Il Paese addormentatoDopo mesi di nullafacenza è arrivato il conto: ora il governo paga l’inconcludenza delle sue task force

Mancanza di test, lentezza delle risposte, infinite quarantene in attesa dei tamponi e misure straordinarie sempre meno logiche: era solo questione di tempo prima che arrivassero ribellioni e proteste nei confronti dell’esecutivo e delle amministrazioni locali. Lo stato d’animo dei cittadini sta cambiando, e la classe dirigente farebbe bene a preoccuparsi

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Sono tre i tabù che hanno impedito e impediscono una decente gestione della fase due dell’epidemia. Il primo lo conosciamo tutti, è il rifiuto ideologico di utilizzare i prestiti del Mes, che avrebbero consentito l’assunzione di medici, biologi, infermieri e quindi una ben diversa efficienza della macchina di contrasto al virus.

Il secondo è la regola non scritta per cui le regioni e i loro Governatori sono intoccabili nei loro interessi e nei loro poteri: nulla si può centralizzare, nemmeno i protocolli di cura, nemmeno l’acquisto dei vaccini anti-influenzali o dei test diagnostici, perché ciascuno deve conservare il potere di scegliersi il suo, con le procedure e i tempi che preferisce.

Il terzo tabù sono i sondaggi. Finora hanno garantito una considerevole popolarità ai gestori dell’emergenza e tengono abbastanza in equilibrio i numeri di maggioranza e opposizione. Quindi i sondaggi non vanno disturbati. Mai. Meglio una ragionevole melina che quel tipo di provvedimenti tranchant ormai adottati in tutta Europa, cose che potrebbero portare acqua al mulino degli “altri”.

Tuttavia, almeno il terzo Moloch andrebbe messo in discussione. La storia italiana dimostra che c’è un limite oltre il quale anche il più roccioso consenso si sgretola. Successe nel ’92, nella stagione di Mani Pulite che annientò tutte le filiere politiche sopravvissute alla Guerra Fredda.

Successe nel 2013 con l’onda grillina che abbattè il bipolarismo italiano dopo vent’anni di tran-tran dell’alternanza. Rischia di accadere anche adesso? La domanda è legittima, qualcuno dovrebbe cominciare a farsela con una certa trepidazione.

L’Italia è un Paese anziano e conservatore, innervato da una minoranza di garantiti – anziani e dipendenti pubblici – inclini a sostenere comunque il potere perché sostanzialmente immuni da preoccupazioni a medio termine. Ma l’improvvisa scoperta che, per mesi, nulla è stato fatto per organizzarsi in vista della prevedibilissima ripresa dell’epidemia, un disastro che minaccia vita e salute, scuote anche loro.

Così, per la prima volta, vediamo emergere in questi giorni sentimenti di rabbia e protesta. Succede dove meno ce lo aspettavamo, nella Campania del governatore-sceriffo Vincenzo De Luca, appena rieletto con percentuali plebiscitarie: una regione simbolo, finora, di obbedienza agli ordini, quella che nella scorsa primavera inghiottì senza fiatare misure molto più restrittive del resto d’Italia.

A scendere in piazza sono stati padri e madri normali – niente a che vedere coi soliti No Mask – furibondi per la chiusura delle scuole, che fino a prova contraria restano un diritto costituzionale. Insieme a loro gli autisti del trasporto scolastico, improvvisamente senza lavoro per un provvedimento inutile (i contagi studenteschi sono meno dell’un per cento) e palesemente propagandistico.

Ma cominciano a ribellarsi anche i sindaci. Nella prima ondata della pandemia collaborarono alla surreale ricerca di capri espiatori tra i loro amministrati: la caccia al runner, i droni in volo sulle spiagge, le multe pazze a gente che correva in ospedale per la chemioterapia o usciva di due metri dal territorio municipale.

Ora capiscono che quel gioco non funziona più, non paga, perché il vero problema è sotto gli occhi di tutti: la mancanza di test, la lentezza delle risposte, l’obbligo di infinite quarantene attendendo l’esito di esami che magari saranno negativi.

In 250, ieri, hanno scritto al governo: la faccia finita, si prenda i soldi del Meccanismo europeo di stabilità e finanzi investimenti sanitari adeguati anziché dar consigli sulle feste private o i matrimoni.

Lo stato d’animo dei cittadini, insomma, sta cambiando. Anche perché c’è un quarto tabù da tenere in considerazione, un tabù popolare di radicamento millenario. Si chiama Natale, arriva tra settanta giorni e sarà bene tenerlo presente.

La prospettiva di diventare il governo-Grinch “che ruba il Natale” agli italiani dovrebbe consigliare un immediato risveglio dal letargo e un uso efficace e decisionista dei poteri di emergenza che Palazzo Chigi si è attribuito. Non c’è sondaggio che potrebbe resistere a uno scenario così, neppure in questo nostro Paese apparentemente addormentato.

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