Quando è stata l’ultima volta in cui abbiamo assistito alla morte del fondatore di una città?
Attenzione: non la morte di qualche immobiliarista visionario che costruisce nuovi quartieri residenziali, ma la scomparsa di un vero fondatore, qualcuno che immagina e stabilisce un insediamento, e attraverso questo atto riesce a governare e indirizzare la storia di un certo luogo.
Jeff Bezos, Mark Zuckerberg e tutti gli altri titani della Silicon Valley hanno fondato imperi economici capaci di modificare il modo in cui viviamo e pensiamo; forse saranno capostipiti di una dinastia, ma i loro regni – per quanto pervasivi – sembrano eterei e impalpabili come i bit che li compongono. Stanley Ho invece, morto ieri a 98 anni, è forse l’ultimo tycoon che si identificava in tutto e per tutto con la città che aveva forgiato, e da Macao la sua ombra si allunga su tutto l’Estremo Oriente a cavallo tra Ventesimo e Ventunesimo Secolo.
Anno 1941: i giapponesi scacciano le truppe britanniche e occupano Hong Kong; tra i rifugiati costretti a rifugiarsi a Macao – colonia portoghese, quindi ufficialmente neutrale durante la Seconda Guerra Mondiale – c’è Ho Hung Sun, un ventenne che ha dovuto abbandonare il college a causa del conflitto.
Il giovane, che ha adottato il nome anglosassone di Stanley, appartiene all’élite hongkonghese, quell’establishment di intermediari, broker e commercianti che muovono immensi carichi di merci e titoli all’interno del sistema dominato da Londra grazie a società come la Jardine Matheson e la Sassoon. La famiglia, però, perde tutto durante la guerra, e Stanley viene assunto come impiegato da una società giapponese di import-export.
Collabora con gli invasori alleati del nazi-fascismo – una macchia che riuscirà a scuotersi di dosso con molta disinvoltura – e allo stesso tempo, secondo diverse ricostruzioni, contrabbanda petrolio e beni di lusso al confine cinese.
A ventidue anni, Stanley il Doppiogiochista riesce a stabilire una sua piccola rete distribuendo derrate alimentari alla popolazione di Macao alla fame, e in questo periodo emerge un unico tratto personale che lo accompagnerà per tutta la vita: la passione per la danza, specialmente il cha-cha-cha. Fioriscono le leggende: si racconta che una nave sotto la responsabilità di Stanley venga attaccata dai pirati sulla tratta Macao-Hong Kong, ma il giovane impiegato è a bordo e ne riprende il controllo pistola in pugno, guadagnandosi un premio che insieme ai guadagni del contrabbando gli permetterà di creare la sua prima società di costruzioni.
Sia come sia, finita la Seconda Guerra Mondiale e ristabilito il controllo di Londra su Hong Kong, Stanley intuisce che sulla rotta per Macao si sta sviluppando un affare colossale: il gioco d’azzardo.
La colonia portoghese, che Lisbona controlla con flemma tutta lusitana, è stata nel corso dei secoli la centrale delle missioni gesuite dirette verso l’Asia, un quartier generale del traffico di schiavi e oppio, e uno di quei porti densi di case da gioco e bordelli dedicati ai marinai, ma adesso il Portogallo sta lanciando una gara d’appalto per il monopolio dei casinò.
Stanley Ho fonda la Sociedade de Turismo e Diversões de Macau con l’obiettivo di vincere la gara e trasformare per sempre Macao: via le vecchie bische squallide con croupier improvvisati, dentro i moderni casinò scintillanti e, soprattutto, basta con gli scarsi collegamenti con Hong Kong (dove il gioco d’azzardo è illegale) e via con una flotta di nuovi aliscafi capaci di coprire la tratta in un’ora.
Nel 1962 La Sociedade de Turismo e Diversões de Macau si aggiudica la gara e inizia a macinare quattrini su quattrini per Stanley e per i suoi soci: gente come Yip Hon, un ex-dipendente dei vecchi casinò soprannominato «Devil King», forse affiliato a una delle Triadi, la 14K; o come Teddy Hip, un sino-indonesiano pilota di rally; o ancora come Henry Fok, un costruttore di Hong Kong che non ha mai nascosto di essersi arricchito con il contrabbando durante la Seconda Guerra Mondiale.
Iniziano a circolare altre leggende: su Macao incombe un vicino ingombrante, la Cina comunista, ma Stanley il Triplogiochista si starebbe guadagnando l’appoggio di Mao Zedong concedendo la banca Seng Heng come base per i traffici di oro di cui beneficerebbe anche Pechino, in quel periodo sotto embargo.
Le voci sul contrabbando di oro forniscono lo spunto per un romanzo a uno scrittore alla moda che si trova a Hong Kong e Macao per una serie di articoli per il Sunday Times: lo scrittore si chiama Ian Fleming; il romanzo si intitolerà Goldfinger.
Nel 1970 viene costruito il Lisboa Hotel & Casino, puro stile Las Vegas con ballerine da Crazy Horse nella Mona Lisa Hall del piano terra. Tra gioco d’azzardo, servizi, trasporti e banche, la Sociedade de Turismo e Diversões de Macau costituisce da sola oltre la metà del Pil di Macao e nel decennio successivo gli investimenti di Stanley Ho si estendono a Portogallo, Indonesia, Timor Leste, Vietnam, Filippine e Mozambico.
Stanley però sa che sul suo impero incombono due scadenze: così come il Regno Unito dovrà restituire Hong Kong alla Cina, anche il Portogallo dovrà fare lo stesso con Macao, e mentre la Cina inizia a entrare nel mercato globale con le prime riforme economiche bisogna capire se Pechino è intenzionata a mantenere legale il gioco d’azzardo a Macao.
La concessione del monopolio sui casinò, inoltre, non è eterna, e anche se la Cina dovesse mantenere Macao come porto franco degli scommettitori, prima o poi sulla scena si profileranno dei concorrenti.
Sul primo fronte, i buoni rapporti di Stanley Ho con l’establishment del Partito comunista cinese conducono a un ottimo risultato: nel 1999 Macao diventa Regione Amministrativa Speciale della Cina secondo la formula “Un Paese-Due Sistemi”, e i casinò rimangono la principale attrattiva turistica. La città è pronta ad accogliere una nuova generazione di giocatori d’azzardo, i cittadini cinesi folgorati dall’edonismo di un’economia in continua espansione. Il passaggio dal Portogallo alla Cina non è traumatico come quello di Hong Kong, ma produce comunque alcuni segnali inquietanti, perché tra il 1997 e il 1999 a Macao si spara per strada, una sotterranea guerra tra Triadi per il controllo dell’usura e dell’indotto delle sale da gioco che culmina con l’agguato del Café Caravela, in cui muoiono due superpoliziotti inviati dal Portogallo con il compito di rendere meno allegra la situazione del penitenziario locale.
«Non ho mai visto un solo membro delle Triadi giudicato e condannato» dichiara Stanley Ho in una delle rare interviste concesse ai giornali, e le autorità lo accontentano quasi subito con l’arrresto del gangster Wang Kuok Kuoi, detto «Wang Denti Rotti», boss della 14K giudicato colpevole di un attentato dinamitardo contro Antonio Marques Baptista, il capo della Polizia Giudiziaria di Macao.
La presa di posizione non è sufficiente ad allontanare il sospetto che Stanley Ho sia giunto a qualche compromesso con le organizzazioni mafiose cinesi: nel 2004 la figlia Josie Ho, cantante pop e attrice, cita in giudizio Newsweek per un articolo che descriveva la sua festa di fidanzamento come una specie di vertice tra gangster di Hong Kong.
Già dal 1992, però, circola un rapporto di una Commissione del Senato Usa che definisce Stanley Ho «un uomo d’affari non direttamente coinvolto nel crimine organizzato, a differenza di alcuni dei suoi soci», mentre nel 1993 le autorità australiane – probabilmente per bloccare la sua espansione a Melbourne e dintorni – giudicano «persona inadatta a gestire un business legato al gioco d’azzardo».
I concorrenti arrivano a Macao nel 2006, anno in cui scade il monopolio di Stanley Ho e scoppia la cosiddetta «Guerra delle Tre S»: gli altri contendenti sono Sheldon Adelson (magnate di Las Vegas e oggi grande sostenitore di Donald Trump) e Steve Wynn, tycoon della Wynn Resorts.
Attraversare le strade di Macao in quell’anno significa imbattersi in cantieri continui che fanno piazza pulita delle ultime, malinconiche sale da gioco della zona del porto, da cui sorgeranno il il Venetian Macau – con la sua riproduzione del Canal Grande – e il Wynn Macau.
Stanley Ho risponde con il Grand Lisboa, ma viene comunque a patti con i rivali e la città esplode: nel 2007 Macao supera Las Vegas diventando la capitale mondiale del gioco d’azzardo.
In questo periodo la città è un crocevia di affari spericolati e personaggi bizzarri, tra le figure più frequenti ci sono faccendieri e giocatori professionisti, sportivi e persino un dittatore fallito come il nordcoreano Kim Jong-nam, uscito sconfitto dalla lotta di potere con il fratellastro Kim Jong-un, che rimarrà ucciso in un misterioso omicidio all’aeroporto di Kuala Lumpur.
Tre anni dopo il clan degli Ho, che con oltre 12 miliardi di dollari di patrimonio ufficiale estende le sue proprietà e il suo potere in tutta l’Asia, scatena una guerra di successione interna: il patriarca, 88 anni, ha subito un attacco di cuore, e i 17 figli avuti da quattro mogli diverse si combattono senza quartiere per un pezzo della sua immensa fortuna.
Stanley Ho è morto ieri a Hong Kong dopo una vita incredibile. «Amo le sfide e non mi piace ricevere un “no” come risposta», diceva di sé.
Nonostante la stretta sulla corruzione operata dal presidente cinese Xi Jinping, le notti di Macao rimangono tra le più folli di tutta l’Estremo Oriente, dalle Sale riservate del Grand Lisboa o del Wynn, dove si perdono intere fortune in poche ore, alle corse di cavalli e cani che proseguono fino a tardi, dai giri in auto su Avenida da Praia Grande spazzata dalla brezza fino ai gin tonic serviti nel giardino della Pousada de Sao Tiago, ricavata da una vecchia torre di guardia portoghese.
La città fondata da Stanley Ho è ancora lì.