Quando Giuseppe Conte nominò Vittorio Colao alla guida di un «Comitato di esperti in materia economica e sociale» con il compito di elaborare e proporre «misure necessarie per fronteggiare l’emergenza epidemiologica Covid-19, nonché per la ripresa graduale nei diversi settori delle attività sociali, economiche e produttive» – naturalmente anche attraverso «l’individuazione di nuovi modelli organizzativi e relazionali» – era il 10 aprile 2020.
L’Italia era in lockdown già da un mese, per la precisione dal 9 marzo, e ad alcuni di noi sembrò che effettivamente, avendo già un comitato-tecnico scientifico (quello presieduto dal pluricitato professor Brusaferro), un commissario per l’emergenza (Domenico Arcuri), una sfilza di consulenti in continuo aggiornamento (a proposito: che fine ha fatto Gunter Pauli?), oltre a una già nutrita schiera di coordinamenti e task force presidenziali, ministeriali e regionali messe in campo per l’occasione, l’esigenza di un’ulteriore commissione di esperti non fosse poi così stringente. Ma non era quello il momento delle polemiche, si diceva. E poi, cosa volete? Mica vorrete far vincere Matteo Salvini?
E così è partita anche la commissione Colao, che per due mesi ha lavorato duramente per fornire al governo un piano strategico, articolato in ben 102 schede, accompagnate da un dettagliato rapporto di una cinquantina di pagine: «Iniziative per il rilancio, Italia 2020-2022».
Ma non si era ancora asciugato l’inchiostro con cui era stato scritto l’ambizioso titolo (considerato che ormai metà del 2020 se n’era andato in conferenze stampa, audizioni e interlocuzioni varie) che su tutti i giornali le veline di Palazzo Chigi lo bollavano come un «utile contributo», anche perché nel frattempo il presidente del Consiglio aveva già annunciato una nuova super-commissione: gli Stati generali. Convocati a Villa Pamphilj per meglio interloquire con sindacati e associazioni sulle misure per il rilancio.
A dire il vero, anche allora, a qualcuno venne il dubbio che si trattasse d’aria fritta, anzi rifritta. Tanto più che sindacati, industriali e associazioni assortite il governo aveva già avuto modo di incontrarli più volte, non foss’altro che per discutere del famigerato decreto «Aprile», poi «Maggio», poi «Rilancio», nel corso dei precedenti tre mesi (mentre il comitato tecnico-scientifico tecnicheggiava, Arcuri arcurieggiava e la task force Colao si dedicava a colorare le sue 102 preziosissime schede su powerpoint). Ma non era quello il momento delle polemiche, si diceva. E poi, cosa volete? Mica vorrete far vincere Matteo Salvini?
E così, il 13 giugno, sono partiti anche gli Stati generali, conclusi ieri, dopo ben nove giorni, dagli incontri con le famose «singole menti brillanti» annunciate da Conte: Massimiliano Fuksas, Alessandro Baricco, Stefano Boeri, Elisa, Salvatore Settis, Giuseppe Tornatore e Monica Guerritore (mi scuso per le eventuali dimenticanze). Preceduti il penultimo giorno, per non far torto a nessuno, dai «cittadini comuni», così presentati dai giornali, tanto da far pensare a un finale degli Stati generali sul modello Ciao Darwin: popolo contro vip (i comuni cittadini, informano i giornali, erano rappresentati da un direttore d’albergo di Ostuni, un ristoratore di Cesena, un musicista dei Castelli Romani, il titolare di un negozio di scarpe, un’accompagnatrice turistica e altre persone provenienti da Roma, Firenze, Pescara).
Lo stesso Conte ha rivendicato ieri la scelta di invitare i cittadini comuni in un post su Facebook, spiegando che «una finestra della Consultazione Nazionale di Progettiamo Il Rilancio è stata dedicata ad alcuni di loro, che ho incontrato senza il filtro di associazioni di rappresentanza».
Per chi se lo stesse chiedendo, Consulta-eccetera-eccetera sarebbe il nome degli Stati generali, cambiato in seguito all’irritazione del Partito democratico (perché mai il cambio del nome dovrebbe rendere l’iniziativa meno irritante per il Pd è un dilemma che va oltre le mie capacità analitiche). «Alessandra e Fabio – proseguiva il capo del governo – mi hanno parlato del loro negozio di calzature a Firenze; Romina e Daniela delle loro attività dedicate ai servizi alla persona…».
Ma la vera notizia di ieri è che questa settimana, conclusi gli Stati generali, Conte incontrerà a Palazzo Chigi i leader del centrodestra, ovviamente per ascoltare, interloquire e concordare con loro le proposte per il rilancio. Escludendo che Matteo Salvini, Giorgia Meloni o lo stesso Silvio Berlusconi accettino di mettere la firma sotto i piani governativi senza fiatare, si può dunque dare per scontato che anche questa settimana, come praticamente ogni settimana da tre mesi a questa parte, la grande giostra dell’elaborazione programmatica e dell’interlocuzione a strascico ripartirà ancora una volta. Anzi, due.
Dopo le opposizioni, infatti, a Palazzo Chigi sarà la volta del vertice con i partiti della maggioranza, i quali – informava ieri Tommaso Ciriaco su Repubblica – chiedono voce in capitolo sul «pacchetto» e reclamano «decisioni rapide e condivise». Dimostrando se non altro che la crisi non ha tolto loro il senso dell’umorismo.
Ma è difficile resistere al sospetto che questa interminabile girandola di incontri a scopo di conferenza stampa serva solo ad autoperpetuarsi, in una spirale che procede in volute concentriche sempre più strette, convocando oggi la commissione di esperti il cui lavoro servirà da «utile contributo» per il confronto di domani, le cui risultanze costituiranno la base dell’incontro di dopodomani, e così via all’infinito, per i secoli dei secoli. O almeno fino a quando giornali, sondaggisti e orchestrali al seguito smetteranno d’intonare la marcia trionfale dell’avvocato del popolo.