PomodoriProfondo rosso

La campagna 2020 per le passate di pomodoro destinate al mercato estero, a causa delle turbolenze del clima, ha sofferto. La sfida vera a questo punto è quella di nobilitare l’immagine del pomodoro, con blockchain e rispetto degli agricoltori

C’è un filo rosso pomodoro che unisce gli scaffali dei supermercati inglesi e la Capitanata. Un filo, quest’anno, quanto mai sottile, per colpa della tempesta perfetta che si è scatenata sui raccolti di pomodoro pugliese nel foggiano. La campagna 2020 si è rivelata turbolenta, il clima ha messo in croce i campi prima con la siccità e poi con violenti acquazzoni, e le passate di pomodoro destinate ai mercati esteri hanno sofferto una resa dei campi non ottimale.

«Si era già capito prima che cominciasse», spiega a Gastonomika Gianmarco Laviola, ad di Princes Industrie Alimentari, società che vanta, a Foggia, il più grande sito industriale d’Europa per la trasformazione del pomodoro – 500.000 mq con una capacità produttiva di oltre 300.000 tonnellate di pomodoro fresco all’anno, 500 addetti che diventano 1600 al culmine della campagna. Il 50% della produzione di passata di pomodoro, in vasetti da 500 g, è a brand Napolina, leader sul mercato inglese. Il resto va alle private label dei più grossi retailer d’Europa, e, da quest’anno, Princes è anche fornitore di una delle principali catene di supermercati in Italia. «Mentre si usciva dal lockdown nel foggiano, ci si è resi conto che la scarsità idrica avrebbe creato problemi all’agricoltura. La diga di Occhito (al confine con il Molise, ndr) aveva 100 milioni di mq di acqua in meno rispetto allo scorso anno. Princes, forte dell’accordo con Coldiretti che prevede attenzioni particolari per le esigenze degli agricoltori, ha riconosciuto un premio, pagando il prezzo più alto degli ultimi 20 anni per i pomodori». La mancanza di acqua ha comportato spese aggiuntive per la riattivazione dei pozzi e per il reperimento di acqua per l’irrigazione, e problemi quantitativi e qualitativi nella raccolta dei pomodori. «Le rese sono state circa il 20% più basse rispetto alla media: c’era circa il 18% in meno di superficie coltivata a pomodori». Infine, gli eventi climatici di fine agosto-inizio settembre hanno creato danni ai raccolti, obbligando a una selezione estrema e a scarti maggiori rispetto alla norma. «Oggi siamo al 70% della campagna, non siamo particolarmente soddisfatti, ma ci aspettiamo una timida ripresa delle rese», spiega Laviola.

Il coronavirus ha infiammato i prezzi dell’alimentare, mentre mezzo mondo e anche di più si fiondava sugli scaffali per fare incetta di prodotti a lunga scadenza. Ergo, scorte in esaurimento e prezzi in salita. «In lockdown abbiamo moltiplicato per quattro le spedizioni in tutto il mondo rispetto al nostro standard. Noi abbiamo tenuto il prezzo fermo, anche se riconoscere un premio maggiore agli agricoltori ha avuto un’incidenza – la materia prima pesa da 40% al 50% del costo finale del prodotto. La filiera, però, è anche condivisione. Di gioie e di dolori». La sfida vera è quella di nobilitare l’immagine del pomodoro pugliese nel mondo. Perché ora non è esattamente rosso fuoco, piuttosto tende al rosa pallido. Spiega Laviola: «Veniamo da tanti anni di depauperamento di questo prodotto, con la bottiglia di passata che ha toccato il costo di pochi centesimi. Prezzi così bassi sono la premessa – non la giustificazione o la causa – di situazioni, lungo la filiera, di mancato rispetto dei lavoratori». Che si legge: caporalato.

E qui veniamo alle buone notizie, agli sforzi positivi che si fanno nel tentativo di estirpare il problema. Dice Laviola che «non va demonizzato un intero settore per il comportamento scorretto di qualcuno. Ci sono operatori agricoli che meritano fiducia. Negli ultimi anni l’attenzione è molto più alta, va detto». Ma il problema c’è, anche se non è esclusiva del Sud né tantomeno dei campi di pomodori, i quali addirittura beneficiano dell’alto tasso di meccanizzazione della raccolta per arginare il problema dello sfruttamento di forza lavoro. Si punta sulla tecnologia. Durante la campagna 2020 è stato portato avanti un progetto di tracciabilità del pomodoro, realizzato attraverso la tecnologia blockchain e sviluppato assieme alla Coldiretti. Tocca il 100% della produzione di Princes. La blockchain fornisce garanzia in termini di provenienza, trasporto e lavorazione, tracciando l’intero percorso del pomodoro dal campo della società agricola fino allo scaffale. «Inquadrando il QR code presente sulle confezioni, il consumatore potrà riconoscere da sé dove e come è stato raccolto il pomodoro, come è stato trasformato. Con la blockchain si certifica che anche il coltivatore rispetta ferrei standard etici. Ultimamente vedo un cambiamento di rotta, soprattutto nei millennials e nella generazione Z: prediligono e valorizzano i prodotti a marchio del distributore dove il brand value è proprio il controllo della filiera. E in qualche caso parliamo di prodotti che costano anche il 30% in più, non dei “primo prezzo”», chiude l’ad di Princes. Conseguenza anche del Covid: maggiore attenzione a leggere le etichette, alle caratteristiche del prodotto, attitudine a farsi delle domande di fronte a quello che si sceglie per prepararsi la cena a casa. Speriamo che anche l’oro rosso di Puglia ne tragga giovamento.