Aveva comunicato che non avrebbe partecipato alla conferenza dei presidenti della Comunità delle autonomie e così è stato. A La Rioja, il 31 luglio, l’annuncio dell’assenza di Quim Torre, presidente della “Generalitat” della Catalogna, ha un peso particolare.
Non soltanto perché all’incontro con il primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez, si sarebbe dovuto discutere della situazione epidemiologica di tutto il Paese e della questione economica (legata soprattutto alla ripartizione dei fondi covid-19 tra le diverse comunità), ma anche perché la regione autonoma, al momento, conta un numero consistente di contagi.
Torra, assente insieme a Iñigo Urkullu, alla guida dei Paesi Baschi, aveva definito l’incontro «non utile» per le modalità con cui era stato organizzato e aveva giustificato la sua assenza perché la delicata situazione sanitaria catalana richiedeva il massimo delle sue energie.
Torra, nel comunicare la scelta di non presentarsi a La Rioja, in attesa dell’organizzazione di un vertice bilaterale con Sanchez,ha evidenziato che, nel periodo di massima crisi, aveva accettato di partecipare alle conferenze dei presidenti regionali ogni domenica per via telematica, ma che questi incontri si sarebbero limitati a illustrare «decisioni già prese» dal governo di Madrid «senza alcuna possibilità di dialogo o di accordo su eventuali cambiamenti».
A conferma del fatto che nemmeno l’emergenza covid-19 ha fermato, in questi mesi, gli attriti tra esecutivo centrale e regione autonoma. Che non smette di chiedere l’indipendenza.
“Stati” diversi, numeri diversi
La Catalogna, che già da metà luglio risultava essere una delle regioni spagnole più colpite dal nuovo coronavirus, ha continuato a registrare un numero consistente di contagi giornalieri. Così Francia, Regno Unito e Germania, nelle ultime ore, hanno sconsigliato ai loro cittadini di andare in vacanza in Spagna, evitando in particolare i viaggi non essenziali in Catalogna, Aragona e Navarra.
Già il 24 luglio, le autorità catalane riferivano di una media di 50 ricoveri quotidiani, sottolineando però che il dato poteva essere anche dieci volte superiore a quello fornito dal ministero della Sanità spagnolo. La discrepanza, secondo gli esperti, derivava dal fatto che i dati registrati dal ministero arrivavano da un sistema di sorveglianza epidemiologica (chiamato SiViEs), una piattaforma che raccoglie individualmente i positivi, la data di insorgenza dei sintomi, i ricoveri o i decessi.
La Catalogna non avrebbe aggiornato questo database in tempo, nonostante il ministero continuasse a pubblicare le informazioni (anche se, in parte, incomplete). E il risultato, almeno secondo l’Agenzia catalana di valutazione della Salute, è stata l’offerta di una visione parziale della situazione.
La (grave) situazione catalana
Lo scorso 27 luglio, come confermato dai numeri, l’aumento dei focolai preoccupava il presidente Torra, che definiva i dati epidemiologici “molto simili” a quelli dello scorso marzo. Da lì, la decisione di compiere dei “passi indietro” per scongiurare un ulteriore peggioramento della situazione sanitaria, come la chiusura di pub, discoteche e locali.
Che a molti catalani, però, è sembrato più un tentativo tardivo di correre ai ripari, piuttosto che una soluzione concreta di contenimento dei casi. In molti, infatti, hanno attribuito parte della responsabilità dell’aumento dei nuovi contagi giornalieri proprio al governo locale, che avrebbe commesso diversi errori, a partire dalle previsioni (sbagliate) legate a una seconda ondata e dalla mancanza di un sistema abbastanza efficiente di tracciamento dei nuovi positivi.
Gli errori
Una volta terminato lo stato d’emergenza, a fine giugno, ciò che veniva richiesto dal governo centrale di Madrid alle varie autonomie era la garanzia di strumenti di protezione e dispositivi di sicurezza (in particolare per il personale sanitario), ma soprattutto la certezza del tracciamento.
Secondo gli esperti, l’impreparazione per un’eventuale seconda ondata ha costituito l’errore più grave commesso dal governo locale. La “Generalitat”, si aspettava un aumento dei nuovi contagi in autunno, verso la metà di ottobre, e che il picco si sarebbe raggiunto a dicembre. Poi ci sono state le pressioni del governo locale per il ri-ottenimento della mobilità dopo lo stato d’emergenza, ma anche lo scarso tracciamento dei positivi (soprattutto a Barcellona).
La possibilità di muoversi, nei fatti, ha permesso a molti cittadini di spostarsi, raggiungere altri luoghi di residenza e affollare spazi e locali. Ed è stato confermato, soprattutto nell’area metropolitana del capoluogo, che la mancanza di sanzioni nei confronti di chi si assembrava, per esempio, ha permesso il mantenimento di comportamenti scorretti o pericolosi.
Nelle ultime settimane, la “Generalitat”, che come gli altri governi locali mantiene l’autonomia sulla gestione della Sanità, ha invitato la popolazione a limitare le uscite a spesa e lavoro, ma l’area (per adesso) non è stata confinata.
La chiusura (tardiva) dei locali
Il 25 luglio, la reintroduzione delle restrizioni (che erano state allentate al termine dello stato d’emergenza, il 21 giugno, gestito sempre da Madrid) ha quindi imposto la chiusura a mezzanotte di sale gioco, casinò e altri esercizi della vita notturna. Il che ha suscitato l’indignazione di parte dei commercianti del settore, secondo cui la decisione della “Generalitat” potrebbe portare alla chiusura definitiva dell’80 per cento dei locali.
Le prime misure avevano riguardato, in particolare, L’Hospitalet de Llobregat, seconda città per numero di abitanti, a pochi chilometri dal centro di Barcellona, e circa quattro milioni di catalani, invitati a rimanere a casa per evitare un peggioramento della condizione sanitaria. «Ciò che ci tirerà fuori da questa situazione è l’atteggiamento collettivo», aveva dichiarato Torra, appellandosi al senso di responsabilità dei suoi concittadini. I quali, però, non sempre risultano abbastanza disciplinati (soprattutto nelle grandi città).
Le critiche alla “Generalitat”
Nell’ultima settimana di giugno, un incremento dei casi vicino a Lleida aveva ricominciato ad allarmare la regione. Perché, se all’inizio, il problema dei contagi sembrava coinvolgere soltanto alcuni braccianti stagionali che raccolgono la frutta nel Segrià, in seguito si erano registrati altri casi in tutta la popolazione.
Lleida, posta in quarantena all’annuncio di primi contagi, aveva subito criticato la “Generalitat” per non avere imposto a L’Hospitalet e soprattutto a Barcellona le stesse restrizioni. Ma più di tutto, il governo di Torra è stato contestato da Lleida per non aver comunicato in modo tempestivo i nuovi casi positivi, permettendo nei fatti una più rapida diffusione del virus (contando che, adesso, nel Paese il numero più alto dei contagiati è costituito da soggetti asintomatici).
La ragione, ancora una volta, è legata al non allineamento del governo locale con il sistema centrale. In molti, poi, ritengono insufficiente il numero di pattuglie destinate a far rispettare le disposizioni di sicurezza sanitaria, nonostante gli obblighi.
La questione politica (e l’indipendentismo)
I contorni politici della situazione sanitaria catalana (non del tutto decifrabili) chiariscono bene anche le tensioni tra i principali partiti che rivendicano l’indipendenza della regione (e che, per ora, governano insieme).
Perché se Torra, appartenente alla formazione di centrodestra, Junts per Catalunya, guida il governo, Esquerra Repubblicana, il partito di sinistra, controlla il dipartimento della Salute. I gruppi si sarebbero scontrati prima sulla gestione dell’emergenza e poi anche sull’opportunità di mettere in quarantena Lleida. Ma non è da sottovalutare nemmeno la questione nazionale.
Molti spagnoli sono convinti che Sanchez non abbia “interferito” con le decisioni di Torra per lasciarlo fare, sperando forse in una nuova elezione. In ogni caso, il tema dell’indipendentismo resta centrale nel dibattito sull’autonomia, anche durante l’emergenza sanitaria. Torra, infatti, nei giorni scorsi, avrebbe dichiarato che se la Catalogna fosse stata indipendente probabilmente il bilancio dei morti sarebbe stato diverso.