AgroecologiaComunità del cambiamento, la prima nata è in Sicilia 

Da un’iniziativa di Slow Food Italia, nasce in provincia di Palermo il primo esperimento comunitario volto a coniugare sviluppo agricolo, biodiversità, sostegno ambientale ed economico e creazione di una rete di relazioni

In un anno battuto dai cambiamenti di rotta e dalle avversità, è nato un terreno decisamente fertile per nuove iniziative o per concretizzare quelle che si progettavano solo su carta. É in questo contesto che nasce il progetto Comunità del Cambiamento di Slow Food Italia. Come definito nel manifesto di Slow Food, «le Comunità del cambiamento sono progetti collettivi con cui imprese, singoli individui e portatori di interesse si impegnano a realizzare un cambiamento nei sistemi alimentari locali, adottando pratiche più sostenibili e inclusive. Rappresentano esempi di buone pratiche replicabili per creare un cambiamento tangibile nella produzione, trasformazione, distribuzione, consumo del cibo. Producono una ricchezza condivisa, agiscono non solo sugli indicatori economici usualmente misurati ma anche sulla tutela dell’ambiente, la salvaguardia del paesaggio, la salute della collettività e il benessere equo e sostenibile (Bes). Mettono in rete soggetti molti diversi fra loro: contadini, allevatori, pescatori, artigiani, ristoratori, botteghe, gruppi di acquisto, mercati di produttori, scuole, operatori della cultura e del turismo».

Come spiega Francesco Sottile di Slow Food: «Durante il confinamento, nei mesi scorsi, in Slow Food Italia abbiamo avviato una riflessione approfondita su ciò che stava succedendo e interloquendo con tutti coloro con cui facciamo strada insieme, produttori, ristoratori, trasformatori, ma anche personalità delle Amministrazioni Pubbliche, abbiamo realizzato l’importanza di mettere in campo qualcosa di significativo, qualcosa di reale, concreto, tangibile, lavorando con le comunità nei territori». Le parole d’ordine sono due: comunità e cambiamento. Comunità come mettere insieme diversi attori con un obiettivo comune, obiettivo che in questo caso è molteplice e comprende la conservazione della biodiversità, ma anche delle relazioni sociali e umane. Cambiamento perché venga offerto un nuovo paradigma produttivo, incentrato sul benessere sociale, ambientale ed economico, un cambiamento non teorico ma efficace, reale, all’interno delle filiere locali e territoriali del cibo.

Dopo mesi di valutazione, il primo progetto scelto per diventare Comunità del Cambiamento di Slow Food è stato quello che della Cooperativa Valdibella e della Cooperativa NoE, due realtà agricole della provincia di Palermo. Come spiega l’agronoma Carla Monteleone di NoE, che si trova a Partinico, comune di 30.000 abitanti: «Abbiamo 5 ettari di terreni che stiamo custodendo e che sono stati affidati alla cooperativa nel 98 da una confisca alla mafia. Lo scopo di questo affidamento è riconsegnare alla comunità il maltolto, in questo caso il terreno. Quello che negli anni è diventato un punto d’incontro per le giovani generazioni ma anche per adulti come strumento di lotta e di testimonianza antimafia». L’aspetto sociale del piccolo terreno curato dalla cooperativa ha sempre destato grande interesse e funzionano bene nel mettere insieme le persone in un percorso solidale, che includeva nell’entourage anche persone con disabilità. «Tuttavia quello che non funzionava – continua Camporeale – è stato sempre il discorso agronomico. Quando i beni confiscati vengono restituiti, non comprendono anche beni mobili. Come trattori e moto zappe. Per questo diventa molto difficile rendere le attività proficue anche sotto l’aspetto economico. Siamo dunque arrivati alla conclusione che bisognasse fare rete».

Da qui l’incontro con Valdibella, altra realtà agricola e sociale ben consolidata nel territorio siciliano. Si mettono insieme le forze e si crea un progetto che promuove l’agricoltura a Partinico in una nuova forma, indipendente dalle banche, autonoma, come frutto di una rete che riesce a sostenersi da sola. Massimiliano Solano è presidente della Cooperativa Valdibella, formatasi sul territorio di Camporeale sempre nel 1998, come rete di promozione della realtà rurale e agricola, libera, indipendente dalla mafia e dalle dinamiche commerciali che tolgono dignità agli agricoltori: «Noi a Valdibella come primo scopo abbiamo quello di aiutare le piccole realtà contadine, affinché possano essere inserite nel mercato sia dal punto di vista commerciale che agronomico. Siamo riusciti ad attivare piccole realtà, anche chi aveva terreni ma non aveva competenza o strumenti agricoli, tutto ciò su progetti a base ecologica e di conservabilità, e su concetti di produzione di cibo sano, destinato a un consumatore che sia egli stesso parte della filiera produttiva».

A mettere le mani nella terra invece, e a progettare il sistema agricolo di Valdibella l’ecologo brasiliano Rafael Bueno: «Questo progetto è partito a monte dalla constatazione di problemi molto seri, come la perdita della biodiversità, la degradazione del suolo, il rischio desertificazione. In questi problemi l’agricoltura ha un ruolo chiave, sia nella promozione che nella soluzione. Nel rapporto tra Valdibella e NoE c’è l’idea di costruire un progetto più diversificato che riuscisse ad aggregare l’agrobiodiversità, quindi la diversità dei prodotti agricoli e delle varietà antiche, la conservazione della natura e la produzione di qualità. Abbiamo diviso il territorio in diversi settori». C’è il settore della Food Forest, la prima in Sicilia, che ha una struttura forestale a predominio di piante arboree, con l’obiettivo di produrre non solo cibo, ma anche fibre e piante aromatiche, ma soprattutto di conservare la biodiversità delle tipologie di frutta. Poi ci sono i settori agroforestali, che integrano piante arboree con sistemi agricoli. In ambedue gli approcci, si riconoscono metodi agricoli tradizionali che si sono persi nel corso degli ultimi decenni.

Per capire a cosa siano serviti i finanziamenti ottenuti dal lavoro di Slow Food e dal sostegno di FTP Industrial, azienda produttrice di motori per macchine, mezzi e macchinari, con attenzione alle emissioni, fa chiarezza il vivaista floreale Ninni Conti: «Oltre all’acquisto di nuove piante, sono stati impiegati per la creazione di un sistema ecologico, come nel caso del biolago per il riutilizzo delle acque piovane e acqua bianche delle nostre case. L’acqua inutilizzata si raccoglie in un invaso attraverso un sistema di filtraggio che viene usato per l’irrigazione. Questo ci permette di non fare estrazioni profonde della falda. La pacciamatura delle piante sarà ugualmente utile per evitare la dispersione idrica. Infine abbiamo creato un biotrituratore, che permette la triturazione per ora del potato interno, ma speriamo di riuscire a dare anche un servizio esterno, per evitare che le persone continuino a bruciare, creando problemi ambientali».

In questa piccola ma significativa area dunque, si sta portando avanti con grande fermento un progetto qualificante di cui potranno beneficiare tutti gli attori coinvolti, sia a livello sociale che ambientale. La prima tra le Comunità del Cambiamento che riuscirà ad ispirare altre realtà a intraprendere progetti simili oppure a candidarsi per ottenere visibilità e fondi per il perfezionamento agricolo. «Noi siamo rimasti subito colpiti in fase di valutazione da questo progetto – conclude Francesco Sottile – sia per la Food Forest, ma anche perché questo progetto raccoglie elementi di conservazione della biodiversità e delle risorse naturali e di utilizzo di queste risorse in un modo corretto e sostenibile, anche per le generazioni future. Siamo molto contenti di immaginare un cambiamento in questo progetto che risponde ad un unico principio: quello dell’agroecologia».

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club