Scoperte A cosa servono gli chef

Bando allo stupore: la cucina che ci serve è quella buona, e che ci riporta a un sapore conosciuto e riconoscibile, ma fatto talmente bene da superare - in piacere - la nostra memoria del gusto

Commuovermi davanti a un piatto non capita spessissimo, anzi.

Ma quando un piatto feticcio, il riso al pomodoro che è subito casa, è subito cena confortante, è ricetta cattura lacrime che permette di curare ogni ferita dell’anima, diventa un capolavoro di sapore non posso che inchinarmi alla tecnica che si rimette alla semplicità, costruendo piatti comprensibili, tradizionali, ma creativi nel senso più autentico del termine.

E davanti a questo riso cotto in acqua di San Marzano, con crema di pomodori datterini gialli, cosparso di dadi croccanti di cuore di bue marinati con olio e sale e aromatizzato con polvere di piccadilly essiccati, ho avuto una vera illuminazione. Questo piatto era il mio ricordo, ma amplificato dalla bravura, reso sublime dalla tecnica e dalla creatività, esaltato dagli ingredienti perfetti, ma intoccato nella sostanza. 

Se gli chef ‘servono’ a qualcosa, oltre a sfamarci – e nel tempo pare proprio che questa cosa sia assodata – gustando questo piatto ho capito a cosa.

Ad emozionarci regalandoci bocconi di ricordi, fatti meglio di come li ricordiamo e di come li potremmo mai realizzare in casa. Perché non è vero che la nonna cucina meglio. E nemmeno che a noi serva per forza l’effetto wow. 

Non serve essere stupefatti dall’abbinamento ardito, dal menu degustazione infinito, dall’ultima moda dell’ingrediente-che-usano-tutti.

A volte, quando si è davvero bravi, basta prendere riso e pomodoro, e regalare un ricordo sublimato di piacere che riporta a un già assaggiato, ma lo esalta al punto da riuscire a renderlo altro.

È questa la mano felice dello chef, è questo il significato autentico che la cucina fuori casa deve avere: lo stupore nel conosciuto, il comprensibile reso sublime. Il comune, riconoscibile, vicino, che diventa un nuovo modo di intendere la gradevolezza del palato.

Ci è riuscito, con questo incontro felice tra riso e pomodoro, Andrea Besana a La Spezia, nel suo Andree, nuova insegna e parte del gruppo Les Collectionneurs, ci riesce (anzi, lo esige) uno dei pasticceri più bravi al mondo, Cedric Grolet.

Da sempre fissato su un principio inderogabile: non devo inventare nulla, devo fare alla perfezione una cosa che tu conosci già, ma che non hai mai mangiato così buona. Riuscire a rendere perfetto un piatto del ricordo, recuperare la memoria del gusto migliorandola è esercizio ardito, che richiede abilità tecniche sopraffine, capacità, strumenti, materie prime. Ma soprattutto richiede sensibilità, e attenzione al cliente, prima che al proprio ego. Perché presentare in carta un riso e pomodoro, o servire una tortina alla nocciola, è un atto coraggioso e dirompente.

Che ci auguriamo capiti più spesso. Perché ci permette finalmente di misurare l’abilità dello chef non per arditi giochi creativi ma per manualità, tecnica e attenzione al gusto, e a noi.

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