Virginia Raggi si ricandida a sindaco di Roma. Evviva. Notizia migliore per Milano non poteva esserci. Ma a parte le battute, e registrata la fine del principio grillino di due-elezioni-e-poi-a-casa o forse è passata la surreale linea che si comincia a contare da zero, che ne è della fantasmagorica «alleanza strategica» tra Pd e Cinquestelle?
Cioè che farà adesso il Partito democratico a Roma? Sosterrà Virginia e i suoi bus in fiamme esattamente come sostiene Giuseppi al governo nazionale e i suoi dpcm per provare a fermare la marcia su Roma di Giorgia e Matteo, così come ha fermato (o perlomeno ritardato) quella cominciata lo scorso agosto al Papeete, oppure presenterà un suo candidato sindaco perché va-bene-tutto-ma-Raggi-non-si-
Dilemma cornuto, come si dice: fermiamo i nazisti o evitare una figuraccia a Roma val bene un orbace?
La teoria dell’alleanza strategica dovrebbe valere anche per Roma, visto il valore simbolico della città capitale d’Italia, oppure non ha alcun senso logico e politico anche per tempi come questi dove non esiste più nulla di razionale.
Se Meloni e Salvini sono un pericolo per la democrazia, e lo sono, gli intendenti del Pd dovrebbero scattare sull’attenti a spiegare sui social che dopo i decreti dignità, la quota cento, il reddito di cittadinanza, il giustizialismo, la Casaleggio Associati, i soldi distribuiti a pioggia, Conte e Casalino eroi fulgidissimi del progressismo contemporaneo e la mutilazione del Parlamento la nuova linea della resistenza non può che essere Virginia Raggi. Oppure l’intera costruzione della teoria dell’alleanza strategica si basa su un ragionamento fallace.
La speranza è che il Pd possa ancora uscire da questa sindrome di Stoccolma in cui si è cacciato in modo che sul referendum e su Roma, archiviata la resa sui decreti sicurezza e sulla prescrizione, faccia prevalere un residuo di autostima e di senno per liberarsi dal giogo del grillismo più platealmente becero e fallimentare.
Un candidato democratico sindaco subito, quindi. Ma a patto che non sia una finta, ovvero a condizione che la scelta non ricada su un povero cristo chiamato a condurre una campagna amichevole, una specie di desistenza non dichiarata alla Raggi in vista di un secondo turno cui probabilmente non si arriverà mai perché, a quel punto, ditemi quale cittadino romano populista o antipopulista non si precipiterà a votare di corsa il candidato di Giorgia e di Matteo pur di evitare il rischio che sulla Capitale si abbatta una seconda ondata Raggi?