Il cibo ha un potere infinito, dal simbolico fino al politico. Ci ha ricordato questo una (lunga) e illuminante chiacchierata con Nicolò Scaglione, che sulla carta d’identità, alla voce professione, ha scritto qualcosa di assolutamente unico: foodscout. Un filosofo della cucina e, ancor di più, un antropologo delle materie prime, che Niccolò sa riconoscere e scovare in ogni angolo dell’Italia e del mondo. La sua missione è mettere in connessione i migliori artigiani con i migliori ristoratori e panificatori. Il tutto con due soli dogmi a fare da stella polare lungo il suo cammino: la libertà e la qualità. Senza compromessi.
Ma che cosa significa fare il foodscout? «Io ho iniziato circa 10 anni fa – racconta Scaglione – a scrivere di artigiani. Lo facevo per passione sul mio blog Il Sapere dei sapori (trovate ancora tutto online ndr), sul quale ho scritto di almeno 1000 produttori sparsi in giro per l’Italia. Inizialmente avevo un approccio umanistico, dovuto ai miei studi filosofici, che poi è cambiato verso uno sguardo più scientifico, per capire e far capire cos’è la pastorizzazione, la vaso cottura o il lievito madre. Le mie sono sempre domande stringenti: entro e chiedo i perché di una certa scelta produttiva. Non tutti la prendono bene». Il passo successivo, continua Nicolò, è quello della connessione: «Ho poi voluto mettere in comunicazione i produttori, gente che spesso non ha tempo per cercare e trovare altri prodotti e artigiani. Tutto, però, sempre in piena libertà. Non mi interessava vendere o scrivere per soldi. Nessuno mi ha mai pagato nulla. Se consiglio un prodotto è perché semplicemente mi piace. Il resto non mi interessa».
ALTA RISTORAZIONE
Da una rete di produttori alla creazione di una rete di produttori e ristoratori è stato un passo fondamentale nella carriera e nel credo di Scaglione: «Ho voluto mettere in relazione due mondi che sembravano inconciliabili, i grandi chef e gli artigiani. Solo quegli chef, però, capaci di fare ammissione di ignoranza e di abbandonare i cataloghi dai quali si rifornivano di prodotti senza faccia. Avere un rapporto diretto con i produttori significa conoscere storie e vite, vite di persone che dedicano tutto al proprio lavoro. Quando un allevatore o un agricoltore ti consegnano un salame o un ortaggio senti il peso di una responsabilità diversa. È empatia. Non si possono sprecare questi prodotti perché attraverso questi si sta dedicando attenzione alla vita di una persona. È molto interessante questa collaborazione, portare gli chef dagli artigiani e vederli proporre idee e, soprattutto, chiedere opinioni legate alle materie prime, perché è l’artigiano il depositario del sapere».
Non tutti gli chef sono in grado di accogliere le critiche: «Io quando vado da uno chef per una consulenza o per uno scambio picchio duro. Dico apertamente quello che penso, nel bene e nel male. Ho un palato ormai esperto, che ho dovuto distruggere e ricostruire dagli innumerevoli assaggi di altrettanti innumerevoli prodotti dei vari artigiani. Ma ciò che più mi preme far capire è che la chiave sta tutta nella cultura, nella conoscenza che guida la scelta di un prodotto. Solo a partire da questo, tutta la tecnica presente in cucina, in panificazione o in pasticceria ha senso: altrimenti sarebbe solo esecuzione».