Sono centinaia le occasioni di nuovi finanziamenti perse dalla comunità scientifica dopo che il Consiglio europeo di luglio ha tagliato di 13,5 miliardi la richiesta della Commissione per il budget di Horizon Europe, il programma quadro europeo per la ricerca e l’innovazione 2021-2027. Le conseguenze, infatti, colpiscono anche l’European Research Council (ERC), l’organizzazione dell’Unione che sostiene la ricerca “di frontiera” assegnando grant milionari alle migliori idee dei ricercatori che lavorano in Europa: se la decisione non sarà rivista nelle prossime negoziazioni, l’Erc non riceverà il sostanzioso aumento di budget di cui si parlava da almeno due anni.
La storia è un po’ complicata, ma la riassumiamo così: nel 2018, la Commissione aveva fissato la sua proposta per Horizon Europe a 83,5 miliardi. A maggio 2020 – dopo l’arrivo del coronavirus e con il lancio di NextGenerationEU – l’aveva limata a 80,9, accoppiandole però altri 13,5 miliardi provenienti dal programma di recovery, per un totale di 94,4 miliardi. Non ha funzionato: nonostante i richiami pubblicati dalle maggiori istituzioni scientifiche europee in difesa di Horizon Europe – come quelli del “G6” della ricerca, che raggruppa il Cnr italiano, il Cnrs francese, il Csic spagnolo, e tre istituzioni tedesche, o il comunicato dello stesso ERC – il Consiglio europeo di luglio ha tagliato entrambi gli stanziamenti, assegnando solo 75,9 miliardi dal budget UE e 5 da NextGenerationEU: 80,9 miliardi in tutto.
Problema: l’ERC riceve i propri fondi da una quota di Horizon Europe che, secondo i piani del 2018, è pari al 17,6% della parte proveniente dal budget pluriannuale dell’UE (passato da 83,5 a 80,9 a 75,9 miliardi). Prendendo come riferimento questa quota del 17,6%, il finanziamento dell’organizzazione è sceso dai 14,7 miliardi prospettati dalla prima proposta della Commissione di due anni fa, ai 14,2 della proposta di maggio 2020, ai 13,3 miliardi dell’ultimo taglio in Consiglio europeo. Rispetto a quanto atteso, l’ERC avrebbe perso così circa 900 milioni solo nell’ultimo atto, ma come ci fa notare il nuovo Presidente ad interim dell’ERC Jean-Pierre Bourguignon in uno scambio di e-mail, rispetto all’originale proposta del 2018 (che lui usa come riferimento) mancherebbero 1,4 miliardi di euro: soldi che avrebbero potuto finanziare approssimativamente 700 nuovi grant.
L’ERC ne assegna ogni anno di cinque tipi, secondo un approccio bottom-up: i ricercatori, liberi da obiettivi predeterminati, devono proporre progetti abbastanza ambiziosi da poter spostare la frontiera della conoscenza nel loro campo. I tre finanziamenti principali a cui concorrono coprono fino a cinque anni di ricerche: si chiamano Starting, Consolidator e Advanced grant, e sono dedicati rispettivamente a chi ha da 2 a 7 anni di esperienza dopo aver conseguito il dottorato (Starting, per i giovani), a chi ne ha da 7 a 12 (Consolidator, per i meno giovani) o ai ricercatori di comprovata esperienza che hanno ottenuto risultati significativi negli ultimi 10 anni (Advanced).
Ciascun grant può valere fino a 1.5, 2, o 2.5 milioni di euro (il Synergy, diverso e dedicato ai gruppi, arriva addirittura a 10) ed è assegnato al singolo ricercatore secondo l’unico criterio dell’eccellenza scientifica: dopo un processo di selezione basato sulla “peer review” solo l’11-14% dei progetti presentati ottiene il finanziamento. Un aumento di bilancio, suggeriscono dall’ERC, avrebbe potuto alzare questa soglia grazie all’assegnazione di un numero maggiore di finanziamenti o permettere, ad esempio, l’apertura di un nuovo tipo di grant.
Dal canto loro, le università hanno interesse a ospitare i vincitori, che spesso fanno studi di grande impatto (6.100 degli articoli prodotti con finanziamenti ERC erano, secondo dati del 2018, nell’1% delle pubblicazioni più citate), ricevono premi (magari più in là nel tempo: in sette hanno vinto un Nobel successivamente a un grant ERC), e assumono collaboratori. Stando all’ultima valutazione a campione del proprio lavoro pubblicata dall’European Research Council, il 16% dei progetti finanziati da Starting o Consolidator grant conclusi tra luglio 2015 e giugno 2016 si sarebbe dimostrato una vera svolta per la ricerca, mentre un altro 59% avrebbe portato a un importante progresso scientifico.
Come è possibile, allora, che con una pandemia in corso i Capi di Stato e di governo abbiano ridimensionato proprio il programma che fa di ricerca e innovazione la sua ragion d’essere? «Le incertezze di Brexit hanno causato enormi ritardi nella preparazione del programma quadro complessivo 2021-2027», spiega il presidente, ma «A partire da febbraio 2020, la pandemia ha cambiato completamente sia l’attenzione dei politici che quella dei media e dell’opinione pubblica».
Sull’onda della crisi economica portata dal Covid-19 e della necessità di interventi straordinari da parte dell’UE si è creato «un contesto molto particolare per la parte del negoziato relativa a Horizon Europe», racconta Bourguignon: «La posta in gioco politica era così alta che le questioni più tecniche sono diventate secondarie e le argomentazioni [in favore della ricerca] più difficili da portare nella discussione».
Ma il 2020 è stato un anno difficile anche per l’ERC, che è rimasto per mesi sotto la guida temporanea dei suoi tre vicepresidenti dopo che in aprile l’ex-presidente Mauro Ferrari, insediato solo da gennaio, ha annunciato le sue dimissioni accusando di inefficienza la burocrazia dell’UE nella lotta al Covid a seguito della bocciatura unanime di un suo progetto in seno all’organizzazione. Si è presto scoperto che il Consiglio scientifico dell’ERC ne aveva richiesto espressamente le dimissioni a fine marzo sulla base della “completa mancanza di apprezzamento” della raison-d’être dell’organizzazione e di altre accuse per comportamenti inappropriati.
Il caso ha rischiato di oscurare temporaneamente tanto l’impegno delle istituzioni UE nella lotta al Covid che l’importanza della missione dell’European Research Council. Missione da subito difesa da una lettera aperta di 300 grantee italiani, da un comunicato del “G6” della ricerca, e sottolineata da una petizione che ad aprile chiedeva a Parlamento, Consiglio e Commissione UE di proteggere i fondi ERC all’interno di Horizon Europe. Bourguignon, già presidente dell’organizzazione dal 2014 al 2019, è tornato ad occupare il posto vacante solo a partire dal 27 luglio, quando l’accordo del Consiglio europeo su bilancio pluriennale e NextGenerationEU era ormai cosa fatta. Ora, l’obiettivo è ribaltarlo.
«La prima battaglia è quella per il budget di Horizon Europe e per la giusta quota all’ERC», ci scrive il presidente, secondo cui sono necessarie due cose: primo, «che i politici si rendano pienamente conto che si tratta di un programma settennale per il quale è fondamentale una visione a lungo termine» e, secondo, che «resistano alla tentazione di dirigere la ricerca con impazienza a caccia di risultati rapidi».
«I risultati ottenuti dai beneficiari di grant ERC, ai quali è stata affidata la libertà di seguire la loro curiosità scientifica, forniscono ottimi argomenti per dimostrare che la ricerca di frontiera è molto importante anche per affrontare crisi inaspettate», scrive, convinto che la scelta migliore per il futuro sia continuare a dare i mezzi ai ricercatori più ambiziosi per sviluppare le loro idee. «L’ERC ha dimostrato di saperlo fare in modo efficiente e con un forte impatto. È questo il discorso da fare con forza ai governi e ai membri del Parlamento europeo per convincerli della necessità di dare i finanziamenti inizialmente previsti per Horizon Europe, e di allontanarsi da tagli che sono andati troppo oltre».
Intanto, nella sua ultima risoluzione, il Parlamento europeo ha criticato i tagli fatti dal Consiglio e spera di riuscire a incidere nelle negoziazioni che verranno. «La lotta continua», ci scrive Bourguignon nel suo ultimo messaggio: «Con la speranza che la discrepanza tra le ambizioni politiche dichiarate e i mezzi dati alla ricerca e all’innovazione venga affrontata nel corso dei negoziati tra Parlamento europeo, Consiglio dell’UE e Commissione europea».