Investimento sul capitale umanoCome rilanciare il mercato del lavoro valorizzando le nuove generazioni di cittadini europei

Un paper di Erasmo, curato da Carmelo Cutrufello, esperto di finanza agevolata e progettazione europea, e Piero David, economista del CNR, con alcune idee e proposte per lo sviluppo di competenze e formazione per contrastare la disoccupazione la sottooccupazione

Non è un problema di soldi. Magari di risorse in un senso più generale sì, ma di soldi certamente no. Una delle principali preoccupazioni di una classe dirigente responsabile dovrebbe essere la ricerca degli strumenti per ridurre strutturalmente i tassi di disoccupazione ed inattività in tutto il tessuto sociale europeo, con particolare attenzione alle fasce d’età 18 – 35 e over 55.

L’elevata disoccupazione o sottooccupazione è il principale problema del capitalismo continentale e non pesa solo sulle regioni meridionali italiane ma anche su una vasta parte delle regioni periferiche dell’est e sud Europa o delle ricchissime metropoli del nord Europa.

La nascita di una nuova generazione di cittadini europei, consapevoli dei propri doveri e dei propri diritti, orgogliosi di appartenere ad una comunità e fraternità europea, passa dal riconoscimento del ruolo sociale dell’individuo, dalla sua affermazione e dal riscatto individuale raggiunto attraverso un’occupazione dignitosa ed adeguata alle competenze acquisite. Per far questo, servono però interventi formativi e politiche attive mirate al raggiungimento di tali fini.

Il problema dell’elevata disoccupazione in molte aree del continente non nasce certo dalla crisi generata del covid-19 ma ne è stato fortemente accentuato, mettendo a nudo tutte le fragilità di un sistema, soprattuto di quello italiano, basato su lavori di media o bassa qualificazione (servizi turistici e della ristorazione, attività obsolete sostituibili da software e nuovi impianti produttivi) con particolari criticità nelle zone più svantaggiate del Sud come Sicilia e Calabria (dove peraltro il tasso di disoccuazione giovanile rasenta il 45% e quello complessivo viaggia intorno al 24%) ed in generale in tutte le aree europee obiettivo 1.

Dobbiamo chiarire che l’investimento in formazione e politiche attive per il lavoro è un vantaggio anche e soprattutto per le imprese le quali riducono al minimo i tempi di ingresso produttivo del lavoratore in azienda, aumentano la disponibilità di manodopera qualificata sul mercato, possono contare su personale capace di apportare una decisiva spinta verso l’innovazione di prodotto o di processo, essendo in nuce abituato all’evoluzione dei sistemi produttivi. In un certo senso, significa patrimonializzare l’impresa attraverso l’attribuzione di skills al (futuro) personale che aiuterà l’impresa nella sua lotta per la sopravvivenza. Non è poco in un mondo in cui si punta sull’innovazione, sulla diversificazione e sull’unicità dei prodotti, in cui non possiamo e non dobbiamo più competere sui prezzi.

E in teoria l’investimento in formazione è la principale politica attiva richiamata nei documenti di programmazione della Commissione europea: “L’UE sostiene gli sforzi compiuti dagli Stati membri per fornire ai propri cittadini un elevato livello di istruzione e formazione…allo scopo di fare in modo che l’apprendimento permanente e la mobilità divengano una realtà, migliorare la qualità e l’efficacia dell’istruzione e della formazione, promuovere l’equità, la coesione sociale e la cittadinanza attiva, favorire la creatività, l’innovazione e lo spirito imprenditoriale”.

Come costruire un percorso formativo innovativo che doti tutti i giovani delle competenze necessarie per entrare rapidamente e dignitosamente nel mercato del lavoro?

1) Un nuovo approccio alla conoscenza. Innanzitutto, occorre cominciare il prima possibile. Ai giovani deve essere trasmesso fin dall’ingresso nel mondo della scuola il senso di curiosità verso tutto ciò che è innovazione e frontiera. Per far questo possono essere utilizzati i fondi del PON Miur che troppo spesso invece servono per replicare lezioni di sostegno a ragazzi rimasti indietro. Attraverso i PON invece si potrebbero mostrare ai nostri giovani le meraviglie della robotica, della programmazione, della grafica computerizzata, della ricerca scientifica, delle nuove teconologie facendo loro toccare con mano quanto di più innovativo esista. In questa azione di diffusione potrebbero essere coinvolte le imprese, gli enti di ricerca e le università, i quali, rendendo divertente l’approccio alla scienza, potrebbero stimolare in loro la curiosità e la voglia di approcciarsi a mondi nuovi.

2) Soft skills ed alfabetizzazione economica. Un secondo aspetto formativo da sviluppare sono le soft skills e le conoscenze di base che diventano centrali nel mondo del lavoro: oggi il mondo del lavoro vede un’evoluzione talmente veloce delle competenze per cui le imprese manifestano una preferenza per quei soggetti che possiedono soft skills tali da consentire un adattamento all’ambiente aziendale costante poiché sanno che grazie alla formazione questi collaboratori potranno apprendere funzioni e processi diversi seguendo così l’evoluzione tecnologica o di processo. Sarebbe assolutamente produttivo quindi creare dei luogi in cui i giovani possano formare i loro processi di analisi situazionale e di risoluzione dei conflitti attraverso la formazione nei campi della negoziazione, del problem solving creativo, della comunicazione interna ed estrena e nella gestione dei processi.

Inoltre fin da subito dovrebbero acquisire conoscenze che permettano loro di capire cos’è e come funziona un’azienda, mentre negli anni successivi dovrebbero essere capaci di saper leggere (e magari scrivere) un business plan o un atto amministrativo. Tra le competenze di base da sviluppare infatti dovrebbe esservi l’alfabetizzazione economica e finanziaria indipendentemente dal fatto che i nostri giovani frequentino un liceo o un istituto tecnico: tutte le skills di cui abbiamo qui discusso sono basilari sia per chi farà il magistrato o il medico, il direttore generale di un dipartimento universitario o il dirigente generale di un ministero così come per chi occuperà un posto in un reparto di produzione industriale, per chi sarà responsabile acquisti in una piccola impresa o in altre funzioni simili poiché questi dovranno scrivere e leggere decine di budget, confrontare offerte diverse per beni, servizi e prodotti finanziari, etc.

3) Investimento nei laboratori scolastici. Tutte queste azioni sono anche determinanti per le future risorse umane delle organizzazioni economiche le quali ruoteranno attorno all’uomo che programma, progetta e gestisce le macchine per cui chi si approccia a tali funzioni va preparato adeguandone le competenze alle nuove sfide. Gli istituti tecnici sono in realtà il cuore pulsante del “fatto a mano” italiano. Tutti i settori produttivi, anche quelli più spintamente meccanizzati sono comunque governati da uomini. Migliore sarà la formazione del personale migliore sarà anche la possibilità che questo possa intervenire per efficientare i processi, la resa degli impianti, la qualità del prodotto finale. Per ottenere alla fine del percorso formativo un personale altamente qualificato servono degli ingredienti da mixare: attrezzature nuove o nuovissime nelle scuole, personale docente di laboratorio motivato che possibilmente svolga part time un’occupazione coerente con le materie insegnate in azienda e sia sottoposto a costante aggiornamento. Occorre quindi un poderoso investimento in questi settori.

4) Rafforzare l’alternanza scuola-lavoro. E’ chiaramente positivo che venga stretto il rapporto con le aziende già implementato dall’alternanza scuola–lavoro: dove funziona correttamente infatti se ne vedono i risultati. In Germania, dove esiste uno dei sistemi più funzionali ed efficaci, sono coinvolti in questi percorsi circa 1.400.000 ragazzi tra i 15 e 25 anni, per un periodo che varia dai 2 ai 3 anni, con un’alternanza tra formazione teorica in una scuola professionale e l’esperienza pratica in fabbrica, negli uffici e nei laboratori.

È una modalità che ha dimostrato di garantire agli studenti di accedere velocemente al mondo del lavoro: in Germania la disoccupazione giovanile è nettamente al di sotto della media europea. Le Camere di commercio svolgono un ruolo chiave nella realizzazione del sistema duale, in qualità di enti terzi, in grado di far coesistere e coordinare le esigenze dei lavoratori con quelle delle imprese. Spetta a loro, infatti, il compito di stilare i piani di formazione (ce ne sono ben 350, riconosciuti a livello federale) e sono loro a reperire il budget necessario per la formazione duale, grazie al diritto annuale pagato dalle aziende e al contributo delle imprese che richiedono di ospitare il tirocinio degli studenti.

L’Italia non dispone di un tessuto imprenditoriale simile a quello tedesco con molte medie e grandi imprese. Nelle regioni meridionali quindi, l’alternanza scuola–lavoro si è rivelata una mera attività didattica, quando non una vera e propria perdita di tempo: tutto ciò chiaramente per mancanza di imprese solide dove inserire i giovani in numero ragionevole e dove far testare loro abilità, capacità relazionali o di problem solving.

Una soluzione al problema potrebbe essere quella di spingere l’acceleratore sulle imprese didattiche (il modello potrebbero essere gli istituti agrari) che realizzino prodotti e forniture per clienti esterni costringendo i giovani ad affrontare le sfide di una vera e propria attività imprenditoriale sotto la guida dei docenti e dove possano trovare anche un’occupazione part time se necessario. È intuibile che le imprese sane e con una chiara visione del futuro saranno oltremodo interessate a formare giovani da inserire nelle loro organizzazioni come portatori di innovazione e di modernizzazione, soprattutto in quelle mansioni dove hanno più carenze, ovvero quelle più innovative.

5) Monitorare i neet. Fuori dalla scuola, per chi non continua con l’università (tre su quattro) si apre il baratro dei neet. Ai nostri giovani ormai ufficialmente disoccupati restano due opzioni: scegliere un percorso di inserimento lavorativo tramite un’agenzia per il lavoro o continuare con la formazione professionale. Anche in questo caso le risorse economiche disponibili sono enormi: il Fondo Sociale Europeo riempie le regioni obiettivo 1 di risorse ad ogni programmazione.

Quanti giovani trovano lavoro grazie ad un corso di formazione o ad un tirocinio extracurriculare non è però dato saperlo. Come prima cosa servono dei sistemi di monitoraggio grazie ai quali l’amministrazione deve poter sapere se quel giovane ha trovato lavoro nel settore in cui è stato formato o inserito con tirocinio: lo scopo è misurare l’efficacia delle azioni intraprese. Se non funzionano, evidentemente vanno cambiate, e non funzionano.

6) La formazione professionale digitale ed orientata ai risultati. Per rendere il sistema
della formazione professionale utile al mondo dell’impresa occorre cambiare le modalità con cui vengono remunerati gli enti che erogano la formazione stessa, la modalità con cui vengono programmati i corsi e la rispondenza di questi alle reali necessità delle imprese.

Per la realizzazione di una corretta programmazione del catalogo formativo regionale, l’approccio più efficace è quello che parte da un’analisi dei fabbisogni corroborata da dati statistici nazionali sulla carenza di figure professionali, che preveda il raccordo con aziende ospitanti individuate già prima della presentazione del progetto, dove successivamente il giovane possa essere impiegato negli stage e in prospettiva assunto.

La formazione poi potrebbe essere retribuita in parte a processo e in parte a risultato, incentivando quelle iniziative che riescono a centrare risultati occupazionali di medio o lungo periodo. Alla formazione andrebbero collegate le politiche attive di inserimento lavorativo in un continuum che costruisca un’azione esperenziale per il discente: formazione, stage, tirocinio, apprendistato, contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Riuscire a mettere nello stesso progetto di carriera tutti questi elementi permetterebbe di disporre di personale formato e rodato, già efficiente e pronto ad intervenire nei processi produttivi. Va da sé che i programmi formativi devono essere concordati con le imprese che dovranno assorbire i giovani e realizzati, anche solo in parte, con loro personale di fiducia: ciò darebbe il massimo della rispondenza ai bisogni da loro espressi. Una grande occasione per le regioni meno sviluppate è rappresentata dalla fortissima spinta alla digitalizzazione che è derivata dalla crisi del Covid 19: grazie alla dematerializzazione di moltissimi percorsi formativi (ormai i MOOC sono uno standard) è possibile infatti accedere a sessioni di altissima qualità a costi irrisori e senza dover affrontare problemi logistici come il trasferimento da città a città.

Ciò apre ad una democratizzazione delle compentenze, che può permettere anche in condizioni di serio disagio economico di accedere ad un bene primario come la formazione. La scelta di utilizzare piattaforme digitali consente inoltre di poter selezionare i migliori docenti senza vincolo di appartenenza territoriale, aumentare a dismisura il numero dei discenti, rendere flessibile la fruizione del servizio e trasferire documenti e altri supporti senza alcun problema. Resta quindi solo da sensibilizzare il discente ad una fruizione efficace del servizio.

7) Placement ed incentivi. Uno degli elementi di maggiore criticità per la riuscita di tale progetto formativo e lavorativo è la scelta della “giusta” carriera a cui indirizzare i giovani. Andrebbero quindi incentivate solo le azioni formative che riguardino quelle figure professionali per cui c’è una richiesta insoddisfatta, facilmente rinvenibili nelle statistiche nazionali o internazionali, e siano esse figure “storiche” come conciatori, falegnami, sarti, cuochi o figure innovative come il data scientist o il project manager.

Inoltre andrebbe limitata al massimo la formazione per figure professionali con minor livello di specializzazione in modo tale da concentrare le risorse su percorsi formativi ad alto valore aggiunto che non aumentino la competizione nella fascia bassa dell’occupazione. Appare opportuno puntare su figure professionali che non si sovrappongano a quelle presenti in mercati saturi o che presentino un buon grado di innovazione in prospettiva di una futura evoluzione dei processi produttivi.

Per ottenere un risultato ottimale rispetto al programma formativo qui descritto, è cruciale partire dalla presa in carico dell’utente. In questa fase i giovani devono effettuare con l’ausilio di un esperto un bilancio delle competenze dettagliato ed articolato e la conseguente stesura di un piano formativo individualizzato che rimandi ai servizi, pubblici o privati, individuati come necessari per compensare le condizioni di svantaggio emerse.

Ad esempio, ai giovani non diplomati potrebbe essere imposto di completare gli studi in un istituto superiore, di frequentare corsi per la professionalizzazione, compensare con azioni formative mirate alcune delle carenze evidenziate (ad esempio le lingue straniere) e poi, partendo da questa nuova base, entrare nel mondo del lavoro attraverso stage, tirocini extracurriculari e apprendistato. Pena la perdita dei sussidi come il reddito di cittadinanza. In questa fase è essenziale la sinergia tra il decisore pubblico e le sue strutture (centri per l’impiego, Anpal, scuole, camere di commercio, etc) e i servizi erogati dai privati.

8) Un nuovo rapporto tra pubblico e privato. Lo Stato e le Regioni, come autorità competenti, dovrebbero attuare l’articolo tre della Costituzione contribuento a rimuovere gli ostacoli che non consentono le pari opportunità. Di contro, dovrebbero lasciare ai privati la possibilità di realizzare i servizi con la flessibilità necessaria per un’efficace ed efficiente attuazione degli stessi.

Nel settore della formazione, in particolare, appare evidente la necessità di mutare con grande frequenza le figure dei formatori secondo le mutate necessità del mercato. La rigidità imposta dai contratti pubblici appare incompatibile con l’elevato turnover qui necessario. Allo Stato ed alle Regioni rimane quindi il ruolo del regolatore, di monitoraggio e di finanziatore delle attività svolte secondo gli obiettivi centrati, mentre l’attività operativa va lasciata agli operatori privati.

*Documento curato e coordinato da: Carmelo Cutrufello (esperto di finanza agevolata e progettazione europea); Piero David (economista del Cnr).

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