Pubblicato originariamente su Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa
Domenica 6 dicembre i cittadini romeni si recheranno alle urne per eleggere il nuovo parlamento e, di conseguenza, indicare la maggioranza che sosterrà il nuovo esecutivo. L’ultima tornata elettorale, nel dicembre 2016, si risolse in un clamoroso successo del partito social-democratico (PSD), dell’allora leader Liviu Dragnea. Fu l’inizio di una legislatura travagliata, durante la quale si sono avvicendati quattro governi: i primi tre guidati da esponenti del PSD, Sorin Grindeanu, Mihai Tudose e Viorica Dăncila, e l’ultimo da un liberale Ludovic Orban. Il paese si presenta all’appuntamento in una condizione economica e sociale precaria, a causa degli effetti della pandemia e del recente drammatico incendio registrato nel reparto Covid dell’ospedale di Piatră Neamț, in Moldova, che ha provocato la morte di decine di persone.
Cosa dicono i sondaggi
Considerando i dati forniti dai principali istituti di sondaggistica, il partito nazional-liberale (PNL), che esprime l’attuale premier, oltre al presidente della Repubblica, dovrebbe ottenere tra il 25 e il 28% dei voti. A contendersi il secondo posto sarebbero il PSD e la coalizione di centro-destra formata dall’Unione per la salvezza romena (USR) e da Plus, il partito dell’ex premier Dacian Cioloș.
L’affluenza sarà verosimilmente molto bassa: nel 2016 si assestò intorno al 40%, ma molti analisti prevedono che raggiungere nuovamente questa soglia sia alquanto ottimistico. Al già tenue interesse dei romeni verso le elezioni contribuisce anche la pandemia, che di certo non invoglierà a raggiungere i seggi.
I possibili scenari
Da quel che dicono i sondaggi, nessun partito riuscirà a ottenere la maggioranza assoluta. Da lunedì 7 dicembre, il PNL dovrebbe quindi diventare l’ago della bilancia. Sarà il partito del presidente Iohannis ad avere in mano le redini del gioco. Dovrà infatti negoziare con le altre formazioni per costruire una coalizione di governo che goda di un solido sostegno parlamentare. L’opzione più lineare sarebbe un esecutivo guidato da un esponente del PNL appoggiato dall’alleanza USR-Plus, la quale dovrebbe ottenere anche alcuni ministeri importanti. L’USR-Plus è un soggetto politico giovane, che raccoglie i consensi soprattutto degli ambienti urbani, e nello specifico delle fasce mediamente più scolarizzate; si dichiara di centro-destra, europeista, e con un forte afflato legalitario, e viene dal successo ottenuto con l’elezione di un suo esponente, Nicușor Dan, come sindaco di Bucarest. Dan Barna e Dacian Cioloș sono i suoi leader riconosciuti.
Come spesso accade in Romania, tuttavia, la scelta più logica non è necessariamente quella che verrà poi perseguita. Negli ultimi giorni si rincorrono sempre più frequentemente le voci di negoziazioni serrate tra rappresentanti del PNL e del PSD; si dice che i liberali vogliano chiedere ai social-democratici un appoggio esterno a un governo monocolore guidato sempre da Ludovic Orban. Ma perché il PNL dovrebbe scegliere di mercanteggiare con l’acerrimo nemico social-democratico, invece che accogliere il nuovo che avanza che, tra l’altro, appartiene alla sua stessa famiglia ideologica di riferimento? La risposta è semplice: perché il PNL e il PSD, al di là degli slogan mediatici, sono ben più vicini di quel che appare. Orban teme la presenza al governo di politici giovani, rampanti, con un occhio attento alla trasparenza e alla correttezza delle pratiche amministrative, che potrebbero metterlo spalle al muro alla prima occasione.
Molti osservatori sostengono che l’attuale primo ministro non sia molto amato dalle gerarchie dell’alleanza USR-Plus, la quale sarebbe ben contenta di concedere la premiership a qualsiasi altro liberale che non sia Orban. Inoltre, molti aspiranti parlamentari che oggi si candidano nelle liste del PNL, in passato hanno fatto parte del PSD, e non vedrebbero negativamente il patto occulto tra le due compagini.
Parlando delle elezioni amministrative dello scorso settembre, abbiamo già sottolineato come anche a livello locale molti esponenti della classe dirigente liberale fossero in realtà degli ex social-democratici, camaleonticamente trasferitisi nel partito che, al momento, garantisce maggiori possibilità di vittoria. E il PSD cosa guadagnerebbe? I social-democratici potrebbero presentarsi come uomini di responsabilità che sostengono il governo per puro spirito di servizio, affinché il paese non affronti una crisi politica in piena pandemia; una volta passata l’emergenza, però, potrebbero togliere l’appoggio all’esecutivo, e trascinare il paese ad elezioni anticipate. Guadagnerebbero così tempo per far dimenticare ai cittadini gli errori compiuti nella precedente legislatura e riorganizzare la leadership del partito, attualmente in mano al ben poco carismatico Marcel Ciolacu. Difficile prevedere quel che accadrà: ad oggi queste sono le opzioni sul tavolo, ma tutto dipenderà dalla forza con cui i vari partiti usciranno dalle urne.
La variabile Iohannis
Altra variabile da considerare è il presidente della repubblica Klaus Iohannis. Orban è un suo protetto, e l’intero governo è, di fatto, una sua emanazione. Il suo ruolo nelle negoziazioni post-elettorali sarà tutt’altro che passivo. In Romania pochi dubitano sul fatto che Iohannis sia in realtà il premier ombra, e per questo la stampa non perde occasione di incalzarlo ogni qualvolta emerge uno scandalo che investe direttamente il governo.
Ha fatto scalpore, la settimana scorsa, un episodio accaduto durante la conferenza stampa presidenziale in cui venivano presentate le nuove misure anti-Covid. Una giornalista ha chiesto a Iohannis se fosse a conoscenza di quel che era accaduto in Transilvania, dove un funzionario dell’ente pubblico che si occupa delle risorse idriche, che aveva vinto il posto per concorso, è stato costretto alle dimissioni da un notabile politico locale del PNL eletto lo scorso ottobre, il quale ha riempito l’amministrazione pubblica di ambigui personaggi che lo avevano sostenuto in campagna elettorale.
Pressato dalla stampa, Iohannis ha detto di non essere a conoscenza del misfatto, e in tono sprezzante e disinteressato ha affermato lapidariamente di «doversi documentare» prima di rispondere. Un atteggiamento che ha indispettito l’opinione pubblica, memore dei duri e ripetuti attacchi di Iohannis al PSD in occasione di episodi di corruzione e malaffare, anche nelle province più periferiche. L’ennesima dimostrazione che, sotto la superficie e le divisioni di facciata, la cultura politica romena ha un comune substrato.