Pubblicato originariamente su Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa
C’è stato un momento, nello scorso decennio, in cui Bucarest sembrava avviata a diventare la nuova capitale europea dell’HIV/AIDS. Il numero di morti provocati dall’epidemia prese infatti bruscamente a salire a partire dal 2011, fino a superare i 100 morti nel 2016 – un tasso di mortalità in proporzione alla popolazione più alto rispetto a qualsiasi altra regione europea, a eccezione del Portogallo meridionale e della Lettonia. Benché negli ultimi anni la crescita si sia arrestata, il numero delle morti provocate dall’HIV/AIDS nella regione di Bucarest continua a essere tra i più alti d’Europa ed è ormai paragonabile a quello dovuto ai suicidi o al diabete.
Nel suo complesso, nell’Unione europea a 28, il tasso di morti provocato dall’HIV/AIDS si è dimezzato nell’ultimo ventennio. È un’importante storia di successo nella lotta contro un contagio che si diffonde certo assai più lentamente rispetto al COVID-19, ma che nel tempo ha colpito circa 400.000 persone in Europa. Ancora oggi, le complicazioni legate all’HIV/AIDS provocano circa 3300 vittime all’anno all’interno dell’Unione europea. La recente riduzione delle mortalità dovuta all’HIV/AIDS è stata particolarmente intensa in alcune delle regioni europee, come Lisbona e la costa iberica meridionale.
Tra le poche aree in controtendenza, spicca quella di Bucarest, passata dalle 0,5 morti per 100.000 abitanti nel 2009 alle 3,3 morti per 100.000 abitanti nel 2017 (il dato più recente a disposizione). Sempre nel 2017, Bucarest ha superato per la prima volta i 4000 ricoveri ospedalieri dovuti all’HIV/AIDS. Che cosa è successo?
In Europa l’AIDS tende a colpire prevalentemente uomini di mezza età, e l’HIV tende a diffondersi per via sessuale (soprattutto tramite rapporti omosessuali, ma non solo); meno del 5% dei contagi è legato alla tossicodipendenza. In Romania l’AIDS tende invece a colpire persone più giovani – soprattutto ventenni e trentenni della zona di Bucarest. Rispetto al resto d’Europa, nel paese il contagio tende inoltre a diffondersi molto più spesso tramite rapporti eterosessuali e tra i tossicodipendenti , tanto che si stima che a Bucarest circa il 30% di questi ultimi sia sieropositivo.
Poiché i comportamenti sessuali sono relativamente stabili nel tempo, l’improvvisa esplosione di un focolaio di HIV è generalmente legata alla tossicodipendenza – e in particolare a nuove forme di consumo determinate dalle oscillazioni del mercato della droga, oppure a tagli ai programmi di riduzione del danno, che possono rapidamente tradursi in un aumento dei casi di condivisione delle siringhe. Negli ultimi anni, proprio a causa della droga sono esplosi dei focolai di HIV a Dublino, Lussemburgo e Glasgow, oltre a quello di Bucarest.
La crisi nella capitale romena è iniziata verso la fine del 2010, alimentata dal massiccio ingresso nel mercato della droga di anfetamine, catinoni e altri stimolanti sintetici, che grazie ai loro prezzi economici hanno parzialmente soppiantato l’eroina. L’assunzione di alcune di queste droghe implica da tre a dieci iniezioni al giorno: e dunque l’uso e la condivisione delle siringhe sono aumentati.
Secondo Thomas Seyler, esperto di malattie infettive presso l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, per contrastare i focolai di HIV legati al consumo di droghe è necessario muoversi con più convinzione da una prospettiva di salute pubblica, e dunque intervenire innanzitutto sulla prevenzione, sulla riduzione del danno e su un maggiore accesso alle cure. Le strategie più efficaci – su cui rimane da lavorare – consistono nella distribuzione di siringhe pulite ai tossicodipendenti e nelle terapie sostitutive.
I dati indicano che questo approccio ha pagato in Portogallo, che anche grazie alla depenalizzazione del consumo di ogni tipo di droga è riuscito ad abbattere i livelli molto alti di diffusione dell’HIV/AIDS nel paese. Dal punto di vista delle terapie sostitutive la Romania continua invece a essere al di sotto degli obiettivi fissati dall’Organizzazione mondiale della sanità: queste terapie coprono infatti circa il 10% dei tossicodipendenti del paese, a fronte dell’obiettivo del 40% fissato dall’OMS.
In Europa l’attuazione dei programmi di prevenzione e cura dei sieropositivi è lasciata alla responsabilità delle autorità nazionali, che a loro volta spesso si appoggiano alle Ong, mentre gli organismi sovranazionali si limitano a monitorare la situazione. Basta dunque un cambio di politiche interne, dei tagli alla sanità o ai fondi per le Ong per mettere rapidamente in crisi i programmi di prevenzione contro l’HIV/AIDS e facilitare l’esplosione di un focolaio. In effetti, proprio poco prima della crisi dei primi anni Dieci a Bucarest erano stati tagliati i programmi per la distribuzione di siringhe, già insufficienti.
Dal lato del monitoraggio e delle cure la Romania può contare su un’importante esperienza decennale, legata alla drammatica vicenda dei circa 13.000 bambini che furono contagiati dall’HIV negli ospedali e negli orfanotrofi all’epoca di Ceaușescu. Una serie di leggi all’epoca considerate pionieristiche garantiscono ai malati accesso gratuito alle cure antiretrovirali, sostegno finanziario e assistenza sociale. Tuttavia, l’ultima strategia nazionale per la gestione dell’epidemia HIV/AIDS risale al 2004 . Un aggiornamento della strategia è stato presentato dal governo nel 2018, ma non è ancora stato approvato e messo in atto.
Questo articolo è pubblicato in associazione con lo European Data Journalism Network ed è rilasciato con una licenza CC BY-SA 4.0