CaffeinaGli errori da non fare con la moka

Effetto stromboliano, zucchero e pulizia: le regole per diventare cintura nera nell’uso della caffettiera. Coi bar che son chiusi e l’autogrill irraggiungibile causa DPCM, è il caso di sapere come fare

Diciamocelo: almeno per noi italiani fare il caffè con la moka è come imparare a camminare. Un blasone necessario, che ci fa avanzare di un passo nell’età adulta. È un processo spesso appresso per imitazione: in questo passaggio vengono trasferiti anche i tanti vizi di forma legati a questa pratica. «La verità è che fare il caffè con la moka è difficilissimo», spiega Moreno Faina, direttore dell’Università del Caffè Illy. Del resto lo facciamo al mattino appena svegli, quando non siamo proprio al 100 per cento. Possiamo migliorare, possiamo migliorarci: ecco gli errori da non fare quando si prepara il caffè con la moka.

Quale moka scegliere

Iniziamo dalle basi. La moka deve essere in alluminio o in acciaio. «Uno dei problemi più comuni quando si prepara il caffè è evitare di bruciarlo – spiega Faina – alcune caffettiere in commercio, come la Pulcina, hanno la caldaia conformata in modo tale da ridurre l’impatto del cosiddetto effetto stromboliano», cioè quell’accattivante gorgoglio che ci fa dire “Il caffè è pronto!”. Che in realtà è un segnale tutt’altro che positivo.

Le dimensioni (della polvere) contano

Partendo dalle due specie di caffè più comuni – Arabica e Robusta – si passa a farsi comporre miscele su misura o a scegliere quelle più adatte al proprio gusto negli scaffali dei supermercati. «La diversa composizione della miscela avrà anche un contenuto di caffeina variabile». È preferibile acquistare polvere di caffè già macinata perché, a meno di non avere uno strumento professionale per sbriciolare i chicchi, si rischia di bruciare il risultato col calore meccanico. Inoltre, può risentirne anche la granulometria.

«La dimensione della materia che andiamo a mettere in caffettiera è importante per ottenere una buona tazzina. La pressione creata dal vapore nella caldaia spinge l’acqua a risalire attraverso il filtro che contiene la polvere di caffè. Nella prima parte dell’estrazione il caffè esce a circa 65°C correttamente ricco delle sostanze estratte fino ad arrivare alla “fase stromboliana” che deve essere evitata per “tagliare” la fase finale dell’estrazione, quella ricca di sostanze “meno nobili. Se la granulometria è troppo grande, il passaggio potrebbe essere troppo rapido con una scarsa estrazione delle sostanze dal caffè. Se la polvere è troppo compatta, l’estrazione sarà più lenta e difficile. Quindi l’acqua andrà a bruciare il caffè. La giusta granulometria della polvere permette un’estrazione costante».

Ottenuti i grani perfetti, bisogna fare attenzione a quanto caffè si mette nella caffettiera. «Tecnicamente nel filtro di una moka da tre dosi vanno inseriti tra i 15 e i 17 grammi di caffè. In assenza di una bilancia digitale, usiamo un cucchiaino, rasando la polvere alla fine. Questa non va né battuta né compattata: deve essere soffice per non opporre resistenza al vapore. Non è vero che, compattando la polvere, si avrà un caffè più forte. Sarà solo più bruciato».

Fattore acqua

Se siete dei puristi del caffè, il vostro palato vi ha già detto che l’acqua del rubinetto non è proprio il massimo per preparare una buona tazzina. «Purtroppo quella che arriva dall’acquedotto può avere sentori di cloro. A meno che non si abbia un impianto domestico di filtraggio, è preferibile utilizzare l’acqua minerale naturale in bottiglia». Attenzione alla temperatura: deve essere fredda. Se si ha fretta, si può essere tentati di usare l’acqua calda per velocizzare il processo di estrazione. Il pericolo è quello di ottenere un caffè veloce, ma bruciato. Poi c’è la giusta quantità. Nel rito di iniziazione alla caffettiera, ci è stato detto di riempire la caldaia dell’acqua della moka almeno fino a metà della valvola. E da quel momento abbiamo continuato a sbagliare. «Il volume deve sfiorare il dispositivo perché se l’acqua dovesse coprirla, si andrebbe a incrostare, rendendo vano il suo effetto protettivo».

Questione di tempo

Per ottenere un buon caffè bisogna avere pazienza, almeno per due-tre minuti. Secondo l’Università del caffè Illy è questo il tempo ottimale per far fare alla caffettiera un buon lavoro. Si parte con la fiamma bassa, per garantire la graduale e corretta estrazione di tutte le sostanze dalla polvere di caffè. Completata l’operazione, il caffè fuoriuscirà a circa 65 gradi. Per evitare di portare la caffettiera all’effetto stromboliamo, rimaniamo lì, accanto al fornello e aspettiamo, tenendo la moka aperta per prevenire il temuto gorgoglio eruttivo. Avremo il 15-20 per cento di caffè in meno, ma il risultato sarà perfetto.

La tazzina perfetta

Il caffè è pronto, è il momento di servirlo. Ma prima, aiutandovi con un cucchiaino, mescolate il liquido scuro emerso nella moka: il caffè più denso, fuoriuscito all’inizio dell’estrazione, si mescolerà a quello finale, più acquoso. Qualche consiglio edonistico per fare le cose per bene. Scaldiamo la tazzina con dell’acqua calda: l’effetto sarà completamente diverso. Inoltre, se potete, evitate di zuccherare il caffè. Solo così si potrà fare una degustazione sensoriale degna di questo nome. Per lo stesso motivo, l’acqua va bevuta prima e non dopo aver accostato le labbra alla tazzina.

La degustazione

Se abbiamo fatto tutto per bene e se la miscela è di buona qualità, «nella tazzina percepiremo l’amaro (sempre un po’ più prevalente in moka), l’acido e il dolce. Il caffè deve avere una leggera densità (naturalmente diversa da quella del bar), deve essere leggermente viscoso, ricco e non deve lasciare un retrogusto astringente, che potrebbe farci venir voglia di bere subito». Per poterlo apprezzare davvero, prendiamo un primo sorso, chiudiamo la bocca e facciamo roteare il liquido. Inumidite la superficie della lingua e, tenendo la bocca chiusa, ispirate col naso per percepire tutti i sentori aromatici. «Per avere una sensazione gustativa più intensa, teniamo il naso chiuso con le dita. Quando avremo pervaso la bocca, apriamo e scopriamo un’altra dimensione». Tecnicamente ci sono circa 1.000 composti aromatici legati al caffè, anche se le famiglie più importanti sono 60. In una buona tazzina sentiremo gli aromi di fiori e frutta, ma anche di caramello o cioccolato fondente. I difetti olfattivi legati al caffè sono simili a quelli prodotti dal prosciutto lasciato all’aria per una settimana o all’olio d’oliva ossidato (che di frequente deriva dalla moka, dalla polvere o dalla conservazione).

Come pulire la moka

Il vero tasto dolente nella preparazione del caffè con la caffettiera è la pulizia di questo oggetto. C’è chi, spugna e retina alla mano, si dà da fare per grattare ogni minimo residuo. C’è chi conserva la granitica convinzione che la moka non vada lavata per rafforzare “il vero aroma” del caffè. Nel primo caso si abraderà il materiale, rendendolo più poroso e ricettivo ai residui. Ciò porterà (più lentamente) alla stessa conseguenza della moka lasciata sporca: la creazione di odori e sapori indesiderati, causati dall’ossidazione. Fra questi, il più comune è il rancido, creato dalla stagnazione degli oli essenziali contenuti nel caffè. «Non pulire la moka è un errore grave. Il consiglio è quello di usare acqua bollente e, qualora si renda necessario, un detersivo neutro, non profumato».

Adotta una nuova moka

Dato che la pulizia e l’usura possono danneggiare la moka, non dobbiamo fare l’errore di sacralizzare questo oggetto. «Ogni tanto la moka va rinnovata. Se toccando la parte interna del raccoglitore superiore, si sente che il metallo è liscio, significa che è ancora ben protetta. Se ci sono asperità, va sostituita tutta la macchinetta del caffè». Bisognerebbe cambiarla ogni due-tre anni circa. Tutto passa, anche le nostre amate caffettiere.