Mentre l’Europa era ancora sottoposta a misure di lockdown, la Polonia ha invaso la Repubblica Ceca. Pochi metri, in realtà, di fronte alla città Pielgrzymow, in Moravia. E senza dubbio non è stato fatto in modo intenzionale (così dicono).
Le autorità a Praga si sono però allarmate e hanno subito chiesto spiegazioni ai polacchi. Cosa è successo?
Secondo la ricostruzione di Denik, il giornale locale ceco, verso fine maggio i soldati polacchi inviati per controllare le frontiere (chiuse a causa delle restrizioni per il coronavirus) hanno sconfinato di circa 30 metri, di fatto “annettendo” una piccola cappella in fase di ristrutturazione.
La prima scoperta è toccata a un ingegnere, incaricato dei lavori, che mentre si avvicinava all’edificio per alcune fotografie viene scacciato da un posto di blocco di militari polacchi armati di tutto punto. È il 28 maggio.
Il fatto viene confermato da un giornalista di Denik inviato subito sul posto e, in seguito, anche dal capo di una associazione – l’equivalente ceco di Friends of the Earth – che nei primi giorni di giugno aveva organizzato una visita alla chiesetta.
«A un certo punto mi trovo di fronte un uomo con una divisa straniera e un mitra in mano che mi dice di allontanarmi. È stato terribile», ha dichiarato.
Non si perde più tempo. Vengono avvisate le autorità ceche che subito si rivolgono all’omologo polacco e nel giro di poco le truppe sono già dall’altra parte del confine.
«Si è trattato di un semplice equivoco», hanno assicurato i polacchi alla Cnn, «non certo un’azione deliberata. È stata subito fatta una correzione e l’incidente è rientrato».
Una cosa da poco, su cui però non si vuole scherzare più di tanto. Anche perché i due Paesi, nel corso del XX secolo, hanno avuto diverse schermaglie proprio in quella zona. Nel 1919 ci fu una battaglia di sette giorni in Silesia, mentre nel 1938 la Polonia aveva annesso un’area nei dintorni della città di Bohumi.