L’idea di premiare un vino e più in generale un prodotto agricolo è vecchia quanto le fiere, manifestazioni che già nell’800 caratterizzavano il panorama di molte provincie italiane ed europee. Senza scomodare eventi di carattere internazionale come quelle “universali”, si trattava di vere e proprie esposizioni, eventi quasi unici, durante i quali gli agricoltori della zona presentavano a quelli che oggi chiameremmo amatori e buyer le loro produzioni, non solo vino ma anche e soprattutto bestiame. In quelle occasioni non era inusuale che venisse istituita una giuria per premiare le migliori produzioni, quelle da prendere a esempio: l’animale più bello o il vino più buono, operazioni utili anche per dare degli standard qualitativi a cui tendere nei mesi e negli anni a venire.
Oggi le cose sono molto diverse, questo tipo di manifestazioni non esistono più e nel mondo del vino il concetto di giudizio, o di premio, è ampiamente sdoganato da decenni: dalle guide di settore con i relativi riconoscimenti, ai punteggi in centesimi dei critici di tutto il mondo, fino a un certo numero di competizioni che assegnano delle vere e proprie medaglie. Queste ultime hanno avuto negli ultimi anni un successo sempre crescente, specie in termini di numero di vini che le aziende decidono di inviare loro. Nel 2019 al Berliner Wine Trophy sono stati iscritti oltre 13.000 vini. A Mundus Vini, sempre in Germania, circa 11.000. Al Decanter World Wine Awards di Londra oltre 10.000, numero di poco superiore rispetto ai circa 9.000 vini inviati al Concours Mondial de Bruxelles, unico tra questi a essere itinerante, a essere cioè ospitato ogni anno da una diversa regione vitivinicola.
«Ci sono almeno 2 considerazioni da fare per quello che riguarda l’utilità delle medaglie oltre al fatto che si tratta di uno strumento molto utile per i consumatori, per orientarsi tra le tantissime bottiglie che è possibile trovare in commercio» racconta Karin Meriot, coordinatrice per l’Italia proprio per il Concours Mondial de Bruxelles, uno dei più grandi e famosi a livello internazionale, «per le cantine più piccole un concorso rappresenta una buona occasione per avere visibilità, non solo nel proprio paese, a un costo molto contenuto. Iscrivere 1 o 2 vini non rappresenta una spesa così rilevante e in caso di medaglia può essere investimento molto vantaggioso. Per le cantine più grandi vale ovviamente lo stesso ragionamento, per loro però può essere anche un buon test per capire il posizionamento dei propri prodotti: nei concorsi i vini vengono serviti alla cieca in batterie omogenee, per provenienza o per stile, e se un vino riesce a emergere vuole dire non solo che è buono ma anche che il suo posizionamento commerciale è centrato. I nostri giudici sono esperti che non solo hanno un palato molto allenato ma anche molto contemporaneo».
«Scegliere la composizione della giuria significa mediare varie esigenze» aggiunge Maurizio Valeriani, coordinatore per l’Italia per Grenaches du Monde, concorso dedicato proprio all’universo della grenache, varietà tra le più piantate al mondo e famiglia di vitigni diffusa soprattutto nell’area del Mediterraneo. «La competenza è qualcosa che si dà per scontata, un giudice è sempre una persona che ha alle spalle una solida preparazione in termini di assaggio, di degustazione. Partendo da questo presupposto nei concorsi viene sempre più cercata la figura del buyer, poiché i produttori hanno la necessità di avere riscontri da parte di esperti, spesso giornalisti, ma anche da parte di chi il vino è abituato ad acquistarlo e che quindi conosce molto bene il mercato. Inoltre, avere buyer nella giuria può essere anche un’opportunità in caso di vini che bevuti alla cieca emergono come migliori di altri».