Si dice “pasta” e si pensa al Sud. Una cartolina con il Vesuvio sullo sfondo, il mare e il sole, un piatto di spaghetti fumanti. Ma la pasta ha tanti volti, in Italia e non solo. La pasta è presente nella tradizione culinaria di tante regioni d’Europa, dall’Austria alla Savoia fino all’Alsazia. Storie e usanze che si intrecciano, paesaggi che cambiano, senza mai togliere nulla alla genuinità e alla qualità.
Anzi, l’immagine sulla cartolina potrebbe cambiare. In primo piano ancora un fumante piatto di spaghetti, ma sullo sfondo il profilo delle Dolomiti: il monte Feudo, il Latemar, il Lagorai, che sovrastano il paese di Predazzo. È qui, in Val di Fiemme, che nel 1908 Valentino Felicetti apre il suo pastificio. E la storia di questo pastificio è un ponte tra sapori mediterranei e mitteleuropei.
A raccontarla è Riccardo Felicetti, oggi al timone dell’azienda di Famiglia. Aprire un pastificio in una valle del Trentino in un’epoca così remota può sembrare strano a uno sguardo superficiale. Ma non lo è. «Ogni valle laterale un tempo aveva il suo pastificio – spiega Felicetti – che offriva la possibilità di utilizzare i cereali prodotti in loco: orzo, segale, grano saraceno, cui si aggiungeva poco grano tenero che arrivava dall’Austria portato sui carri trainati da cavalli. Le comunicazioni erano faticose, non c’era ancora la ferrovia, e poter produrre pane e pasta senza dover accedere alla valle principale, quella dell’Adige, significava risolvere un grosso problema.
La Val di Fiemme era parte dell’Impero Austro Ungarico, dove la pasta aveva e ha comunque una tradizione radicata: ancora oggi in Austria si mangiano grandi quantità di capelli d’angelo nella zuppa, si mangiano gli spätzle, si mangiano i fleckerl, conditi con il formaggio. È una pasta diversa da quella del nostro Sud, fatta con grano tenero». A dimostrazione di quanto la pasta sia diffusa e radicata nelle culture gastronomiche di tutta Europa. È in questo scenario che Valentino Felicetti decide di avviare la sua nuova attività. «Il bisnonno Valentino aveva un’impresa edile: lavorava per l’impero, viaggiava di continuo per costruire ponti, tunnel, persino l’acquedotto di Vienna. E la moglie lo aspettava a casa con quattro figli a cui badare… fino a quando non ha deciso che era ora di cambiare, e che Valentino doveva restare a casa.
E lui ha mollato tutto, ha cambiato vita e lavoro: e ha comprato un opificio composto di tre aree di produzione: una segheria, una fabbrica di zolfanelli e cassette, e un pastificio». Il nesso tra la segheria e gli zolfanelli è lampante, quello con il pastificio sembra sfuggire. In realtà è semplicissimo: «con la segatura residua delle lavorazioni si riscaldavano le stanze in cui si faceva essiccare la pasta, in un perfetto esempio di economia circolare». È questo l’inizio di un’avventura che continua da più di un secolo. «Di 14 pastifici che erano attivi negli anni Sessanta in Trentino, ne è rimasto uno solo». Felicetti, appunto: un successo che è frutto della qualità dei prodotti, ma anche di scelte coraggiose. «Negli anni tra il 74 e il 76 in Italia tantissimi pastifici chiusero i battenti, a causa di una concorrenza spietata, di un’inflazione galoppante, di una situazione che vedeva investimenti molto alti a fronte di una redditività molto bassa.
Proprio in quegli anni mio papà e i suoi fratelli hanno deciso di comprare le macchine del più grosso pastificio in zona, il pastificio Cielo di Rovereto, facendo una scelta davvero coraggiosa: invece che spostare la produzione e, di conseguenza, i lavoratori e le loro famiglie, hanno spostato le macchine, portandole a Predazzo. Questo ha consentito di continuare a usare gli ingredienti che ancora oggi rendono speciale la nostra pasta, l’aria e l’acqua del nostro territorio. E di mantenere quello spirito di comunità che ci contraddistingue da sempre». Uno spirito di comunità che tuttora è vivo nelle valli del Trentino, e che ha permeato la storia del pastificio Felicetti. Basti pensare al terribile incendio del 1945.
«Finita la guerra – racconta Felicetti -, c’era l’abitudine nel fine settimana di sparpagliare la segatura sul pavimento per farla essiccare. Una domenica però sventuratamente partì una scintilla, e tutto prese fuoco. Si racconta che i vigili del fuoco fossero in una località vicina, e che qualcuno corse a chiamarli, ma quando arrivarono i pompieri trovarono la situazione sotto controllo: si era formato un cordone umano per spegnere l’incendio. Non basta. Con l’aiuto della comunità in pochi mesi si poté ricominciare a produrre». È di questi valori che è fatta la pasta Felicetti.
E di pochi ingredienti: la semola, l’acqua e l’aria. «La semola: ce ne sono 100 tipi in Italia. La qualità deriva da quale scegli, da come la lavori, dalla gradazione con cui la macini. L’acqua: non la puoi spostare, la usi dove sgorga, e la nostra è sicuramente purissima, più pura di tante altre, ne siamo orgogliosi. L’aria: se arrivi da Milano sulle Dolomiti, quando scendi dalla macchina la prima cosa che fai è respirare, riempirti i polmoni di aria buona. Ecco, quest’aria la nostra pasta la respira tutto l’anno. La pasta è un’armonia di ingredienti, una sinfonia suonata da orchestrali che sanno e vogliono fare bene il loro lavoro. Ma devono avere nelle mani ottimi strumenti, e qui entra in gioco la tecnologia. Quello che noi Felicetti abbiamo voluto fare, da sempre, a partire dal fondatore, è essere all’avanguardia nelle tecnologie per esaltare le materie prime, e non per sostituirne la qualità. Siamo artigiani, perché adattiamo le macchine alle materie prime, e non le materie prime alle macchine, operazione che ci renderebbe standardizzati».
Cura artigianale, tecnologie all’avanguardia, materie prime d’eccellenza, una storia secolare: ci sono tutti gli ingredienti per un buon piatto di pasta.