Distanziamento a-socialeLa pandemia ha paralizzato l’assistenza sanitaria mentale in Europa

Già prima della crisi le risorse per l’assistenza mentale erano insufficienti. Il Covid-19 ha provocato un vero e proprio tsunami nel settore, rendendo più difficile l'accesso alle cure. Circa il 75 per cento dei servizi di psichiatria è stato erogato per via telematica, ma non sempre questa si rivela un'opzione valida

Unsplash

Pubblicato originariamente dallo European data journalism network

Andrés Colao  parla alla luce della sua esperienza come paziente che ha osservato la pandemia COVID-19 mettere in ginocchio un sistema sanitario già traballante. È il portavoce di AFESA  , un’organizzazione spagnola che si occupa di persone con disturbi mentali e delle loro famiglie. Il problema di questi mesi? Chi ha ricevuto una diagnosi di disturbo psichico prima della pandemia è rimasto in un limbo, a causa della crisi sanitaria in corso. È questo il caso di Jorge Daniel Castilla  , che si stava sottoponendo a una cura: «Da marzo ho ricevuto un paio di telefonate, l’ultima a giugno, per sapere come stessi. La mia terapia è rimasta in sospeso».

La crisi scoppiata col COVID-19 è stata particolarmente difficile per le persone che necessitano di servizi psichiatrici e psicologici: «Per tanti è stato un periodo di grandi sofferenze», dice Colao.

Il COVID-19 ha provocato un vero e proprio tsunami nel settore della salute mentale. Durante la prima ondata dei contagi, uno o più servizi dedicati a pazienti con problemi mentali, neurologici o di abuso di sostanze stupefacenti sono rimasti paralizzati nel 93 per cento dei Paesi monitorati dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS). Quasi il 40 per cento dei Paesi europei partecipanti allo studio ha riferito situazioni addirittura peggiori, tanto che tre servizi di igiene mentale su quattro sono stati sospesi. «Più è stato rigido il confinamento, più è stato grave il suo impatto», spiega Marcin Rodzinka, portavoce di Mental Health Europe, una rete di utenti e professionisti dei servizi sanitari mentali. Qualcosa del genere è accaduto in Spagna, per esempio, dove sono stati chiusi i centri ambulatoriali per i pazienti con malattie mentali.

Nei casi più gravi, chi è stato ricoverato in ospedale ha vissuto esperienze di gran lunga più traumatiche: lo racconta Montse Aguilera, che lavora per i diritti delle persone che, come lei, hanno ricevuto una diagnosi di malattia mentale. Coloro che soffrono di patologie psichiche gravi in genere sono più isolati e vulnerabili e, di conseguenza, nel loro caso il confinamento e l’isolamento sociale possono avere un impatto particolarmente negativo, come conferma lo psichiatra Armando D’Agostino  degli ospedali ASST Santi Paolo e Carlo di Milano.

Il distanziamento sociale e l’assistenza sanitaria mentale a intermittenza
La pandemia da COVID-19 ha rivoluzionato l’assistenza sanitaria, compresa quella per la salute mentale, e continua a causare problemi. «Il numero di appuntamenti è stato considerevolmente ridotto già da giugno», dice Felice Iasevoli, psichiatra dell’ospedale dell’Università Federico II di Napoli. Oltre ai tagli ai servizi di igiene mentale disponibili, è calata in modo drastico anche la richiesta di assistenza da parte delle persone con problemi psichici.

«Il calo delle richieste di assistenza è imputabile al lockdown e alla paura: le persone non volevano venire in ospedale, o comunque non potevano a causa delle restrizioni imposte agli spostamenti o per il confinamento obbligatorio», dice la psichiatra croata Martina Rojnic, portavoce della European Psychiatric Association.

È il caso di Maria, che vive a Bucarest, ma che preferisce restare anonima per paura di essere stigmatizzata: iniziato il confinamento, ha continuato online le sedute che segue a causa della depressione. Quando il terapeuta le ha suggerito di tornare in presenza, visto il calo estivo dei casi di COVID-19, Maria «si è sentita molto in ansia, impaurita all’idea di uscire ed essere contagiata». Con l’arrivo della seconda ondata di contagi da coronavirus, Maria è tornata alla terapia online per ridurre al minimo il pericolo di contagio.

«È necessario che l’assistenza sia continua: se la cura si interrompe, il rischio di ricaduta è elevato», dice però Rojnic. In alcuni casi le terapie sono così continuate al telefono, in altri con videochiamata. Secondo i dati dell’Associazione europea di psichiatria, oltre il 75 per cento dell’assistenza psichiatrica durante la prima ondata di COVID-19 in Europa è stata fatta online, nonostante grandi differenze tra un Paese e l’altro. «In alcuni paesi le sessioni online non sono decollate e l’assistenza è stata semplicemente sospesa», racconta Rojnic.

«Nei Balcani e nell’Europa sudorientale le sedute online hanno raggiunto il 50 per cento; in Paesi che già erano abituati a questo tipo di pratica, come quelli scandinavi, è stato invece più facile», spiega Rojnic. Secondo uno studio  del 2015 dell’Osservatorio globale dell’Oms per l’assistenza online, soltanto Finlandia, Paesi Bassi e Svezia avevano all’opera dei programmi di telepsichiatria a livello nazionale.

Altri Paesi come Grecia  e Spagna  avevano lanciato programmi pilota per l’assistenza psichiatrica da remoto, mentre in Croazia,Italia  e Lituania  all’epoca esistevano solo iniziative sporadiche o informali. “Prima della pandemia, le sedute digitali non sono mai state davvero al centro delle politiche per l’assistenza sanitaria”, dice D’Agostino. Se prima la telepsichiatria era solo una delle opzioni disponibili, il lockdown ha trasformato le sedute online nell’unica possibilità a disposizione per alcune persone.

Senza negare i benefici che una terapia online può portare, gli esperti auspicano “sostegno continuo” per le persone affette da patologie importanti. Il problema, va detto, esisteva già prima del COVID-19, dato che la carenza di risorse limitava l’accesso all’assistenza mentale. Secondo i dati Eurostat del 2018, i Paesi europei con il maggior numero di psichiatri per 100mila abitanti erano Germania (27,45 per 100mila abitanti), Grecia (25,79) e Paesi Bassi (24,15); Polonia (9,23), Bulgaria (10,31) e Spagna (10,93) al contrario hanno il minor numero di psichiatri in rapporto alla popolazione.

L’assistenza da remoto non è una panacea
Già prima della pandemia, le risorse per l’assistenza mentale erano dunque scarse. Oggi l’accesso alle cure è ancora più difficile. L’assistenza sanitaria da remoto si è affermata come un’opzione praticabile negli scorsi mesi, ma le opinioni dei pazienti in merito sono varie. Per alcune persone, le sedute in presenza sono molto importanti per il contatto visivo e il rapporto di fiducia che si instaura tra il terapeuta e il paziente. «Se non si hanno alternative, si accetta l’assistenza online, ma non è la stessa cosa», dice Aguilera, paziente e attivista per i malati psichici.

Secondo altri, l’assistenza da remoto può addirittura rivelarsi preferibile rispetto a una consultazione in presenza: è questo il parere di Jorge Daniel Castilla, un paziente che lavora presso La Muralla  , un’ong che si occupa di salute mentale.

Per la psicologa Marta Poll, direttrice dell’organizzazione Salut Mental Catalunya, esperienze come quelle di Castilla dimostrano che l’assistenza da remoto può aiutare persone con difficoltà di mobilità o che faticano a instaurare rapporti di fiducia in presenza. Tuttavia, ci sono altre barriere che possono complicare l’assistenza di alcuni pazienti, perlopiù nel caso degli anziani o di chi, per ragioni economiche o di altra natura, non ha accesso alla tecnologia. «Per alcuni pazienti non c’è stata alcuna forma di contatto, perché non erano in grado di gestire le sedute online e non potevano uscire, quindi sono peggiorati», spiega Jimmie Trevett, portavoce dell’Associazione svedese per la salute sociale e mentale, l’organizzazione RSMH.

I professionisti sanitari confermano che le telefonate e le videochiamate possono essere utili per seguire i pazienti già in cura, ma non sempre sono efficaci: «Possono rivelarsi complicate per chi inizia un percorso terapeutico», dice D’Agostino. Secondo vari studi pubblicati negli ultimi mesi, le possibilità per l’analisi a distanza dei pazienti sono più limitate  , anche se durante la pandemia numerosi Paesi hanno optato per l’assistenza da remoto  .

Ma ci sono state anche soluzioni creative, come quella sperimentata a Utrecht, nei Paesi Bassi. «Durante il lockdown, i servizi di salute mentale hanno introdotto il ‘caffè a passeggio’. Il terapeuta incontrava cioè il paziente all’aperto, così da mantenere le distanze di sicurezza ma riuscire a offrire una consulenza», racconta Rodzinka, portavoce di Mental Health Europe.

Timori per il futuro
Il problema di chi lavora nell’assistenza sanitaria ai malati psichici non è soltanto quello di assicurare le cure a chi già ha una diagnosi, ma anche capire come gestire i casi nuovi. «Le conseguenze della pandemia saranno devastanti per molte persone, che si ritroveranno disoccupate, con gravi problemi economici e senza un orizzonte sicuro», dice Nel Zapico, famigliare di una persona con disturbi mentali e presidente dell’organizzazione Confederación Salud Mental España .

I direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha già lanciato l’allarme : uno studio sull’impatto psicologico delle quarantene del passato – per esempio durante le epidemie di Sars, Mers ed Ebola – ha evidenziato alti livelli di ansia e di stress nelle persone sottoposte a quarantena. In numerosi Paesi europei sono state evidenziate sofferenze psichiche e preoccupazione in relazione alla pandemia COVID-19.

Gli esperti di salute mentale temono un’ondata di problemi psichici. «Prevedo disturbi da ansia in conseguenza dello stress e della tensione con cui ciascuno di noi si trova alle prese; disturbi depressivi come conseguenza del confinamento, della perdita di persone care o di difficoltà economiche; disturbi traumatici in conseguenza a situazioni sconvolgenti gravi, come essere stati ricoverati per COVID-19 o aver avuto un paziente stretto ospedalizzato», spiega lo psichiatra Iasevoli, che teme anche una ricomparsa di «disturbi legati all’uso di sostanze stupefacenti e il riacutizzarsi di sintomi psicotici tra gli individui più vulnerabili». L’elenco delle conseguenze negative, tuttavia, non finisce qui: «Nei sopravvissuti al COVID-19 ricoverati a lungo o senza un’assistenza adeguata a domicilio si possono prevedere anche alte percentuali di disturbi da stress post-traumatico», dice ancora D’Agostino.

Anche i professionisti in campo sanitario che lavorano in prima linea, come il personale medico e infermieristico, potrebbero avere delle conseguenze psichiche: «Si registrano già casi di burnout più elevati della media e nel tempo potrebbero presentarsi disturbi da stress post-traumatico. Le epidemie precedenti, come Sars e Mers, hanno inciso in maniera significativa sulla salute mentale degli operatori sanitari. Gli studi sull’impatto della prima ondata di COVID-19 in Paesi come la Spagna evidenziano che la maggior parte dei lavoratori in prima linea non ha ricevuto l’aiuto psicologico e psichiatrico di cui aveva bisogno.

Chi ha perso una persona cara, inoltre, soffre per non aver potuto dire addio in maniera adeguata, dice lo psichiatra Roberto Mezzina , che ha diretto il centro di salute mentale di riferimento a Trieste: «Tutto questo dolore è nell’aria, come sospeso, e potrebbe emergere ed avere un impatto per la società».

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club