Secchiello, spiaggia e sbarchiIn Libia la guerra sta per ricominciare, Luigi Di Maio si occupa di migranti in Tunisia

Lunedì sono atterrati in contemporanea a Tripoli Halusi Akar, ministro della Difesa della Turchia e Khalid al Attyha, ministro della Difesa del Qatar, per organizzare i dettagli del probabile assalto a Sirte e al Jufra, città costiere controllate da Khalifa Haftar. Un teatro in cui sono coinvolti anche Egitto, Russia, Emirati, ed è di interesse vitale per l’Italia. Eppure il ministro degli Esteri si occupa di altro

AFP

Spirano venti di guerra in Libia, mentre l’ignaro ministro degli Esteri Luigi Di Maio se ne va in Tunisia, di tutto occupandosi, fuorché della leadership che l’Italia dovrebbe esercitare – ma invece latita – sui due scenari di tensione nel Mediterraneo: la possibile guerra per Sirte e le tensioni al calor Bianco tra Grecia e Turchia nella contesa per gli immensi giacimenti metaniferi attorno a Cipro e alle isole greche.

Lunedì, si è visto un segnale preoccupante: sono infatti atterrati in contemporanea a Tripoli Halusi Akar, ministro della Difesa della Turchia e Khalid al Attyha, ministro della Difesa del Qatar. Scopo della vista congiunta è dichiaratamente il potenziamento del contingente militare che i due paesi hanno dislocato attorno a Sirte e al Jufra, in aiuto alle milizie di Misurata, in vista di un’offensiva per riconquistare i due nodi strategici fondamentali.

 Sino a quando infatti queste due città rimarranno, come sono oggi, sotto il controllo delle truppe del generale Khalifa Haftar, che controlla la parte orientale del paese, la Tripolitania rischia un nuovo attacco militare da parte della Cirenaica. Quando e se le due città ritorneranno sotto il controllo del governo di Tripoli, la divisione in due della Libia sarà formalizzata. Infatti, più volte, all’unisono, sia il presidente del Consiglio libico di Tripoli Fayez al Serraj che il presidente turco Recep Tayyp Erdogan hanno dichiarato nelle ultime settimane che la tregua tra Tripoli e Bengasi potrà essere siglata solo dopo che Sirte e al Jufra saranno riconsegnate al controllo militare del governo di Tripoli e si tornerà alla situazione del 2015.

All’opposto, il dittatore egiziano Abdel Fatah al Sisi sostiene da settimane con retorica roboante che per Sirte e al Jufra passa una linea rossa e che tutte le forze armate egiziane sono pronte a invadere in Libia per combattere a fianco di quelle degli Emirati Arabi Uniti, dei miliziani russi della Wagner e dell’esercito di Haftar per contrastare chi voglia conquistarle.

Una situazione esplosiva, che, con l’invasione egiziana della Libia può segnare una escalation bellica drammatica, che vede però intensissime pressioni e trattative diplomatiche da parte della Russia (più volte Vladimir Putin ha parlato con Recep Tayyp Erdogan), dell’Unione Europea e degli Stati Uniti.

Unica assente totalmente ingiustificata in queste trattative, l’Italia di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio che si sono letteralmente e irresponsabilmente dimenticati del dossier libico.

Dossier del quale si occupa invece – finalmente –  la diplomazia americana, che ha abbandonato l’opzione pro Haftar, che l’umorale Donald Trump aveva privilegiato, salvo poi accorgersi che è un perdente, oggi in funzione di mediazione. Un impegno statunitense che è sicuramente stato richiesto dagli Emirati Arabi Uniti in cambio della loro adesione allo storico Accordo di Abramo, che stanno in queste ore perfezionando con Israele per arrivare al riconoscimento formale dello Stato Ebraico.

Trattativa difficilissima e irta di difficoltà perché sia il governo di Tripoli che la Turchia e il Qatar pretendono che ne sia premessa indispensabile la defenestrazione definitiva del generale Khalifa Haftar (che accusano non a torto di crimini contro l’umanità), tanto che si rifiutano di parlare con i suoi emissari e pretendono di trattare solo col parlamento di Tobruk. 

La prospettiva della defenestrazione di Haftar, peraltro, è palesemente considerata una prospettiva più che auspicabile da Aqila Saleh, potente presidente del parlamento di Tobruk, attivissimo in questi giorni nei suoi contatti con Russia e Stati Uniti, nella evidente prospettiva di sostituire lo stesso Haftar come leader della Cirenaica.

Certo è solo che la visita a Tripoli dei due ministri della Difesa di Qatar e Turchia in questo contesto non è un segnale di appeasement, anche perché i due paesi intendono formalizzare l’impianto di una base militare turca a Misurata e una base aerea turca nell’aeroporto di al Watiya. Questo, per rafforzare il dispositivo di attacco che i due paesi hanno disposto a fronte di Sirte e al Jufra che è già più che minaccioso: 15.000 armati forniti dalla Turchia (sotto il comando dell’abile generale turco Irfan Tir Ofzert) oltre alle milizie di Misurata, centinaia di autoblindo e panzer, decine di efficientissimi droni da combattimento Bayraktar T B2 Ucav e naturalmente decine di jet.

In conclusione, questa escalation dei preparativi per lo scoppio di una vera e propria guerra guerreggiata per Sirte, che vede in contemporanea l’Egitto addensare alla frontiera con la Libia centinaia di carri armati e migliaia di soldati pronti all’invasione, non pare dare molto spazio ad una mediazione.

A meno che gli Stati Uniti, che ormai hanno preso atto sconcertati della latitanza piena dell’Italia in Libia, non intervengano con forza come mediatori, anche per ripagare gli Emirati Arabi Uniti della loro clamorosa apertura a Israele.

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