Gastroarkeologia La cucina dell’Impero Ottomano è viva tra noi: dal kebab allo yogurt, fino alla tazza di caffè

Il nostro passato ci circonda, lo osserviamo negli edifici che visitiamo, nei libri che leggiamo, nelle tradizioni che cerchiamo di riproporre ogni anno, ma anche nei piatti che cuciniamo e mangiamo tutti i giorni

Era il 1922, poco meno di un secolo fa. In quell’anno il temuto Impero Ottomano, quello che per secoli ha gettato nel terrore l’Europa, si scioglie. Il trentaseiesimo sultano Mehmet VI, deposto da Ataturk, andò in esilio nella città dei fiori, Sanremo, dove morì. Ma l’anima di quell’impero vive in Europa più di quanto non si possa immaginare. A tavola, anche in Italia, si mangia come nell’Impero Ottomano.

Il kebab

È un tipico prodotto migrante. Secondo la tradizione già nel Medioevo i soldati dell’Impero Ottomano arrostivano la carne con le spade. È nel Kyssa-i-yussuf, (la storia di Giuseppe) manoscritto del 1377, se ne parla. Ma a inventare il Kebab, nel 1830, fu Hamdi Usta di Kastamonu. Poi, nel 1867 fu nella città di Bursa che Iskender, sostenuto dal padre Mehmet Efendi, inventò lo spiedo verticale. Fu quello l’anno ufficiale dell’invenzione del Doner Kebab, cioè il kebab con lo spiedo rotante. Il primo negozio venne aperto davanti alla Moschea Kahyan, ed è rimasto attivo fino agli anni Sessanta. A Istanbul fu, nel 1945, Beyti Guler a fondare il ristorante Beyti dove il kebab ne era una delle prelibatezze. In Europa occidentale è arrivato formalmente negli anni Settanta, quando Mehmet Aygun e Kadir Nurman lo portarono a Berlino. Ma non fu la capitale tedesca quella che vide per la prima volta il prodotto allo spiedo. L’anno prima, infatti, sarebbe stato Navzat Salim e il padre (anche loro originari di Bursa) a portare il kebab a Reutlingen, nel Sud della Germania, nel Baden-Württemberg. A dir il vero, non fu proprio la Germania il primo Paese europeo dove il kebab mise piede per la prima volta. Infatti tutto accadde ad Atene, negli anni Cinquanta. Qualche decennio dopo, i greci stessi crearono il gyros. Ma l’esperienza della carne allo spiedo di Atene e dintorni, oggi, la si trova anche nel souvlaki.

I Balcani: fulcro della cucina ottomana d’Europa

Tra i cibi dell’Impero Ottomano, oggi ancora in tavola, la pastirma (che diventa pasturma, in Bulgaria, pastroumas in Grecia e pastrama in Romania). Si tratta di carne secca che, secondo tradizione, veniva messa nelle tasche laterali delle selle dei cavalieri turchi. Ma nei Paesi balcanici sono tipici i cevapi o cevapcici, il cui termine deriva da kebab: si tratta di carne macinata, peculiare di Servia, Bosnia-Erzegovina, Albania, Macedonia (un prodotto, comunque, arrivato nel Nordest italiano grazie all’Impero Austro-Ungarico). Ma un simil prodotto c’è anche in Romania: il mititei. Una ciambella che nacque nel 1525 a Istanbul, il simit, altro non è che il gewrek in Bulgaria, il djervek in Servia, e il covrig in Romania. Molte delle paste farcite di carne tipiche degli ex Paesi jugoslavi, poi, vengono dalla tradizione Ottomana: un esempio è il Burek, di carne, formaggio o verdure, tipico anche in Albania, Grecia e Bulgaria.

I latticini

Nelle tavole europee non manca lo yogurt. Ebbene, questo è un termine turco. Deriva da yogurmak, mescolare, e secondo la tradizione è arrivato in Europa dall’Impero Ottomano, passando dalla Grecia. Molti formaggi dei Balcani, inoltre, sono “di salamoia”, proprio come la classica feta. E dall’Anatolia viene anche il Beyaz peynir, un formaggio simile, con latte di pecora, vacca o capra.

Dulcis in fundo

La “delizia turca”, portata dall’Impero Ottomano nell’Europa orientale, oggi è un dono che viene dato ai viandanti in visita ai monasteri ortodossi della Repubblica del Monte Athos, la Regione autonoma della Grecia, il famoso “terzo dito” della penisola calcidica. È un dolce a base di gel di zucchero e amido, oggi spesso aromatizzato. Il dolce è il lokum, “boccone”, termine turco che deriva dall’arabo “rahat al-hulqum”, cioè “delizia alla gola”. Nato a fine Settecento in Turchia, è stata attribuita l’invenzione ad Haci Bekir. Una volta in Europa è diventato, però, la “delizia turca”. Arrivato in Grecia ha preso il nome di loukoumi, e nell’Athos è il segno del benvenuto che viene dato dai monaci ai diversi pellegrini in visita. In Bulgaria è il lokum. A Cipro è diventato un Igp, tanto che si chiama “delizia cipriota”, e che venne creata nel 1865 da Sophocles Athanasiou ritornato in patria con l’idea di creare quel dolcetto che aveva visto nei suoi viaggi all’estero. In Bosnia-Erzegovina è, invece, il ratluk.

E una tazza di caffè?

Ebbene sì. Non ci sarebbe caffè in Europa se non ci fossero stati i militari dell’Impero Ottomano ad assediare Vienna. Secondo quanto si narra, infatti, fu dopo l’assedio della città austriaca del 1683 che gli Ottomani in ritirata lasciarono sacchi di chicchi di caffè. All’inizio gli austriaci li presero per cibo per cammelli. Ma il diplomatico e nobile polacco Jerzy Franciszek Kulczycki si rese conto che era caffè non tostato. Prese quei chicchi e nel 1684 aprì la prima caffetteria europea.

 

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