Che fine ha fatto baby Dario? L’assenza di Dario Franceschini dalle ultime baruffe politiche, dall’immigrazione al Mes al referendum sul taglio del numero dei parlamentari si fa sentire più di cento interviste, ed è strano che l’uomo che tutti considerano il vero uomo forte del Partito democratico (il “SegreDario”, si ironizza) non parli di politica da tempo.
Secondo la rassegna stampa del gruppo dei deputati dem addirittura l’ultima uscita politica sui giornali è di gennaio, quando il Covid non aveva ancora cambiato il mondo e Dario in ogni caso propugnava il ritorno al proporzionale in vista di un “bipolarismo light” (questa ci era passata di mente) fra Partito democratico e Lega – una previsione come un’altra.
L’ultima “dottrina Franceschini” invece è della tarda primavera, è in quel momento che il ministro mette giù per bene la teoria dell’AS (“Alleanza strategica”, detta anche “permanente” come la Rivoluzione per Trotskij). Siccome, in ogni caso, quando parla Franceschini è sempre bene apprezzare orecchie ne scrivemmo su Linkiesta il 30 maggio (e ci si perdoni l’autocitazione): «La scommessa su un patto politico di lunga durata che sconterebbe la rottura con Renzi (e al Partito democratico ne sarebbero entusiasti) probabilmente mette in conto una possibile spaccatura dei grillini, puntando a fare della “parte buona” un nuovo pezzo del Partito democratico che verrà. Una novità strategica, quella del ministro della Cultura, che meriterebbe una discussione interna. Di cui però non si vede l’ombra».
E in effetti prima della discussione interna, che non ci fu mai, vennero i fatti a smorzare gli entusiasmi sulla AS e soprattutto adesso, prima che la baracca chiuda per ferie, si staglia all’orizzonte la sagoma incagliata di questa nave a due alberi che secondo il ministro della Cultura avrebbe solcato gli oceani a vele spiegate che nemmeno Soldini: ebbene i due alberi non stanno funzionando a dovere, si litiga, non ci si capisce, si nicchia, ci si tradisce. Scene da un matrimonio appena cominciato e già finito, parrebbe. Se n’è accorto infatti Goffredo Bettini, l’Achab del Partito democratico, che di AS non parla più e al massimo derubrica l’alleanza coi grillini a formula dettata dalla necessità, come quando si apre l’ombrello appena piove.
È molto probabile che se ne stia rendendo conto anche il capodelegazione dem al governo, che proprio grazie a questo suo ruolo vede tutti i giorni affastellarsi le polemiche col dirimpettaio Di Maio, dalla sicurezza ai non-accordi alle Regionali (tranne l’orlandiana Liguria), allo strano referendum sul taglio dei parlamentari fino all’imbarazzo per un sottosegretario agli Esteri del Movimento che confonde Libano con Libia, e si potrebbe continuare
Ecco, è possibile che Franceschini, il più esperto di tutti, il cavallo di razza margheritino e democratici, abbia sottovalutato la contraddizione che c’è fra un partito riformista e uno a-democratico, intimamente antiparlamentare, populista e refrattario alla trasparenza.
Di certo, sono ore che richiederebbero un elevato tasso di professionismo politico per quadrare cerchi impossibili. Guardiamo la vicenda del referendum. Forse – e sottolineiamo forse – ci sarebbe voluta l’esperienza istituzionale di cui il ministro della Cultura dispone per evitare di infilarsi in un tunnel senza uscita, a parte l’umiliazione di venire avanti con le mani alzate. Cosa pensa, “Dario” di questa vicenda che sta toccando un nervo profondo del Partito democratico, le regole, il Parlamento, la rappresentanza?
Ieri per esempio il Nazareno ha tirato fuori uno zuccherino per indorare la pillola ai renziani (i quali non ne sembrano molto turbati) e rendere un po’ più plausibile quel Sì già promesso ai grillini sull’altare del Conte bis.
Si tratterebbe di approvare presto in prima lettura un ddl costituzionale per modificare la base di elezione del Senato, rendendola circoscrizionale e quindi più rappresentativa e attenuativa degli squilibri creati nelle regioni più piccole dalla riduzione del numero senatori; e parificare l’età di elettorato attivo e passivo fra Camera e Senato. Non pare un menù particolarmente succulento.
E infatti negli ambienti del Comitato per il No l’ipotesi viene considerata “ridicola”, certo non in grado di evitare quei problemi alla democrazia italiana evocati dallo stesso Zingaretti.
Facile previsione, dunque: non cambierà nulla, il Partito democratico è sempre nel tunnel che si è scavato da solo. Anzi, glielo hanno scavato quelli del Movimento, l’altra metà dell’Alleanza strategica di Dario Franceschini. Il quale osserva, e tace, chissà se chiedendosi dove ha sbagliato.