Certamente non vi sarà sfuggita la foto che alcuni giorni orsono Steffen Olsen, del Danish Meteorological Institute, ha scattato nel fiordo di Inglefield Bredning, in Groenlandia, e che poi ha postato su Twitter raggiungendo un livello di viralità straordinario. La foto è bellissima e, nello stesso tempo drammatica ed evocativa. Basta il solo primo sguardo per capire le ragioni per cui è arrivata in tutto il mondo suscitando ovunque stupore e allarme: la muta dei cani da slitta sembra camminare sull’acqua anziché sul ghiaccio come normalmente dovrebbe essere. O meglio, come normalmente tutti siamo abituati a vedere.
Ma andiamo per ordine. Partiamo dal dato di cronaca che è il seguente: il 13 giugno scorso il gruppo di alcuni ricercatori dell’Ocean and Ice Center dell’Istituto meteorologico danese, impegnato in una missione di recupero di attrezzature, si è ritrovato a gestire uno scenario insolito in cui i propri convogli trainati da due mute di husky si sono dovuti muovere immersi nell’acqua invece che correre sulla lastra di ghiaccio dello spessore di 1,2 metri che, a detta degli stessi ricercatori, c’era fino a poco tempo prima.
Su Twitter, Steffen Olsen ha sottolineato che lo scatto, per molti più simbolico che scientifico, è stato fatto nel giorno in cui tutta la regione ha vissuto un record di fusione che le ha fatto perdere 2 miliardi di tonnellate di ghiaccio. I tassi di fusione registrati in giugno sono i più elevati di sempre da quando vengono monitorati con i dati satellitari, per questo si pensa che il 2019 sarà un anno peggiore persino del 2012, anno in cui avvenne lo scioglimento più massiccio di sempre.
La stazione meteorologica dell’aeroporto di Qaanaaq, uno dei centri abitati più settentrionali del mondo che si trova ad appena 1300 km dal Polo Nord, infatti, il mercoledì precedente a quella foto, ha registrato un picco di temperatura di 17,3° e di 15° il giovedì. Stiamo parlando di temperature molto alte che non vengono toccate neanche durante l’estate, periodo in cui la Groenlandia va incontro naturalmente alla perdita di ghiaccio, che però poi si riforma nella stagione fredda. Ma le temperature di queste settimane sono superiori alla media a causa di una enorme area di alta pressione che insiste sull’isola e attira aria calda e umida dall’Atlantico; lo scioglimento in atto è totalmente fuori controllo. Dal 1979, l’Artico estivo ha perso il 40% della sua estensione e fino al 70% del suo volume.
Con uno scenario simile ci si aspetta che nel giro di 20-40 anni le estati senza ghiaccio saranno una realtà
Alcuni scienziati calcolano che il tasso di declino è intorno alle 10.000 tonnellate al secondo. Gran parte del ghiaccio vecchio è ormai perso mentre la maggior parte di ciò che rimane è lo strato più giovane e sottile dell’inverno precedente, che è il più pronto a sciogliersi. Con uno scenario simile si aspettano che nel giro di 20-40 anni le estati senza ghiaccio saranno una realtà, che permetterà alle navi di navigare fino al Polo Nord. Se da un lato Greenpeace chiede che l’Artico centrale sia dichiarato area marina protetta, dall’altro Stati Uniti, Cina, Russia, Canada e Corea sono più focalizzati sulle opportunità commerciali e strategiche che stanno profilandosi con l’apertura dell’Artico, a partire dalla pesca, all’estrazione mineraria, al turismo e al trasporto marittimo delle merci.
Certo, non sarà la morte dell’Artico, ma sarà sicuramente la fine dell’Artico come lo conosciamo. Ed è stata proprio questa la ragione per la quale la foto twittata da Olsen mi ha colpito come un gancio allo stomaco. Perché nell’era delle relazioni in cui viviamo, niente raggiunge un livello comunicativo immediato e deflagrante come un’immagine. Oggi con un’immagine si toccano corde emotive individuali, si provocano riflessioni collettive e si raggiungono nuovi livelli di coscienza in tempi pressoché immediati che solo pochi anni fa erano impensabili. Le immagini sono il nostro linguaggio contemporaneo e attraverso di esse ci emozioniamo, ci indigniamo, veniamo a conoscenza dei fatti e ne abbiamo una più immediata possibilità di comprensione.
Quello che ci hanno trasmesso gli husky ripresi in quella foto, è il senso di straniamento causato dal trovarsi in un contesto sconosciuto, nuovo, in cui addirittura è venuta meno la loro stessa ragione di essere, il loro scopo. Quel senso di sconcerto, di disorientamento, è passato dalle loro viscere alle mie e nello stesso tempo a quelle di tutto il mondo, provocando una reazione che ha alimentato un dibattito che presto ha superato i confini geografici, da locale a globale, e del mezzo, partendo da Twitter per esplodere su tutti i media.
Il rischio quiescenza è sempre alle porte. L’era delle immagini è tanto potente quanto frenetica. Il rischio di farci distrarre da nuove visioni non è ipotetico bensì reale
Tuttavia, il rischio quiescenza è sempre alle porte. L’era delle immagini è tanto potente quanto frenetica. Il rischio di farci distrarre da nuove visioni non è ipotetico bensì reale. Per questa ragione il magazine The Guardian ha cambiato la cifra linguistica con la quale tratta l’argomento ritenendo che l’urgenza della crisi climatica avesse bisogno di un nuovo e più robusto linguaggio per descriverlo. Dunque, preferirà parlare di “crisi climatica” o “emergenza climatica” piuttosto che del generico e neutrale “cambiamento climatico”. Preferirà la definizione “surriscaldamento globale” al posto di “riscaldamento globale”, “fauna” invece di “biodiversità” che non è un termine comune e ben compreso da tutti, “popolazione ittica” al posto di “stock ittici” in modo da sottolineare che i pesci non esistono solo per essere pescati dagli esseri umani e trarne profitto, ma svolgono un ruolo vitale nella salute naturale degli oceani.
Parlerà di “negazionisti” e non più di “scettici” poiché coloro che si oppongono stanno negando la prova schiacciante che esiste la crisi climatica. L’esperimento che il giornale sta facendo è di sfruttare il potere dell’uso del linguaggio per far concentrare le menti delle persone su una questione essenziale a livello planetario che riguarda ogni singolo individuo il che non vuol dire che riguardi solo ogni singolo essere umano ma tutti gli esseri viventi di cui l’uomo deve prendere coscienza e anche assumersi la responsabilità. Il punto cruciale per la testata è gestire il confine labile esistente tra il linguaggio come descrizione e il linguaggio come esortazione. Difficile, certo, ma chi si assume la responsabilità di informare non può delegare quella di orientare. Il punto cruciale per noi lettori, pubblico, sarà sempre più quello di sfruttare la nostra sfera di relazioni, competenze e azioni per contribuire e fare la nostra parte in un cambio di paradigma sempre più imminente, tangibile e necessario che non concede più spazio a chi si limita a un’alzata di spalle.
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