Stefano Guizzetti è un chimico gelatiere eclettico e dirompente, che ha fatto della sperimentazione il suo punto di forza. Accanto ai più consueti gusti della gelateria classica si spinge sempre di più verso terreni inesplorati, andando alla ricerca dei gusti del ricordo, che propone su coni e copette nelle sue gelaterie di Milano e Parma ma che inventa anche per divertimento e provocazione, come esercizio di stile utile per rompere le consuetudini e creare nuovi classici del futuro.
Da qui al primo gelato stagionato, il passo è breve (per lui): protagonisti la muffa nobile e la voluttà della rifilatura del prosciutto, con il gelato che diventa veicolo di profumi e di sensazioni che evocano la stagionatura in cantina.
Provocatorio è dir poco, ma l’intento è sempre scoprire nuove strade di sperimentazione, con il gelato che diventa versatile, utile e mutevole strumento per scatenare ricordi del palato.
Il gusto è indissolubilmente legato alla memoria, come sottolinea Guizzetti: «Quando assaggi qualcosa, una delle caratteristiche più interessanti non è il gusto ma l’innesco nella memoria. Io attraverso la mia sperimentazione voglio fare questo, ricreare emozioni e sensazioni, e in questo caso siamo finiti in cantina, in un gioco accattivante e curioso. Quando sei in cantina hai la percezione di muffa, di umidità, dovuti alla presenza di salumi, frutta. È un gusto pungente ma piacevolmente elegante. È un gioco che mi permette di alzare l’asticella per capire fino a dove la gelateria si può spingere. È anche un modo per valorizzare la professione e un altro modo di vedere la gelateria, una sua evoluzione. Alla fine, è un piatto freddo che convenzionalmente chiamiamo gelato ma che diventa altro».
Ma da quando la fermentazione, così celebre nelle cucine del nord Europa, è diventata la nuova frontiera del gusto, e soprattutto perché? Guizzetti ci illumina: «Il ristorante Noma di Copenhagen in primis ha dato vita a percorsi di elaborazione di alimenti in maniera diversa, per ottenere risultati gustativi inattesi da ingredienti già noti. Noi per esempio siamo partiti lattofermentando dei limoni: abbiamo messo dei limoni in vaso con una sorta di salamoia composta da sale e acqua. Senza ossigeno gli agrumi possono evolvere e sviluppare alcune caratteristiche gustative organolettiche diverse, ottenendo caratteristiche più marcate. I limoni dopo due tre o quattro settimane di risposo acquisiscono note più pungenti, escono in maniera marcata gli aromi degli oli essenziali, che si sposano con la sapidità data dalla salamoia. Fermentare fa sì che la materia prima acquisisca note gustative molto interessanti».
Ma naturalmente non è tutto qui: «Un’altra cosa che abbiamo fatto è la frutta nera. Frutta cotta sottovuoto a 65° per tre mesi, affinché ci sia una sorta di imbrunimento, quasi una reazione di Maillard rallentata nel tempo. Gli ingredienti trattati in questo modo acquisiscono note che virano verso la liquirizia e il caramello. Insomma, cerchiamo nuove frontiere del gusto usando ingredienti già noti ma rielaborati in maniera del tutto nuova. Ci creiamo così ingredienti aggiuntivi rispetto a quelli che usiamo e conosciamo normalmente».
Ovviamente, sembra semplice, ma non lo è e occorre stare attenti: fermentando si sviluppano organismi vivi, che devono essere benefici e non patogeni. Ma quando riusciamo a lavorare bene, gli alimenti acquisiscono durante il processo fermenti lattici vivi biodisponibili elevatissimi, che regalano valori nutrizionali importanti per l’organismo».
Se pensiamo che il vino e il pane sono alla fine un fermentato, possiamo dire che la strada può solo portare a scoperte interessanti.
Stefano Guizzetti è stato protagonista della diretta instagram Coprifuoco, che potete rivedere qui.