Il protettorato di Erdogan In Libia c’è un accordo di pace, ma senza l’assenso di Egitto e Emirati si rischia una nuova escalation

Mentre l’Italia si occupa di altre faccende, nel paese nordafricano la situazione politica evolve velocemente: un cessate il fuoco è più vicino, anche se per adesso l’intesa per deporre le armi è soltanto tra libici, e i padrini di Haftar non hanno dato il loro assenso. In ogni caso, Roma, che poteva essere un attore fondamentale in questa fase, rimane pura spettatrice

Mahmud TURKIA / AFP

Con una sorta di golpe tutto politico, Aguila Saleh, il presidente del Parlamento della Cirenaica, sta tentando una doppia, clamorosa, manovra che modifica radicalmente la crisi libica. 

Nel nome del Parlamento di Tobruk, ha infatti siglato un improvviso – ma preparato sotto traccia da tempo – accordo di pacificazione piena e totale col governo di Tripoli di Fayez al Serraj che ha come implicazione immediata e diretta la defenestrazione dal comando effettivo del generale Khalifa Haftar e quindi la fine dell’influenza in Libia dell’Egitto del generale al Sisi e degli Emirati Arabi Uniti. 

Mossa azzardata, priva dell’elemento fondamentale del controllo delle forze armate della Cirenaica, che rimane ad Haftar, per ora, contro la quale questi, l’Egitto e gli Emirati sicuramente reagiranno.

Dopo settimane di suoi intensi rapporti vuoi con Mosca, vuoi con Washington, vuoi con Ankara, Aguila Saleh ha infatti offerto a Fayez al Serraj un accordo di pacificazione che non poteva che essere accettato. Riconoscimento reciproco della piena legittimità delle due componenti politiche di Tripoli e Bengasi, nuovo Consiglio Presidenziale allargato, smilitarizzazione di Sirte e al Jufra controllate d’ora in poi dalle due forze, in piena pace, elezioni politiche a marzo. 

Fine definitiva quindi della minacciata e incombente guerra per il controllo di Sirte e al Jufra nella quale l’Egitto si preparava a intervenire massicciamente facendo fare un salto drammatico alla crisi libica. Questo l’impianto complessivo dell’accordo accettato in linea generale dalle due parti ma che ora dovrà essere implementato.

Plauso dell’Onu e dei paesi europei (ma l’Italia avrebbe potuto con facilità intestarsi questo successo, se solo avessimo in ministro degli Esteri o almeno una politica estera), ma soprattutto molta suspence sulla reazione di Haftar, Egitto ed Emirati. Questi, infatti, hanno sempre considerato e detto formalmente che il governo di al Serraj (nel quale i Fratelli Musulmani sono egemoni) è «terrorista», quindi non un interlocutore possibile, tanto che hanno fatto di tutto per abbatterlo manu militari.

Sconfitti dall’intervento militare di Recep Tayyp Erdogan (che ora, ottenute la base militare navale turca a Misurata e la base militare aerea turca a al Watiya può considerare la Libia un suo protettorato), Haftar, Egitto ed Emirati ora si devono confrontare con una pacificazione tra Aguila Saleh e Fayez al Serrai, tra Bengasi e Tripoli, che semplicemente li espelle dallo scenario libico e che per di più consolida enormemente l’egemonia turca sulla Libia. Altro elemento per loro intollerabile. Come intollerabile è dover registrare che l’intera operazione, trionfo personale di Erdogan, si è conclusa solo grazie all’assenso di Vladimir Putin, contattato direttamente dal presidente turco.

Dunque, Mosca non ostacola la proiezione della potenza regionale turca sulla sponda meridionale del Mediterraneo (trionfo della visione neo ottomana di Erdogan) a patto che venga concordata passo dopo passo.

Ma proprio il trionfo politico della Turchia è intollerabile per l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti che si troverebbero sconfitti in una battaglia libica, fondamentale per il contrasto dei Fratelli Musulmani (il cui leader è ormai Erdogan) a livello planetario.

Da qui la loro imminente reazione che non si preannuncia per nulla pacifica.