Il popolo del click-dinner li conosce tutti – Deliveroo, Glovo, Just Eat, Foodora, Uber Eats – basta scaricare l’app, un click (appunto), e in pochissimo tempo qualcuno suonerà alla porta di casa per consegnare una cena o un pranzo freschi di cucina. Si stima che nel 2020 il food delivery sia cresciuto del 49% rispetto all’anno precedente, grazie soprattutto alla pandemia e alla velocità delle big company. Là fuori però esistono realtà che vanno oltre i colossi, i quali, pur efficientissimi e vari nelle proposte, spesso mancano di una selezione di ristoranti fine dining o stellati. Il che accade, non tanto per scelta, quanto per necessità dei ristoranti: queste cucine offrono piatti complessi con tempi di preparazione lunghi, che non possono accogliere in maniera indifferente grandi numeri di ordini in poche ore, il che, però, li esclude matematicamente dalle reti di fast-forward delivery più conosciute. Fino ad oggi.
Ora, cominciando da Milano e arrivando fino a Caserta, sono nate tre star up illuminate, che fanno da collettore e da amplificatore a nuove tendenze nella cucina da asporto o da delivery. Come Sergio, realtà milanese che dà il ritmo alle cucine “impegnate”, con piatti che richiedono lavorazioni di ore e in cui una o venti comande fanno la differenza. Oppure Dine up, sempre a Milano, spin off di Taste of Milano Dining Festival, che basa il proprio valore aggiunto sull’elevazione degli standard esperienziali del piatto gustato “a casa”, diffondendo al tempo stesso la cultura del riciclo, anche su materiali come la plastica, e rivalutandone gli utilizzi a scopi benefici. Dine up mette in luce il non trascurabile punto dello smaltimento rifiuti, un problema difficilmente quantificabile, che lascia per lo più ai ristoratori la modalità di scelta nell’imballaggio degli alimenti, e che a causa pandemia si è esponenzialmente amplificato.
A voler guardare i numeri, secondo un’indagine realizzata lo scorso aprile in occasione della Giornata Mondiale della Terra, proprio da uno dei big – Just Eat – emerge che, su un campione di 500 ristoranti, l’83% considera lo spreco un tema importante e il 77% crede di poter contribuire attivamente all’abbattimento dello smaltimento dei rifiuti. Non solo, il 90% degli intervistati, su 15.000 clienti dell’app, preferirebbe ricevere cibo a domicilio in confezioni sostenibili. Meno male.
A chiudere il quadro delivery, non mancano le numerose polemiche legate al contratto nazionale dei rider, i vecchi “fattorini”, che in Italia ammontano a 20.000 unità. Solo quest’anno, parliamo di settembre 2020, sono riusciti a strappare un contratto collettivo firmato da Ugl e Assodelivery – la sigla che raggruppa tutte le app più famose – e che però ha classificato la disciplina dei rider come lavoratori autonomi, quindi senza un compenso minimo garantito come succede per i lavoratori subordinati. Fortunatamente non per tutti. Dal Sud arriva Alfonsino, star up casertana nata nel 2016, che si occupa di consegna capillare nei piccoli centri in ben 7 regioni e che, grazie a due raccolte in crowdfunding, ha implementato un nuovo sistema di consegne con assunzione diretta dei propri rider, attualmente 700, ma che l’azienda punta a portare a 3700 su tutto il territorio nazionale entro il 2022. Insomma, tre realtà che meritano di essere viste da vicino per iniziativa e approccio etico.
Sergio, start up milanese partita durante il secondo lockdown, cambia il modo di fare delivery e lo fa in maniera semplice, ma innovativa, raccogliendo alcuni tra i migliori ristoranti stellati e fine dining del capoluogo lombardo, e ne dà maggiore visibilità attraverso la sua piattaforma, pur mantenendo il loro servizio di consegna indipendente. Con Sergio viene messo in atto il principio dell’unione con una modalità “ad personam”. Le normali piattaforme delivery non consentono infatti di contingentare gli ordini, Sergio invece ha messo a punto un sistema che permette ai ristoranti di gestire a piacimento gli slot orari delle ordinazioni, impostando un numero massimo di richieste l’ora e lasciando decidere agli chef con quanto anticipo è necessario ordinare.
E proprio grazie a questo servizio modulato ad hoc, gli chef propongono menu speciali, non solo alla carta, con differenti abbinamenti di vino, selezionati a seconda dei piatti proposti. Su Sergio si possono trovare vere perle come la Bentoteca dello chef Yoji con la sua cucina giapponese stravolta dalla creatività. Oppure la cucina entusiasta di Viva Viviana Varese, e i piatti della tradizione della trattoria Ciciarà. Ognuno con i suoi tempi e modi. Ad esempio, per Ciciarà sono necessarie 6 ore di anticipo sull’orario di consegna, per i panini sexy o per i grand plateaux di Banana, 5 ore, per Viviana Varese 24, come per lo chef Yojii, e così via. Insomma ogni cucina valuta i suoi tempi da rispettare per portare la sua qualità, facendo rete, senza snaturare il servizio.
Ordinare, ça va sans dire, è facile, si va sul sito, si cerca un ristorante per nome o attraverso un ingrediente – crostacei, pesce, carne – , o, se è più comodo, nella zona della città che si preferisce, sulla base dello stile di cucina (vegano, vegetariano o senza glutina) o per fascia oraria di pranzo e cena. A quel punto si sceglie il menu e magari anche una delle bottiglie consigliate in abbinamento, si inseriscono ora e giorno del ritiro o della consegna. Con un unico memento: per fare le cose bene ci vuole tempo e su Sergio si prenota solo in anticipo.
Il nome non è certo causale (ovvio). Alfonsino, realtà casertana nata nel 2016, è l’amico di famiglia che porta pranzo o cena, una sorta di personificazione di un servizio. I fondatori, Carmine Iodice, Domenico Pascarella e Armando Cipriano, hanno colmato con Alfonsino il vuoto (cosmico) della mancanza di delivery nella loro città e nei centri più piccoli, dai 25.000 ai 50.000 abitanti, in 7 regioni differenti (e presto in tutta Italia).
Per prenotare il proprio menu o i propri piatti si chatta su Facebook Messanger o attraverso l’app dedicata e in 30 minuti si vede arrivare il proprio ordine. In pratica lo stesso servizio dei big deliveries nelle grandi città, ma in modalità “piccolo centro”, per dare un approccio più umano e più vicino alle esigenze delle comunità locali. Attenzione che si traduce anche in una coté sostenibile nelle modalità di utilizzo dei rider – regolarmente assunti in azienda – e nel coinvolgimento dei ristoratori nella piattaforma. I ristoranti di Alfonsino oggi sono circa 950 (ma dovrebbe salire a 1500 entro fine marzo 2021) e coprono 300 città in 7 regioni differenti, con 250.000 clienti attivi.
Su Alfonsino si ordina tutto in modo estremamente semplice perché si accede al servizio tramite la chat di Facebook, senza credenziali, con un chat-bot nativo sviluppato in-house, oppure attraverso l’app gratuita con cui si può anche tracciare in tempo reale il percorso del rider. I rider agiscono nel raggio di copertura di 4 km e mezzo dal centro città, creando fra cliente e “fornitore” un rapporto di familiarità.
Ed è proprio sui rider che Alfonsino ha voluto concentrare la sua attenzione: tutti infatti hanno contratti regolari e ricevono un fisso (a paga settimanale) più una retribuzione per ogni consegna effettuata, con tre figure in azienda dedicate alla loro formazione, e una app su cui scegliere il proprio turno. Nel 2018 avevano iniziato una campagna di crowdfunding – chiusa in tempi brevissimi – che ha raccolto 150.000 Euro e che ha permesso di incrementare le risorse, in un team di 30 unità. Vincitrice nel 2020 dell’Unicredit Start Lab per la categoria “Innovative Made in Italy” e dando il via a un secondo crowdfunding che ha raggiunto 460.000 euro, più del 31% sull’obiettivo prefissato.
Nasce, sempre a Milano, Dine Up – Fine dining at Home, una piattaforma dell’agenzia di produzione eventi Beit Events, nata sulla scia di Taste of Milano Dining Festival, per il quale era stata inizialmente creata.
«Dine up ruota fondamentalmente su tre concetti: il supporto al mondo della ristorazione» afferma Veronica De Luca, curatrice del progetto «il rispetto dell’ambiente e il supporto sociale: non vogliamo essere un delivery nel senso comune del termine, vogliamo portare ai nostri clienti una proposta di menu pronta, ideata appositamente da uno chef per noi, per valorizzare l’esperienza da fare a casa. Il tutto con consegna in auto – i nostri sono driver e non rider – per mantenere elevata la qualità, portando un pezzo di ristorante fra le pareti domestiche».
Il range di prezzo per menu va dai 40 ai 60 euro, mentre nella formula sperimentata durante il primo lockdown arrivava anche a 95 euro «abbiamo chiesto uno sforzo ai ristoratori, e abbiamo cercato di fare il possibile per ridurre l’impatto ambientale, oltre che associarci ad un progetto di charity che dà un’ottica differente sull’utilizzo del riciclo della plastica». Il box di Dine Up è in cartone riciclato e arriva a casa con, in omaggio, una bottiglia di Acqua MOOD, in PET riciclabile al 100%. «La partnership con Acqua MOOD supporta il progetto sociale “Io do una mano” che ha la finalità di fornire protesi artificiali costruite con plastica riciclata e stampanti 3 D a bambini cui la malattia, un incidente o la guerra hanno privato di un arto. Questo per dare un messaggio che i materiali plastici, se smaltiti correttamente, hanno approccio costruttivo e utilizzi infiniti».
Per accedere al servizio di Dine Up basta inserire sul sito il proprio indirizzo e scegliere fra le diverse categorie divise in ristoranti, pasticcerie, enoteche/scuole e gelaterie – oggi 12 in totale -, ognuna con una vetrina/card che dà tutte le informazioni utili: l’orario di apertura del ristorante, l’ordine minimo, il costo e il tempo della consegna, oltre alla distanza chilometrica dal luogo indicato. Una volta impostati i parametri si accede ai menu creati appositamente dello chef per Dine Up, con, a scelta, una selezione di vini o champagne. «Abbiamo cercato una formula differente per supportare una categoria molto provata dalla pandemia come la ristorazione, che favorisse l’economia locale, offrendo proposte alternative rispetto a quelle che si trovano sul mercato, unendo un progetto benefico che desse un messaggio forte ai nostri fruitori» conclude Veronica De Luca. Il tutto all’insegna del buon recycle e del no waste, con un prodotto che premia la qualità.