Le nevicate che periodicamente cadono sulla Groenlandia, rinforzando i ghiacciai dell’isola più estesa al mondo e grande sette volte l’Italia, non riescono più a tenere il passo con la fusione che avviene nei periodi più caldi.
Fino agli anni ‘90 il bilanciamento resisteva, ma dal 2000 qualcosa è cambiato: la calotta glaciale (GrIS) ha iniziato a perdere annualmente centinaia di gigatonnellate (cioè miliardi di tonnellate) di ghiaccio, come dimostrano i dati registrati a luglio 2019 da un gruppo di ricerca statunitense, che confermano questo trend sempre più preoccupante. I risultati, confluiti in uno studio pubblicato il 20 agosto sulla rivista scientifica «Nature Communications Earth & Environment», sono basati sull’analisi di rilevazioni satellitari, relativi a 200 ghiacciai, fornite dalle missioni spaziali GRACE e GRACE-FO (Gravity Recovery and Climate Experiment – Follow On), lanciate rispettivamente nel 2002 e nel maggio 2018, combinate con i modelli climatici regionali.
La contrazione dei ghiacciai in Groenlandia costituisce un dato preoccupante per l’intero pianeta. «Possiamo immaginare questa regione come il canarino nella miniera di carbone, e il canarino, ora, è praticamente morto», ha sostenuto Ian Howat, glaciologo della Ohio State University. Tuttavia, il problema non sarebbe così nuovo. Analisi di microfossili presenti nei ghiacci testimonierebbero situazioni analoghe a quella attuale, se non peggiori, già nel tardo Pleistocene. Questo però non deve rassicurare: oggi come allora, il ghiaccio che si scioglie, o si stacca dall’isola, riversandosi nell’Oceano Atlantico contribuisce a innalzare il livello del mare. Dal 1972 questo incremento è attestato a +13,7 mm.
Avvicinandoci un po’ di più ai giorni nostri, è stato riscontrato che nel periodo tra il 2003 e il 2016 la Groenlandia ha disperso circa 255 gigatonnellate di ghiaccio l’anno. Questo processo ha avuto una breve pausa solo nel biennio 2017-2018, grazie a due estati consecutive particolarmente fredde nella regione occidentale e grazie a condizioni autunnali e invernali ricche di neve a est. Tuttavia, nel 2019 c’è stata un’ulteriore e straordinaria perdita che ha indotto un aumento del livello del mare di 2,2 millimetri in soli due mesi.
My favorite figure from our new #Greenland paper out today partitions components of ice sheet imbalances since 1948 and nicely shows the recent shift to large mass losses.
Study led by Ingo Sasgen of @AWI_Media https://t.co/DL9mVKHaiT pic.twitter.com/TAoDWGdiCR
— Michalea King (@Michalea_King) August 21, 2020
Nel corso degli ultimi 20 anni la fusione della calotta groenlandese è avanzata mediamente a un ritmo di circa 280 miliardi di tonnellate di ghiaccio all’anno. Nel 2019 i dati satellitari di GRACE-FO hanno evidenziato una fusione, più che raddoppiata, di 539 miliardi di tonnellate, l’equivalente di una tonnellata di ghiaccio al minuto per tutto l’anno.
«Con tutta questa acqua di fusione potremmo riempire sette piscine olimpiche al secondo, e questo per un anno intero. Il solo mese di luglio ha registrato metà delle perdite, a causa di un’elevata temperatura superficiale», commenta Carlo Barbante, glaciologo e professore ordinario di scienze polari e scienza e gestione dei cambiamenti climatici all’Università Ca’ Foscari di Venezia.
L’incremento dello scioglimento della calotta è riconducibile a più fattori. Da una parte la riduzione dell’albedo superficiale (cioè la capacità di riflettere la luce e, così, “respingere il calore”), dall’altra la migrazione del limite delle nevi ad altitudini maggiori e gli effetti di radiazione delle nuvole. E, ovviamente, l’aumento delle temperature in prossimità della superficie. A tal proposito nello studio si legge che «i modelli climatici globali prevedono che le temperature annuali dell’Artico aumenteranno di circa due volte e mezzo più velocemente rispetto ai tropici».
Michalea King, glaciologa attiva nel lavoro di ricerca statunitense sopracitato, in uno studio condotto da un gruppo di scienziati del Byrd Polar and Climate Research Center dell’Università Statale dell’Ohio e pubblicato su «Nature» il 13 agosto scorso, ha sottolineato che i grandi ghiacciai groenlandesi si sarebbero ritirati, in media, di circa 3 km dal 1985.
In base ai dati relativi a 234 ghiacciai, King ha affermato che negli ultimi 34 anni queste immense distese bianche si sarebbero ritirate talmente tanto, e in profondità, da essere a contatto con l’acqua che, tendenzialmente più calda, ne avrebbe accelerato lo scioglimento. «La calotta groenlandese – commenta Barbante – ha dei meccanismi particolari di fusione. Infatti fonde da sopra, riscaldata dall’atmosfera più calda, ma anche da sotto, all’interfaccia con l’oceano. In questo modo l’acqua più calda si insinua al di sotto delle piattaforme di ghiaccio in contatto con l’oceano, fondendole rapidamente».
Il contributo della Groenlandia all’innalzamento del livello di medio mare è di oltre 1 mm all’anno, che equivale a un quarto del contributo totale di tutti i ghiacciai del mondo: la fusione completa della calotta glaciale porterebbe a un aumento di circa 7 metri. Tuttavia, commentando i dati oggi a disposizione, non è del tutto corretto parlare di un “punto di non ritorno”. «Siamo di fronte a una situazione molto grave per cui non possiamo permetterci di continuare ad alimentare un sistema energetico ancora troppo basato sui combustibili fossili, causa diretta dell’aumento della temperatura del pianeta. Temi come questo debbono essere nelle agende di tutti i paesi e i mezzi di informazione devono portarli nelle prime pagine dei giornali e in prime time», sostiene Barbante.
Più conosciamo questi processi, fa capire il glaciologo italiano, meglio riusciremo a trovare soluzioni per fronteggiare il cambiamento climatico. Parallelamente, rimane fondamentale riuscire a gestire quello che oramai è inevitabile, quindi far fronte alle conseguenze dirette e indirette del cambiamento climatico con sistemi di adattamento. «La riduzione decisa delle emissioni di gas serra e altre azioni di mitigazione – continua l’esperto – ci aiuteranno a evitare in futuro quello che un domani potrebbe essere ingestibile. Molto modelli climatici ci indicano che il superamento della soglia dei 2°C di temperatura porterà nei prossimi decenni a sconvolgimenti ambientali molto importanti».
È dello stesso avviso Stefano Caserini, ingegnere ambientale, docente di mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano e coordinatore del comitato scientifico di Climalteranti, un sito di formazione e discussione sul tema dei cambiamenti climatici. «Questi sono dati chiarissimi che testimoniano la vulnerabilità delle masse glaciali al riscaldamento, che implica una loro destabilizzazione. Si tratta di un processo lento che è, però, molto pericoloso. Questo perché una volta partito è difficile fermarlo: anche se si riducono le emissioni il cedimento prosegue».
Per Caserini i decisori politici non hanno capito un’implicazione fondamentale dell’obiettivo dell’accordo di Parigi. «Serve un’azione drastica per abbattere le emissioni entro il 2050. Bisogna fare i compiti a casa, non è sufficiente ratificare un accordo. Pensiamo a cosa accade in Italia: nonostante dati preoccupanti come quelli pubblicati nel report, a livello politico si parla d’altro. È evidente che, nonostante le frasi di circostanza, non disponiamo di un piano politico e di un’ambizione all’altezza della crisi climatica che stiamo vivendo. Quest’ultima è fatta di tante degenerazioni, tutte piccole, che si sommano e non riescono ad aprire le coscienze».
Ciò che va sottolineato, secondo Caserini, è che i dati sulla Groenlandia vanno compresi soprattutto nella loro dimensione etica, perché ci sono conseguenze per le generazioni future cui lasciamo una pesante eredità. «Monitorare e comprendere informazioni come queste non è sufficiente. È necessario investire in strategie di adattamento e mitigazione. Se non si arriva a emissioni nette zero di gas serra non potremo che assistere a molti impatti inevitabili. Come ho spiegato nel mio «Il clima è (già) cambiato. Nove buone notizie sul cambiamento climatico», ora conosciamo ciò che sta accadendo. E sappiamo che rinunciare ai combustibili fossili ha tanti altri vantaggi. Il passo successivo, e necessario, è agire».