Circa a metà di un suo recente articolo pubblicato da un domenicale italiano, il filosofo tedesco Peter Sloterdijk scrive: «da duemila anni circola la saggezza malvagia formulata per la prima volta a Roma, con il detto mundus vult decipi: il mondo vuole essere imbrogliato, quindi dovrebbe essere imbrogliato».
Questo passaggio è usato dal pensatore nella sua dissertazione sul cinismo dei potenti quale morbo della modernità, a spiegare le ragioni per le quali statisti della levatura morale di Trump o Bolsonaro hanno un folto seguito di elettori. In un contesto in cui il cinismo fa parte del disagio della civiltà, pensa Sloterdijk in sintesi, quando gli individui credono di essere troppo potenti per attenersi alle regole, essi giocano con le regole stesse. Di conseguenza più spudoratamente si comporta l’uomo al vertice del potere, più gli acclamatori disinibiti si possono ritenere soddisfatti.
E in effetti come dargli torto? Cosa possiamo immaginare di più spudorato del rientro di Trump alla Casa Bianca dopo soli pochissimi giorni di ricovero in ospedale? Un ricovero di sole 72 ore tra l’altro interrotto da una sortita in auto con tanto di scorta esposta al rischio contagio, per potersi concedere un bagno nella folla dei propri fan.
72 ore diventate uno spot perfetto che ha avuto la sua degna conclusione e sintesi nel saluto militare fatto a volto scoperto e in spregio a tutte le mascherine indossate nel mondo in questo momento, dopo essere sceso dall’elicottero atterrato nel prato sud sotto un cielo rosa Hollywood.
In tutto questo, non va letta come un trascurabile dettaglio la reazione di Wall Street che ha vissuto in modo euforico l’uscita di Trump dall’ospedale: il Dow Jones ha guadagnato l’1,68%, lo S&P l’1,81% e il Nasdaq ha messo a segno +2,32%, azzerando le perdite registrate alla notizia del ricovero del presidente quando gli indici erano scesi rispettivamente dello 0,5%, dell’1% e del 2,2%.
«Pensavo che il fenomeno avesse raggiunto il picco nel XX secolo – afferma ancora il filosofo nel sue articolo – avrei dovuto rendermi conto che la forma complessa fatta di cinismo, d’immoralismo, di gusto del paradosso assurdo, d’ironia e di cultura della frivolezza avrebbe avuto per sé tutto il XXI secolo, nonostante ogni nuovo moralismo».
Eppure, sono fermamente convinto che una struttura morale solida sia presente nel nostro codice genetico e si consolidi con gli anni dentro la nostra testa. Il senso di responsabilità nei confronti degli altri esseri umani è inscritto in noi.
Studiando il funzionamento di neuroni e sinapsi da appassionato di neuroscienze, sono rimasto affascinato dalla teoria dei tre cervelli di McLean secondo la quale il nostro cervello è suddiviso in tre parti “cresciute” una sull’altra nel corso dell’evoluzione. Il più antico e profondo è il cervello rettile, sede degli istinti primari.
Il secondo è quello mammifero, detto anche limbico sede delle funzioni legate al nutrimento, ai sentimenti e alla capacità di adattarci all’ambiente. E infine la neocorteccia, sede del linguaggio e di quei comportamenti basati sul problem solving che ci permettono di affrontare situazioni nuove e prefigurare il futuro. È proprio questa parte più evoluta di noi che ci distingue dalle altre specie.
La possibilità di un rapido cambiamento dei principi di riferimento e quindi la capacità degli esseri umani di darsi una nuova evoluzione come produttori, consumatori e creature morali, è scritta nella nostra genetica. Siamo progettati per il cambiamento. E dunque la domanda che dobbiamo porci non è se siamo preparati al cambiamento, cioè se abbiamo a disposizione i mezzi cognitivi per affrontarlo, quanto se riusciremo a usarli.
Bisogna iniziare al più presto a smettere di credere che basti continuare a fare come si è sempre fatto. Ecco perché insisto sull’urgenza di cominciare immediatamente un percorso per arrivare alla consapevolezza di noi stessi, delle nostre infinite risorse interiori, del nostro ruolo, della nostra responsabilità verso gli altri.
Per il futuro sogno un programma di istruzione di tipo laico, che parta dalle scuole e continui nelle aziende e che sostenga gli individui in un percorso di conoscenza del sé. Un’istruzione pubblica di qualità, che purtroppo per molti è ancora un miraggio, non basta, occorre investire maggiormente sulla ricerca in discipline come le neuroscienze e le forme più evolute di psicologia e pedagogia e in tutti quei saperi che possono permetterci di conoscere meglio il funzionamento del nostro cervello e delle nostre emozioni, e potenziare la cultura classica e umanistica che allargano i nostri orizzonti di pensiero e la nostra capacità di comprendere la realtà.
Mentre aspettiamo che la politica torni a perseguire questa necessità fondamentale pensiamo alla responsabilità che in tal senso dobbiamo assumerci come individui. E il mondo non sarà imbrogliato se non vorrà più esserlo.