Ma cosa vuole fare Nicola Zingaretti da grande? Improvvisamente candidato a tutto – novello Giuliano Amato – ministro, sindaco di Roma, essendo già presidente del Lazio e segretario del Partito democratico, questo per lui è certamente un ottimo momento, grazie allo scampato pericolo del 6 a 0 preconizzato improvvidamente da quel genio di Matteo Salvini e alla buona e imprevista performance del suo partito ai ballottaggi.
Si ha come l’impressione che le votazioni di settembre siano per il segretario del Partito democratico un turning point. Ha proprio un’altra faccia, un’altra allure. Ha ritrovato sicurezza, dopo mesi molto difficili, soprattutto la conferma di avere avuto una certa fortunaccia nell’incrociare il calando di Salvini e l’implosione grillina. E ora le tentazioni non mancano.
Ma lui a questo punto che cosa vuole fare realmente? C’è stato questo incidente, questo giallo, forse un clamoroso misunderstanding con il giornalista che gli chiedeva se entrerà al governo e lui che rispondeva in modo strano, parlando dell’attuale doppio incarico: «In questi mesi ho onorato un doppio impegno, quello di presidente della Regione e di leader nazionale e oggi avverto un po’ il peso e la fatica di un doppio ruolo, soprattutto nel momento del Covid, che richiederà una presenza che sarà costante».
Aggiungendo una frase ancora più incomprensibile: «Nelle prossime settimane vedremo e discuteremo su come andare avanti». Che avrà voluto dire? Cosa c’è da discutere, se ha già detto no alla richiesta (formulata da Matteo Renzi) di entrare nel governo? Insomma, qual è il problema?
Leggendole e rileggendole, quelle parole possono essere interpretate – a meno di non pensare che un leader politico dica cose a casaccio – come il classico sasso nello stagno, non solo come un ostentato ribadimento della “stanchezza” ma anche come una spia accesa per i suoi, guardate che sto ponendo un problema personale e politico, appunto «ne discuteremo».
Perché è vero che il segretario è fisicamente stanco. Mesi tremendi alle spalle, anche personali (il Covid preso in primavera). Ma non c’è solo la contingenza a spiegare la stanchezza. Dietro la bonomìa e quella certa leggerezza che lo contraddistingue, Nicola Zingaretti è il tipo che sa incassare ma che i segni se li porta dentro. La lunga esperienza politica lo ha certamente fornito di uno schermo protettivo – un po’ di cinismo nel politico ci vuole – ma l’uomo si arrovella più di quanto non dia a vedere (giustamente).
La sua forza d’animo è messa a dura prova dall’eterno timore di non farcela, dal dubbio di sbagliare, di non saper distinguere fra amici e nemici. Spesso cambia idea repentinamente, come quando si era convinto di andare a fare il vicepresidente del Consiglio, persino convincendo un riluttante Conte, e poi fece macchina indietro. E forse dentro ma proprio dentro di sé questa vita di partito non gli garba più: la “macchina” in fondo è sempre la stessa, da anni, logorante con tutti suoi riti e i suoi barocchismi.
«Oggi avverto la fatica di un doppio ruolo». In fondo potrebbe benissimo dire: ho preso il partito in una fase di enorme difficoltà e l’ho rimesso in carreggiata, ora fate voi, io vado a fare altro. Già, ma cosa? C’è una voce che ha preso a circolare da qualche giorno e “nascosta” in qualche pezzo giornalistico.
Si tratta di questo: vista la difficoltà, anzi l’impossibilità, di trovare un peso massimo da candidare a sindaco di Roma, ecco che il segretario del Partito democratico potrebbe scendere in campo personalmente, lui che è da sempre grande conoscitore e protagonista della politica romana, un profilo giusto per rianimare un partito disperso e confuso come quella della Capitale, un nome tutt’altro che indigeribile per i grillini che con ogni probabilità al secondo turno dovranno scegliere fra destra e sinistra e che sull’altro piatto della bilancia troverebbero il nome di Roberta Lombardi come candidata a succedere proprio a Zinga alla Regione.
Come spesso accade in questi casi, non si sa chi abbia partorito questo ragionamento. Nulla è chiaro di quello che avviene al Nazareno sulla questione di Roma. La mente finisce sempre per andare a Goffredo Bettini, deus ex machina di tutto – almeno secondo la vulgata giornalistica -, il quale ha fatto «il fioretto di non parlare di Roma» ma che a domanda specifica di Alessandra Sardoni (Omnibus di martedì) ha detto che ci vogliono primarie cui partecipino «i giovani» che già si sono fatti avanti (Monica Cirinnà, Giovanni Caudo, Amedeo Ciaccheri, Tobia Zevi), che insomma «tocca a loro», e contestualmente bocciando Carlo Calenda che è «troppo duro con il Pd». Ma davvero Bettini giudica competitivi i nomi dei “giovani”?
In ogni caso, per Nicola Zingaretti arriva il momento di fare una scelta personale e politica. Ognuna di esse ha i suoi pro e i suoi contro, ed egli dovrà ancora una volta superare i suoi rovelli e le sue titubanze. Magari non se ne farà niente, malgrado la stanchezza.