Nel nostro Paese Cassa Depositi e Prestiti ha un profilo insieme nitido e ibrido, con regole di mercato e interesse pubblico sullo stesso piano. È una società per azioni. Beneficia della garanzia dello Stato italiano (BBB per Standard & Poor’s) sul risparmio postale. In questi centosettanta anni di vita, la sua mutazione giuridica e la definizione di strumenti più articolati – finanziari e societari – hanno aumentato la sua capacità di intervento nell’economia e nelle società italiane.
Ha sperimentato una evoluzione del Dna originale nelle opere e nelle infrastrutture, nel soccorso durante le emergenze e nell’ingegnerizzazione dell’intervento pubblico.
Cassa Depositi e Prestiti ha avuto nel 2019 un totale dell’attivo di 449 miliardi di euro. I prestiti sono ammontati a 101 miliardi. Il risparmio postale raccolto è stato di 265 miliardi. I capitali reperiti sul mercato sono ammontati a 91 miliardi di euro. Cassa ha sviluppato una rete di partecipazioni in imprese a forte caratura strategica.
Dispone di una dotazione da un miliardo di euro per il venture capital: risorse da allocare sia in investimenti diretti sia in fondi di fondi, in un segmento che per la sua esiguità finanziaria e per la sua marginalità è assimilabile in Italia a un fallimento del mercato, più di quanto non sia in altre parti d’Europa.
Ha portato gli strumenti della finanza nelle infrastrutture e nelle reti. Ha cambiato il suo codice antico – il finanziamento degli enti locali – in una versione più moderna. Ha confermato la vocazione di prestatore di soccorso di ultima istanza, di fronte ai drammi della natura e ai cataclismi pandemici in cui il virus trasmuta e diventa recessione globale e disorientamento antropologico.
È azionista di undici società quotate: Eni, Snam, Italgas, Terna, Poste, Saipem, Tim, Fincantieri, WeBuild (già Salini-Impregilo), Trevi e Bonifiche ferraresi. Queste società hanno registrato, nel 2019, un fatturato di 130 miliardi di euro, hanno realizzato investimenti per 17 miliardi e hanno impiegato 300.000 dipendenti.
Il mondo post-pandemia si annuncia denso di presagi e pieno di incognite. La rimodulazione dei rapporti fra Stato e mercato e la ricalibratura dei legami fra economia e società – nei meccanismi di funzionamento e nella ricerca di un senso delle cose – dovranno tenere conto dell’efficienza dell’economia e delle emergenze dell’uomo.
Dalla seconda metà del Novecento, la crisi dell’Occidente ha nell’Europa uno dei suoi luoghi – reali e immaginari, concreti e culturali – di maggiore fragilità e di più profondi dubbi. Il modello economico e sociale, politico e culturale continentale – in questo caso tedesco, francese e italiano – ha nei tasselli della Cdc, della KfW e della Cdp dei tasselli essenziali dei rispettivi mosaici nazionali che, a loro volta, compongono il quadro europeo.
Nello specifico caso italiano la centralità, l’essenzialità e anche l’importanza di maneggiare con cura Cassa Depositi e Prestiti sono ben esemplificate dal colpo d’occhio su un reticolo di attività, su una pluralità di specializzazioni e su un insieme di partecipazioni per definizione tutte strategiche. Soprattutto in un Paese che è segnato da quattro fenomeni, intimamente interconnessi.
Il primo fenomeno è il perdurare della crisi della grande impresa privata, sia nella manifattura sia nei servizi. Il secondo è la difficoltà a crescere di dimensione delle piccole e medie aziende, che appare ormai un tratto peculiare del paesaggio economico nazionale. Il terzo è la crisi di una società gerontocratica e anti-meritocratica e – nella sua leadership politica ed economica, culturale e sociale – in declino di competenze e di qualità, di carisma e di visione delle cose. Il quarto è il deterioramento dello Stato, caratterizzato da inefficienze di ogni genere nella giustizia civile e nel sistema del welfare, dalla sfiducia di tutti e dalla responsabilità (mai) di nessuno, da una ipertrofica e violenta propensione individuale e collettiva a non considerare in nessun caso un problema il debito pubblico e la sua crescita.
Tutto questo comporta la crescente marginalizzazione dell’Italia nelle cartine della nuova geo-economia. Il Paese è sempre meno centrale nei grandi processi storici e politici, economici e tecnologici.
Cassa Depositi e Prestiti ha un assetto. Ha un’ossatura. Ha una sua identità. Nelle attività tradizionali, che ne fanno l’infrastruttura e il cuore finanziario del Paese. Nel suo perimetro più ristretto. E nel suo perimetro più allargato. Dove si trovano, per esempio, reti ed energia, petrolio e gas, infrastrutture e cantieristica, digitale e investimenti sociali.
In questo specifico portafoglio di partecipazioni, sono presenti tutti i comparti che segnano la modernità novecentesca e che fanno parte anche delle frontiere tecnologiche prossime venture.
Nel profilo complessivo della Cassa Depositi e Prestiti – costruito in 170 anni di storia, con tutte le sue potenzialità e le sue contraddizioni – c’è un’idea di futuro per il Paese.
da “Cassa depositi e prestiti. Storia di un capitale dinamico e paziente. Da 170 anni”, di Paolo Bricco, Il Mulino, 2021, pp. 248, euro 16