misto di foglie di scarto, chiuse in una rete di maiale. Poi ci sono le verdure invecchiate, sedano rapa e rape bianche che vengono conservate in salamoia e fatte stagionare come i salumi.  L’invecchiamento c’è anche nella pizza Green Buchetery, che servono ora nel temporary format RetroPizza, con fave fresche in purea, speck di vacca vecchia, germogli di abete bianco, misticanza di stagione, cipollotto. Qui gli aghi duri del raccolto vengono usati per l’affumicatura della pizza.

Passiamo da Barred, dove Tiziano Palucci si è concentrato sulla cucina vegetale da circa due anni, con una proposta diretta e contemporanea. Nei piatti si vedono accostare in modo naturale pochi ingredienti, con un risultato tutt’altro che banale. Cipolla, barbabietola, sedano, porro, sono alcuni dei protagonisti dei suoi piatti. Chi li assaggia si sorprende di trovare un vegetale così carnivoro. «Sui vegetali lavoro a istinto, non c’è niente di programmato. Un piatto può durare 10 giorni, oppure 3 mesi. L’idea rimane quella di un’inversione di ruoli: l’animale diventa contorno e il vegetale portata principale. In questo modo rovesciamo un’abitudine alla quale ci siamo affezionati, anche per pigrizia, quella della bistecca col contorno per intenderci. Per me il vegetale offre una varietà di sapori che non esiste in altri mondi. La zucca e il radicchio, fanno parte dello stesso mondo è vero, eppure sono diversissimi. Tra un taglio animale e un altro non trovo una variazione così decisa e interessante come quella che restituiscono una carota e un fungo».

Dal menu di Barred di questi anni, c’è topinambur, castagne e cardoncelli, dove il topinambur viene tostato in forno, brasato, arricchito con crema di castagne e funghi cardoncelli. Sedano rapa al pepe verde e tartufo nero, dove il sedano rapa fa il lavoro del filetto e va in forno in cartoccio, tagliato a medaglione, fatto al pepe verde e completato col tartufo. Poi melanzana BBQ, misticanza e noci, ovvero una melanzana cotta, svuotata, riempita con impasto di melanzane e pomodori secchi, glassata con salsa bbq fatta in casa e servita con lattuga riccia e pesto di noci.

Saltiamo da Marigold, un angolo internazionale in zona Ostiense. Qui insieme a Sofie Wochner, troviamo Domenico Cortese, che ha lavorato con Alice Waters, un incontro determinante per le sue scelte. «All’inizio non la vivevo bene: Alice mi spingeva a fare piatti con le verdure ed io mi sforzavo di trovare modi sempre nuovi per tirarne fuori il sapore, cucinando solo quello che c’era in frigorifero. La mia esperienza è cresciuta sia viaggiando che avendo a fianco Sofie. Da un inizio difficile, oggi è forse la cosa che amo di più: cambiare come cambia la stagione, fuggire la monotonia. Non è stato facile scontrarsi con l’attitudine italiana a pasta, pizza e carne, ma Marigold ha una clientela internazionale quindi la cucina vegetale è uno strumento di inclusione, la via per condividere un principio. Io la terra l’ho lavorata, so quello che significa, è come crescere un bambino. E infatti sto cercando un pezzo di terra, anche piccolo: per me in quel modo si chiuderebbe un cerchio».

Intanto Domenico ha un piccolo balcone dove coltiva erbe e piante aromatiche. Tanto che un giorno da alcuni ravanelli prende dei semi ancora teneri e crea un’insalata per il ristorante. Oppure cucina le barbabietole con una salsa verde rustica, fatta con mollica di pane e uovo sodo, servita con dei porri grigliati. In autunno invece c’è la zucca arrosto, con cavolo nero lessato, saltato un poco in padella con zest di limone, servito con nocciole tostate e una salsa di tahina, allungata con acqua, aceto bianco, sale, pepe, limone.

E a Milano? Anche qui ci sono alcuni riferimenti interessanti. Il primo in ordine cronologico, aperto dal 2011, è Erba Brusca, ristorante con orto di 4.000 mq dove cucina Alice Delcourt. «L’idea è sempre stata quella di una cucina intorno all’orto, anche quando era più piccolo e aveva principalmente aromatiche. È bellissimo ma non sempre facile: c’è la settimana in cui hai solo zucchine e barbabietole e devi creare tu le alternative. Io ho imparato a cucinare in Italia, dove c’è una grande cucina di primi, per cui facciamo tantissimi risotti, un modo semplice per usare le verdure ed esaltare soprattutto le erbe amare. Un’esperienza che mi ha dato modo di mettere le mani nella terra, di pensare come in Italia fino a non molto tempo fa, tutti avevano un orto, mentre le poche volte che andavano al ristorante sceglievano carne o pesce. Da qui la verdura associata a un pasto domestico, casalingo. Peccato che oggi a casa non si mangino più tante verdure, al ristorante non si mangiano, insomma non si mangino proprio».

Tra i suoi risotti ci sono quello con melanzana affumicata, limoni canditi, jucca e menta o quello alle ortiche con una crema di aglio caramellato, quello con pesto di rucola selvatica, lodigiano e pistacchi, quello con rapa, creme fraiche, aringa affumicata e dragoncello. Alice costruisce variazioni sulle verdure chiedendo il massimo all’ingrediente, come con la barbabietola, servita in diverse esperienze: una purea speziata, cotta sotto sale, cruda sott’aceto, in foglie da insalata.

Sempre a Milano, da Tipografia Alimentare il menu è organizzato in 4 categorie: insalate, proteine, carboidrati, vegetali. «I nostri non sono piatti vegetariani, vegani o salutisti, ma piatti che hanno come ingrediente principale il vegetale, formaggio e carne di accompagnamento, cucinati in modo goloso e invitante» racconta la proprietaria Martina Miccione, «Il lavoro di base è fatto sulla ricerca del prodotto, conosciamo bene i nostri produttori e li abbiamo scelti da agricoltura sostenibile. A questo affianchiamo la volontà di cucinare con zero scarti, delle verdure si usa tutto. Non cerchiamo la trasformazione, in cucina abbiamo solo un forno e zero fuochi». Sono piatti semplici, con un’ispirazione nordeuropea, 6-7 ogni giorno diversi, ma completi, facili da condividere, con massimo 4 ingredienti, che scardinano anche un po’ il classico concetto dell’antipasto, primo, secondo. «Inizialmente lavorare su questa proposta non è stato affatto facile, c’è chi non capisce, chi si innervosisce, chi cerca il piatto di pasta. Ma col tempo i clienti hanno imparato a conoscerci e a capire che noi siamo qui anche per fare cultura».

Un esempio? Carote, sommacco, peperoncino con carote cotte nel burro, sommacco, sale, olio e peperoncino. Oppure cavolo cappuccio viola, yogurt, zest di limone, dove qualche volta lo yogurt è sostituito dal mascarpone. Ancora il cavolo nel crostone con cavolo cappuccio, capperi e foglie, olive Tonda Iblea. In estate ci sono gazpachi oppure le zucchine, pane, limone e amaranto.

Ultimo aperto in ordine di tempo, Røst con il menu studiato da Lucia Gaspari. Anche qui c’è una carta orizzontale – niente primi, secondi e antipasti – dove i vegetali, insieme ai tagli poveri di carne, hanno un ruolo primario. «Nel menu di Røst il vegetale non è relegato a contorno, ma diventa vero protagonista. Per questo proponiamo piatti semplici, capaci di esaltare la freschezza e qualità della materia prima, trasmettendone il sapore primario, senza fronzoli e tecnicismi. Nella scelta dei prodotti, seguiamo territorialità e stagionalità. O ancor meglio, la quotidianità metereologica, nel senso che quello che oggi è disponibile non è detto che lo sia domani, ad esempio dopo ore di pioggia».

Lucia, che ha un occhio profondo sulla sostenibilità, ha pensato a un menu dove i vegetali si alternano in base alle stagioni. Passando per la zucca in carpione, proposta con i suoi semi e la sua buccia, un piatto identificativo della cucina senza sprechi, circolare e sostenibile. Fino all’insalata parmigiana cruda e cotta, un piatto composto con varietà diverse di insalata e vegetali, secondo ciò che arriva dalla terra.

Da uno sguardo circolare, emergono altri esempi che dialogano con questo mondo. Dalle trattorie storiche, come la Brinca in provincia di Genova, con la sua cucina tradizionale ligure di tradizione contadina, ricca di erbette, pesti e prodotti locali. Poi ancora Roma con Spazio, dove si trova una piccola carta dei vegetali, mentre nel menu di Milano si leggono piatti come sautè di verdure, estratto di sedano e mela, oppure funghi e patate o melanzana e pomodoro in agrodolce. Spingendosi fino a Cortina, c’è l’agricucina di Riccardo Gaspari al SanBrite dove alla produzione in loco di formaggi, si affiancano erbe e vegetali di montagna. Difficile infine sconnettere tutto questo dalla scelta dei Bros a Lecce di lanciare proprio ora un menu, Brothers of the Universe, di 8 o 13 portate esclusivamente vegetariano.

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