Il motore non si è spentoSegni impercettibili di ottimismo economico globale (politica permettendo)

Le prospettive per il 2021 non sono per forza cupe: il commercio internazionale si è adattato e l’avanzamento tecnologico è più veloce di prima. È quindi possibile una fiducia temperata. Poi, purtroppo, c’è l’Italia. Sul magazine de Linkiesta in collaborazione con Turning Points del New York Times

Cecilia Fabiano/ LaPresse

Il 2020 dovrebbe averci insegnato quanto precarie siano le previsioni economiche. Il 23 febbraio, due giorni dopo la comparsa del primo caso di Covid-19 in Lombardia, il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, profetizzava che «l’impatto del coronavirus sul Pil dell’Italia potrebbe essere di oltre lo 0,2 per cento». Durante le sue “Considerazioni finali”, a fine maggio, lo stesso governatore parlava invece di un arretramento del prodotto interno lordo del 13 per cento. Da quando la pandemia ci ha investito, le stime del suo impatto, per l’Italia, sono state costantemente riviste: al rialzo, per quanto riguarda la sua gravità.

Per il resto del mondo le cose sono un po’ diverse. Gli Stati Uniti hanno avuto dati sorprendentemente buoni nel terzo trimestre: se a metà anno era opinione diffusa che il prodotto sarebbe tornato al livello del 2019 per la fine del 2022, ora si pensa che ciò avverrà già nell’ultimo trimestre del 2021. Per alcuni è merito di uno “stimolo” economico senza precedenti, per altri del fatto che i mercati dei fattori produttivi negli Stati Uniti restano più flessibili che altrove e possono “spostare” persone e risorse più facilmente verso impieghi più promettenti.

Ora la World Trade Organization (Wto) stima per il 2020 un decremento del commercio mondiale del 9,2 per cento, un valore più basso dello scenario più ottimistico previsto ad aprile, che era una decrescita del 13 per cento. Lo scenario meno ottimistico segnalava che si sarebbe perso un terzo (il 32 per cento) degli scambi internazionali. In buona parte ciò è dovuto a come i Paesi asiatici hanno gestito l’epidemia: la Wto prevede che nella regione i commerci si ridurranno, sulla durata dell’anno, solo del 4,5 per cento. Proprio quei Paesi hanno sottoscritto, a novembre, una Regional Comprehensive Economic Partnership che dovrebbe assicurare un aumento degli scambi, andando a ridurre i dazi su un ampio numero di prodotti. Nei Paesi occidentali, l’accordo è stato letto come un altro passo nella direzione di un’egemonia cinese ma – sempre di stime si tratta – il Peterson Institute suggerisce che a guadagnarci di più saranno Giappone e Corea del Sud.

Le previsioni per il 2021 si muovono quindi in un contesto di profonda incertezza. Le grandi organizzazioni internazionali invitano alla cautela: la ripresa dipenderà dal ritrarsi della pandemia. I primi risultati nella corsa al vaccino sembrano suggerire che non sia lontano il tempo nel quale potremo finalmente dire di essercela lasciata alle spalle. Gli scettici replicano che un programma di vaccinazioni di massa dell’ampiezza necessaria è qualcosa di totalmente inedito, nella storia della medicina moderna. A differenza della ricerca sui vaccini, che è stata condotta in larga misura da aziende private alle quali lo Stato ha, in buona sostanza, assicurato un mercato per i loro prodotti, riducendo grandemente il rischio imprenditoriale, la distribuzione del vaccino sarà in capo alle autorità pubbliche. Produrne i quantitativi necessari è già una sfida, distribuirlo sarà una fatica di Sisifo.

È forse bene ricordare che due sono i motori della crescita economica: da una parte, gli scambi, il commercio internazionale, la maggiore specializzazione indotta da una divisione del lavoro più estesa, tutto ciò che possiamo ricondurre a una maggiore “socialità” e a una maggiore interconnessione fra persone e Paesi. Dall’altra, gli avanzamenti scientifici e tecnologici. Questi ultimi hanno bisogno di una società aperta, sia perché si fondano su reti che consentono di condividere ciò che si è appreso di nuovo, sia perché è abbastanza improbabile che una società sia chiusa al mondo e al diverso e nello stesso tempo sostenga entusiasticamente tutti gli esperimenti e le innovazioni attraverso le quali si crea nuova conoscenza. Ma questi due “motori” della crescita non necessariamente vanno sempre alla stessa velocità.

Per capire come sarà il 2021, e gli anni a venire, dovremmo probabilmente sapere che ne è stato dell’uno e dell’altro nel 2020. È chiaro che la nostra socialità è stata fortemente compressa dalle politiche di contrasto all’epidemia. Alcuni Stati, come l’Italia, hanno fatto fin dal principio la scelta di un lockdown molto stringente, provando a dare una “martellata” al contagio e forse immaginando di poter replicare il modello Wuhan, in condizioni diverse sia dal punto di vista del diritto (restiamo un Paese vagamente liberal-democratico) sia dal punto di vista della sanità pubblica (la circolazione del virus era meno “concentrata”). Altri hanno cercato soluzioni più rispettose dei diritti individuali (la Svezia) o dei vincoli costituzionali (gli Stati Uniti). In Occidente, però, tutti hanno finito per convergere su una situazione di fatto simile, nella quale la mobilità viene disincentivata e molte attività imprenditoriali non possono avere luogo.

Ciò al principio aveva fatto prevedere un collasso delle catene di fornitura internazionali. L’esperienza finora è stata però diversa. Con mille problemi, le imprese hanno dato prova di una straordinaria capacità di adattamento, i commerci si sono in buona parte “spostati” online, non abbiamo sperimentato situazioni di penuria di particolari beni, neanche nelle filiere agroalimentari che hanno dovuto ristrutturarsi profondamente: ciò che realizzavano per la ristorazione ha dovuto essere convertito in prodotti per il consumo domestico.

Questo motore della crescita, indubbiamente, va oggi a velocità ridotta rispetto a un anno fa, ma miracolosamente non si è spento. L’altro motore della crescita, quello basato sul progresso tecnologico, forse ha perfino accelerato: la rapidità dello sviluppo dei vaccini, in particolare di quelli basati sull’RNA messaggero, passerà alla storia come uno dei trionfi della scienza. Non è impossibile che qualcosa del genere stia avvenendo sia per le cure (anticorpi monoclonali) sia per tutta una serie di tecnologie di supporto ad altri settori economici (a cominciare dalla logistica) che sono state sollecitate da problemi nuovi.

È possibile essere ottimisti, allora? Forse sì, anche se purtroppo le nostre società non sono solo scienza e mercato. Il 2020 ci lascia con debiti pubblici straordinariamente accresciuti che inevitabilmente si tradurranno in minore ricchezza per le generazioni future. E il 2020 ci lascia anche con un discorso pubblico che non può farci dormire tranquilli: è dominato da allarmismi e isterie, privilegia la sicurezza su qualsiasi altro valore, ha visto la proliferazione di scienziati e pseudoscienziati le cui previsioni non sono risultate molto migliori di quelle degli economisti. Ciò suggerisce la possibilità di un forte ritorno di fiamma dei populismi.

Con che velocità rientreranno le maggiori spese pubbliche indotte dalla pandemia? Quanto tempo ci vorrà per rendere al mercato tutte quelle attività che nella pandemia sono state nazionalizzate? Sono domande a cui è difficile trovare risposte rassicuranti.
I due motori della crescita, commercio e tecnologia, non si sono rotti. Ma la politica può sempre provare a spegnerli.

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