Le conseguenze della pandemia sull’economia e sul mercato del lavoro sono argomento di discussione da quasi un anno. Oltre i numeri sulla disoccupazione e sul calo del Pil ci sono le trasformazioni portate dalle nuove esigenze: la chiusura degli uffici, l’aumento dello smartworking, l’uso sempre più frequente di piattaforme di videoconferenza.
Per alcuni però questi cambiamenti hanno un peso ancora diverso. Ad esempio per chi fa un lavoro creativo, scrive il Financial Times. Un lungo articolo firmato da Emma Jacobs offre gli spunti di diverse persone intervistate, a completare un mosaico di sensazioni e di esperienze formate in questi mesi di lavoro a distanza.
L’articolo si apre con l’esempio di Color «un’agenzia creativa di 50 persone, con uffici – chiusi – a Seattle e Los Angeles». Tra gli intervistati c’è il direttore creativo dell’azienda, Elie Goral, che definisce l’idea creativa «quella scintilla che si verifica quando un gruppo di persone ragiona insieme, faccia a faccia, birra in mano, che cammina avanti e indietro su una lavagna disordinata».
L’idea è che in uno spazio condiviso con i colleghi è possibile trovare nelle conversazioni diversi spunti, un feedback incoraggiante, una parola chiave che apre tutto un mondo di scenari prima non considerati. «La preoccupazione di Goral – si legge nell’articolo – è sull’impatto del lavoro a distanza, quindi sul calo della creatività senza quei momenti di socialità piuttosto casuali che si creano normalmente negli uffici». Una preoccupazione che non sembra destinata ad andar via in questo 2021, considerando che ancora per un po’ gli uffici saranno frequentati solo occasionalmente e non come luogo di lavoro a tempo pieno.
È anche vero che spesso la creatività è difficile da misurare, da indicizzare. Nell’articolo del Financial Times c’è una dichiarazione preziosa della docente della Harvard Business School Teresa Amabile, esperta di creatività: «Spesso quando parliamo di creatività intendiamo la produzione di idee nuove, ma non solo, anche appropriate, quindi utili e corrette. In fisica un’idea non può essere considerata creativa se non funziona. Ma nell’arte dovremmo usare parametri completamente diversi».
Ad ogni modo, c’è un riscontro negativo anche da parte dei lavoratori: un recente sondaggio condotto da Leesman su 145mila lavoratori in tutto il mondo ha rilevato che il 28% delle persone costrette a lavorare da casa ha dichiarato di non essere in grado di svolgere il lavoro creativo in smartworking.
E in molti lavori la creatività diventa sempre più importante: non solo per i profitti di un’azienda ma anche per i lavoratori, perché man mano che le macchine si fanno carico dei compiti più ripetitivi, la creatività sta diventando sempre più una qualità fondamentale sul mercato.
La sensazione espressa dai lavoratori è stata generalizzata e spiegata da Andy Haldne, capo economista della Bank of England: «Uscendo di casa, l’esposizione a nuove e diverse esperienze, suoni, odori, ambienti, idee, persone, diventa una fonte di creatività. Questi stimoli esterni sono il carburante per la nostra immaginazione».
Di sicuro è diventato più difficile avere quello scambio, più o meno informale, di idee in una conversazione nel momento in cui questa passa da un dialogo attorno a un tavolo, o magari su comode poltrone, a una a distanza, filtrata dallo schermo del computer e viziata da un contesto casalingo.
Abigail Sellen, vicedirettore del laboratorio di Microsoft Research di Cambridge, parlando con il Financial Times spiega che spesso in una conversazione da remoto si perde di vista l’obiettivo, ci si concentra più sullo strumento che si sta utilizzando che sulle idee: «Non appena gli strumenti diventano il fulcro dell’interazione, l’energia può essere spesa per capire come esprimerci al meglio e assicurarci che gli altri possano vedere cosa stiamo facendo. Lo sforzo cognitivo viene quindi esercitato nel posto sbagliato e l’interazione diventa complicata e macchinosa».
Un altro spunto di riflessione è offerto da Oliver Desbiey, capo della divisione Forecast della compagnia di assicurazioni Axa: «Il passaggio ai seminari di brainstorming virtuale richiede una maggiore preparazione. Le persone tendono a parlare educatamente, una dopo l’altra, piuttosto che rimbalzare da un’idea a un’altra». In questo modo si perde l’impulso creativo: «In genere un seminario che normalmente avremmo pianificato per una durare mezza giornata si trasforma in una semplice sessione online di 90 minuti», aggiunge.
E ovviamente vanno inclusi nell’equazione anche nuovi fattori di distrazione, come i genitori che lavorano da casa mentre i figli sono poco distanti, impegnati nella didattica a distanza. Alf Rehn, professore di innovazione, design e management alla University of Southern Denmark, riassume il concetto in una locuzione inequivocabile: descrive i bambini come «terroristi della creatività».
Alla luce di tutte queste complicazioni sarebbe assurdo se l’aumento di lavoro a distanza, con tutte le sue implicazioni, non avesse prodotto anche alcuni risultati positivi. Perché la trasformazione degli ambienti in cui si svolge il proprio lavoro, a seconda dei casi, può nascondere dei vantaggi.
Un primo punto affrontato nell’articolo del Financial Times riguarda proprio la coesistenza, nello stesso luogo, del lavoro e dei figli: «Trovarsi di fronte a qualcosa che aiuti il distacco dal proprio lavoro di routine potrebbe ispirare nuove idee». Ma potrebbe valere lo stesso anche per chi vive il lavoro a distanza diversamente: chi è stato costretto a lavorare in solitudine potrebbe aver beneficiato di una concentrazione che prima non aveva.
È accaduto ad esempio ai dipendenti di Dropbox. L’anno l’azienda californiana ha tenuto per la prima volta la sua Hack Week globale online. Prima però era stato chiesto a tutti di stare una settimana lontani dall’ufficio e dal lavoro quotidiano per ideare nuovi progetti. Le sessioni virtuali della Hack Week hanno portato in dote una quantità di progetti, idee e collaborazioni che non avevano mai avuto prima: i dipendenti di Dropbox hanno creato il 29% in più di demo – brevi video che dimostrano la nuova idea o un prodotto – rispetto agli anni precedenti, inclusi alcuni che saranno implementati dall’azienda», scrive il Financial Times.
C’è poi qualcosa destinato a durare, anche quando il lavoro in presenza sarà di nuovo la normalità. Ne parla con il Financial Times un ricercatore di Microsoft, Sean Rintel: «La tecnologia lavora per adattarsi alle nuove necessità. I visori per la realtà aumentata o virtuale potrebbero essere uno strumento valido per colmare il divario fisico-digitale e migliorare sia le riunioni da remoto che le future riunioni ibride: potrebbero dare la possibilità di interagire gli uni con gli altri andando ben oltre ciò che è fisicamente possibile. Oppure si potrebbe includere nelle piattaforme di condivisione l’anonimizzazione dei contributi, in modo che le idee siano giudicate in base ai loro meriti piuttosto che alla persona che le presenta, il che potrebbe aiutare a ridurre i pregiudizi o i favori verso i dipendenti con posizioni migliori».
Creare le condizioni migliori per far sbocciare la creatività dei dipendenti è in realtà un problema su cui i manager e gli accademici dibattono da tempo. Il professor Rehn della University of Southern Denmark, ad esempio, spiega che spesso la creatività viene influenzata maggiormente da fattori diversi rispetto al semplice luogo di lavoro, che non va celebrato o demonizzato: «Nulla garantisce che chi non è creativo lavorando da casa lo sia se tornasse in ufficio dall’oggi al domani. Anche lo stress per la crisi economica, la possibile perdita del posto di lavoro, le restrizioni sociali di questa fase storica ostacolano naturalmente la creatività e non dipendono dal luogo». Poi però in chiusura offre una chiave di lettura più ottimista: «Nessuno dice che sia facile, ma l’uomo ha creato fantastiche opere d’arte e nuove aziende durante le guerre più atroci. La speranza è che dalla pandemia possiamo trarre un importante insegnamento: la consapevolezza che la creatività è un duro lavoro».