Vi proponiamo l’incipit di A proposito del gusto, 50 dissertazioni sul cibo e sul vino dal fare quotidiano al Coronavirus, il nuovo libro edito da Cinquesensi di Ernesto Di Rienzo, arricchito dalle evocative immagini di Francesco Scipioni.
Abruzzese delle montagne ma da anni residente a Roma, l’autore è antropologo all’Università di Roma Tor Vergata dove ricerca e approfondisce, da prima che l’argomento diventasse un tema ridondante degli studi accademici, i significati culturali che l’uomo costruisce attorno al cibo e gli infiniti modi in cui decide di mangiarlo.
È assai arduo dare alle stampe un libro sul cibo e le pratiche sociali del mangiare ai tempi disgraziati del Coronavirus. Così come è altrettanto arduo pensare che quanto si è scritto anteriormente al marzo 2020 possa continuare a incrociare il gradimento e gli interessi di chi legge oggi. Ciò perché si è tutti totalmente immersi, e persi, in un frangente di eccezionalità che richiama con forza a cose di differente natura e priorità. Cose che orientano i bisogni quotidiani verso altrovi in cui tutto è nebuloso, incerto, da definirsi. Ma soprattutto che dànno la sensazione che niente potrà tornare a essere come prima e che, di conseguenza, quanto si potrà leggere in queste pagine sembrerà appartenere a un passato non riguardante più niente e nessuno.
Allora che fare, rinunciare? Dichiararsi storico? Professarsi archeologo? Oppure è più conveniente ricominciare da capo nella scrittura, indirizzandola verso quei temi dell’oggi che la premierebbero del beneficio psicologico da instant book. Come si può capire il dilemma non è affatto di quelli semplici. E dunque, a rischio di incorrere in una strana e particolare forma di obsolescenza programmata (addirittura prenatale), si è deciso di andare avanti lo stesso nel progetto editoriale, sperando nella curiosità del lettore di volersi riconoscere in ciò che era, che è, e che comunque continuerà a essere: un onnivoro curioso che nel cibo vede nutrimento, sostentamento, piacere, novità, divertimento, sapere, arte. In una parola, cultura. Un onnivoro curioso ma anche un onnivoro “a scartamento ridotto”, se si tiene conto di tutte le regole, i limiti, i divieti che lo orientano nella scelta delle cose da mangiare. Un onnivoro diverso dai suoi consimili suidi, muridi, ursidi, blattoidi, ciprinidi che mangiano tutto ciò che le loro bocche riescono a ingurgitare, gli stomaci a digerire e gli intestini ad assimilare: senza porsi scrupoli di sorta e in assenza di qualsivoglia pulsione etica.
L’onnivoro umano, al contrario, pur potendo saziarsi di varietà assai diversificate di alimenti, di fatto sottopone le sue scelte a limitazioni – in parte autodirette, in parte eterodirette – che hanno a che vedere con le ideologie, le appartenenze etniche, le identità territoriali, le credenze religiose e i modelli estetici condivisi. Ma che hanno a che vedere anche con le food policies messe in atto da chi, nel mondo, opera nella filiera agroalimentare attuando (sempre più spesso) scelte utili più al perseguimento dei budget aziendali che al vantaggio salutistico dell’uomo e dell’ambiente.
Quello che le pagine del libro intendono offrire alla curiosità del lettore non ha a che vedere solo con quanto, nel concreto e nell’astratto, agisce nel rendere il Sapiens un polifago dal profilo dimezzato. Bensì, e soprattutto, con quanto lo fa essere un “onnivoro aumentato”. Un divoratore di icone, di simboli e di valori, disposto a utilizzare il cibo per i più svariati scopi extra-alimentari: raccontarsi, distinguersi, connettersi con i suoi simili, dare senso al tempo e ai fatti che lo riguardano. Oltreché, naturalmente, per accaparrarsi tutto quanto è in grado di procurargli appagamento, beatitudine e soddisfazione. Anche se questo include cose inutili, o dannose, per la nutrizione e la salute: compreso il mangiare quando si è sazi o l’inghiottire generose quantità di sostanze tossiche quali miristicina, latirina, fasina, linamarina, solanina ed etilene, variamente presenti in tipologie di prodotti dall’elevato richiamo gustativo.
Dopo questa travagliata esperienza che ha coinvolto il mondo intero, dominata dalla quarantena e dall’autarchia culinaria, forse occorrerà del tempo prima che si possa tornare di nuovo a fare viaggi del gusto, a organizzare picnic, a praticare scampagnate, a desinare in ristoranti affollati. Ma anche a riprendere confidenza con i cibi etnici, a rif requentare i mercati ortof rutticoli e a ripopolare le sagre gastronomiche: soprattutto per adeguarsi a quei raccomandati “distanziamenti sociali”, tanto necessari sul piano sanitario, quanto infelicemente ‘classisti’ su quello lessicale. Ciò non toglie che il mangiare continuerà a essere per chiunque un’operazione primaria volta non solo a fornire di carburante la nostra complessa macchina metabolica, ma anche a soddisfare quel variegato set di funzioni immateriali, simboliche, sociali e connettive cui l’alimentazione risponde fin da quando gli uomini hanno preso a essere gli animali che cucinano.