«Ci dovrebbe essere più Unione europea nell’Artico e più Artico nell’Unione europea, perché l’Unione europea ha molto da offrire alla regione». Nell’ottobre del 2019, Antti Rinne, che allora ricopriva la carica di primo ministro in Finlandia, esponeva così il suo concetto di presenza europea in un’area, quella artica, di grande rilevanza politica, ambientale, strategica ed economica.
Perché se la regione, da una parte, rappresenta una serie di sfide nuove per tutti, dall’altra può costituire anche una svolta in termini di influenza (e non solo per l’Europa).
C’è chi lo ha capito prima degli altri, come Russia, Stati Uniti e Cina, attivandosi alla “conquista” di un luogo remoto solo sulle cartine geografiche, ma vivissimo sullo scacchiere internazionale, e chi, invece, ha scelto un approccio più discreto (e più lento).
L’Artico, l’ampia regione geografica dell’emisfero boreale della Terra circostante il Polo Nord e contrapposta all’Antartide, infatti, è ritenuto da sempre un luogo determinante in termini di influenze geopolitiche. E il motivo principale è legato ai concetti di appartenenza e di giurisdizione.
Non essendo parte di un continente unico, ma formato da aree di Europa, Asia, America e dalla banchisa del Mar Glaciale Artico, la regione si è imposta, soprattutto negli ultimi anni, come un crocevia decisivo. E come riportato dall’ultimo report del Parlamento europeo su una nuova impostazione di politica artica, poggiata sul bilanciamento di diversi elementi, come l’investimento infrastrutturale e la sostenibilità ambientale, attualmente l’Unione si sta attivando per rispondere ai più importanti cambiamenti che riguardano la regione. Ovvero la deriva climatica e una sempre più imponente competizione geopolitica (ed economica).
«L’Artico costituisce una frontiera in rapida evoluzione nelle relazioni internazionali. Oltre a trasformare radicalmente la regione, i cambiamenti climatici ne accentuano l’importanza geopolitica e diversi operatori ravvisano nuove opportunità strategiche ed economiche nel Grande Nord. Dobbiamo garantire che l’Artico rimanga una zona caratterizzata da poche tensioni e da una cooperazione pacifica, in cui i problemi vengono risolti attraverso un dialogo costruttivo. L’Unione europea deve disporre di tutti gli strumenti necessari per gestire efficacemente la nuova dinamica, in linea con i nostri interessi e i nostri valori», aveva dichiarato lo scorso luglio Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, parlando della regione e della posizione unica (e privilegiata) ricoperta dall’Unione in quest’area, in quanto istituzione sovranazionale con competenze in parte dell’Artico, e con Stati membri che hanno territori nell’area.
Perché l’Artico rappresenta una questione trasversale. Come segnalato dal report, infatti, l’Unione prima di tutto dovrà occuparsi di sicurezza e dovrà impegnarsi (più degli altri) nel dialogare con la Russia e le altre potenze per rafforzarne il rapporto di fiducia. Perché ciò che preme di più all’Europa è il fatto di non affermarsi o apparire come una potenza globale, ma più come un garante.
Per l’Artico non esiste un trattato internazionale che ne stabilisca un regime giuridico ad hoc. Nei territori, infatti, vengono applicate le norme rilevanti del diritto internazionale: il Polo Nord e la parte circostante del Mar Glaciale Artico appartengono al regime delle acque internazionali e le risorse naturali presenti in quella zona sono patrimonio comune dell’umanità.
Gli Stati costieri dell’Oceano Artico esercitano, invece, la loro sovranità sulle aree di mare che restano, ma la maggior parte dei beni naturali presenti sono sotto la giurisdizione degli Stati artici (e per regolamento non sono oggetto di disputa).
Il Consiglio dell’Artico, istituito dopo la Dichiarazione di Ottawa del 1996, è un forum internazionale che si occupa di questioni locali (dai governi artici all’ambiente; dall’economia ai diritti delle popolazioni indigene) e che si costituì per garantire alla regione uno sviluppo sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale.
Non rappresenta un’organizzazione internazionale, ma è una tavola rotonda per la cooperazione intergovernativa. È composto dagli Stati artici, ovvero Canada, Danimarca (che rappresenta la Groenlandia e le Isole Faer Øer), Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Stati Uniti (che rappresentano l’Alaska) e Svezia.
Conta un gruppo di membri “osservatori” permanenti (Cina, Corea del Sud, Giappone, India, Italia, Singapore e Svizzera) e una serie di Paesi osservatori che, però, non sono membri (Francia, Germania, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Spagna e Unione europea).
Ufficialmente, l’Unione europea è un attore esterno della regione, ma attraverso i suoi Stati membri nordici, come la Finlandia e la Svezia, ha un ascendente particolare su quel territorio. E se la Danimarca è uno Stato membro ed è artico solo per le Isole Faer Øer (che non si trovano nell’Unione) e la Groenlandia, quest’ultima è anche uno dei 13 Stati e territori d’oltremare associati all’Unione.
La salvaguardia di un ambiente così esposto e delicato, la promozione di uno sviluppo sostenibile (in particolare per chi abita quei luoghi), gli investimenti, l’innovazione, la lotta al cambiamento climatico e i suoi effetti sono solo alcuni degli obiettivi che l’Unione, come “potenza civile”, si è data per sostenere la cooperazione multilaterale nell’Artico e avanzare in quella regione.
Che è un luogo complesso per definizione, anche perché, a causa dell’effetto serra, si sta riscaldando più del doppio rispetto al resto del mondo e questo, a livello globale, ha un impatto imponente.
Per l’Europa, il contenimento dei danni causati dal climate change rappresenta, con il Green Deal (ovvero l’insieme di iniziative politiche portate avanti dalla Commissione con l’obiettivo generale di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050) uno dei temi più dibattuti, anche perché la mitigazione della deriva climatica, è al centro della “politica artica” europea. Che comprende sia la politica estera del continente, sia quella interna, visto che si rivolge ai cittadini europei, ma anche chi sta fuori.
Le nuove opportunità nell’uso delle risorse naturali hanno reso poi negli ultimi anni quella regione strategicamente più appetibile, attirando l’interesse delle principali potenze mondiali. Che agiscono in maniera diversa, in base a esigenze diverse.
Secondo quanto riportato dal documento, un decreto del marzo 2020, firmato dal presidente russo, Vladimir Putin, che identifica la questione artica come prioritaria fino al 2035, si concentra sulla garanzia della sovranità e dell’integrità territoriale, ma anche sulla modernizzazione militare.
Anche la politica artica della Germania, nell’agosto 2019, dedicava un’intera sezione alla sicurezza, chiedendo esplicitamente a Unione europea e Nato di affrontare questa “prova”.
La Francia, che anni fa tramite Michel Rocard paragonava l’Artico al Medio Oriente (per peso e scontri politici), in un documento risalente all’anno scorso sulle nuove sfide strategiche nell’Artico, osservava una maggiore concorrenza tra i diversi Paesi.
E così come Francia e Germania negli ultimi anni hanno avanzato varie istanze, lo stesso è accaduto a un numero crescente di altri Stati membri non artici, ciascuno dei quali ha prodotto le proprie politiche regionali: nel 2014 è toccato ai Paesi Bassi, nel 2015 all’Italia, nel 2016 alla Spagna e il Regno Unito tra il 2014 e il 2018.
Nonostante spesso i Paesi europei condividano le priorità con l’Unione, la sua politica artica deve equilibrarsi misurandosi con le esigenze specifiche di ciascuna realtà, siano essi Paesi artici (come Finlandia, Svezia e Danimarca) oppure non afferenti alla regione.
Da quando l’Artico, inteso come spazio geopolitico, è tornato a essere argomento centrale dello scacchiere internazionale, diversi Stati del mondo (anche quelli più lontani) hanno individuato in quella zona un’opportunità concreta di crescita politica.
E se per alcuni di questi Paesi, l’interesse derivava da una tradizione storica, le politiche artiche aggiornate di Regno Unito e Francia, per esempio, hanno saputo collegare le loro aspirazioni a quelle delle proprie agende globali.
Secondo gli esperti, invece, la politica artica dell’India è percepita più come un fine per ottenere una maggior presenza internazionale e competere con Pechino.
L’epidemia causata dal nuovo coronavirus, infine, ha proposto anche in questo angolo di mondo effetti imprevedibili e negativi sull’attività economica, sull’occupazione e sulla salute. Anche per questo motivo, l’Europa sembra intenzionata a ripensare alcune delle prossime discussioni globali, analizzando la situazione economica e sanitaria di quei luoghi e delle sue popolazioni.