Un paio di notizie di questi giorni impongono una riflessione sul lavoro e sulla dignità, cardini della società in cui viviamo.
Una riflessione su quanto sia importante per l’uomo sentirsi parte attiva della comunità e quanto sia importante fare impresa in modo onesto e rispettoso.
La prima notizia è la morte di un “rider”. La seconda è la protesta di un gruppo di ristoratori (sigla Ubri, Unione Brand Ristorazione Italiana) contro le piattaforme di Delivery. In apparenza due notizie che sembrano legate solo dalla professione in questione. Invece, volendo guardare al di là delle apparenze, sono diverse le ragioni che le uniscono e meritano una riflessione.
A Roma Adriano Urso è morto d’infarto mentre spingeva la sua auto in panne. La sua morte ha fatto notizia, perché la cronaca ha registrato la particolarità di un musicista che arrotondava consegnando pasti a domicilio.
Una lettura superficiale, infatti, suo fratello, nonché collega, ha sottolineato che Adriano effettivamente svolgeva l’attività classificata sotto la definizione di “Rider”, ma non per un impellente bisogno di un qualsiasi compenso, ma semplicemente per “lavorare”. Certamente gli ingaggi erano diminuiti e, lui, peraltro, laureato in farmacia, aveva cercato impieghi saltuari in quell’ambito e anche in altri. Tuttavia, non trovando altre opportunità, l’unica attività che in questo periodo aveva tanta domanda e permetteva di gestirsi tempi e movimenti, era proprio quella della consegna pasti. I cronisti, visto che un borsone da rider era nell’auto di Urso quando è mancato, hanno scelto la narrazione che meglio avrebbe attirato i lettori.
Invece, questa persona, perché non è importante quali titoli avesse, quali mestieri svolgesse, ma che fosse una persona, voleva semplicemente lavorare, perché è ciò che lo faceva sentire vivo, libero, utile. Dunque, se si volesse trarre un insegnamento da questa vicenda e dalla vicenda umana di Adriano Urso è che il lavoro è sempre alla base della dignità umana, è ciò per cui ci si sente fieri e rispettati.
Marginalmente fa pensare che Urso, limitato nella sua attività principale, abbia svolto un’attività legata alla ristorazione per continuare lavorare. Spettacolo e Ristorazione due tra i settori che più stanno soffrendo in questo periodo e mai come anche in questo caso così legati.
Questo aspetto è comune all’altra notizia, infatti, anche se la protesta indirizzata alle aziende di Delivery pare fondarsi apparentemente su di una questione economica, avendo queste ultime esagerato nel trattenersi una percentuale del ricavo di ogni singola transazione, volendo guardare un po’ più a fondo si parla di dignità, anche in questo caso. Dignità che si riverbera su tutti gli attori di questa filiera che va dalla produzione del pasto e arriva al consumatore passando attraverso il fattorino, il rider, toccando chi gestisce la piattaforma che regola ordini e consegne. In tutti i protagonisti la dignità dovrebbe essere la voce che regola i rapporti.
Più volte abbiamo trattato questo argomento, soprattutto in difesa dei rider, cercando di contemperare la legittima domanda di mercato all’altrettanto legittima necessità di un guadagno per le imprese di ristorazione e di consegna, senza, però, cadere nello sfruttamento dell’ultimo anello della catena, il rider, al punto di mettere in dubbio la liceità, l’etica della scelta di farsi portare a casa un pasto a tutte le ore del giorno e della notte. Ecco, la risposta è nella tutela della dignità. Ora, schiacciati da richieste sempre più esose, sono gli stessi ristoratori a pagare lo scotto di un meccanismo non ancora ben oliato, dove la sperequazione è stata alimentata sfruttando la necessità di vendere dei ristoratori e la necessità di guadagnare dei fattorini. La risposta, forse non definitiva, ma, certamente accettabile, è nella dignità che viene rispettata se a tutti è garantito un equo compenso, che comprenda tutte le tutele del caso.
Ringraziamo, dunque, Adriano Urso, perché la sua storia ci aiuta a rimetterci in carreggiata, a ricordare che la dignità è il faro di ogni rapporto umano basato sul rispetto reciproco e agli operatori di questo settore diciamo che, se volessero, finalmente, trovare un punto di sintesi che soddisfi tutti, lo facciano anche in nome di un musicista che voleva lavorare.