Il Recovery Plan Italia 2.0 è battezzato, e da oggi ognuno si potrà finalmente fare la sua opinione. Qualcuno (anzi qualcuna, anzi molte) ne ha già una assai precisa: il vincolo europeo al Green e al Digitale privilegerà settori a occupazione quasi esclusivamente maschile, col rischio che la sotto-occupazione o disoccupazione femminile esca dalla crisi Covid senza alcun paracadute. Ovvio che per la Germania, la Francia o l’Olanda non sia un gran problema: lì la situazione è più equilibrata che da noi, il lavoro nero femminile è marginale, i meccanismi del collocamento sono più efficienti. Lì le donne lavorano in gran numero, con impieghi retribuiti, e il welfare le sottrae alla trappola di un destino da badanti a titolo gratuito, zie-tutor di matematica o inglese, madri eterne baby sitter prima dei figli e poi dei nipoti.
Da noi, il rischio di un ulteriore passo indietro post-Covid è oggettivamente maggiore. Così succede, fatto abbastanza senza precedenti, che l’arcipelago dell’associazionismo femminile accantoni differenze e antichi conflitti per produrre un documento comune che incalza il governo a ricordarsi che ci sono gli italiani ma anche le italiane, e che una massa così enorme di fondi non può essere usata solo a vantaggio dei primi.
Non solo: Donne per la Salvezza – Half of It (questo il nome della proposta e della rete che lo sostiene) chiede di essere convocata a Palazzo Chigi insieme alle parti sociali. Sollecita una governance paritetica di uomini e donne per la realizzazione del Recovery Plan. Insiste sulla valutazione ex-ante sui benefici degli investimenti: chi se ne avvantaggerà? In che misura? In quali aree territoriali? E chi darà conto degli obbiettivi raggiunti o non raggiunti?
Quest’ultimo adempimento, peraltro, è previsto dai “paletti” europei al Next Generation Eu, ma al momento l’Italia sembra essersene dimenticata: mentre i piani degli altri chiariscono nel dettaglio le categorie favorite dai singoli programmi, da noi la questione resta nebulosa. Il sostegno alla parità di genere, che il governo dice di aver interpretato trasversalmente a tutti i progetti del Recovery Plan, è un sudoku ancora da decifrare. Le cifre finora assegnate, ad esempio, alle infrastrutture sociali non sembrano volano sufficiente per nessun cambiamento vero.
L’elenco delle associazioni firmatarie è vastissimo e assai più largo delle tradizionali sigle dell’impegno femminile, dal fronte trasversale de Le Contemporanee a Se Non Ora Quando-Libere, da Soroptimist Italia alla Fondazione Bellisario, dalle donne della Cgil alla rete europea di Ewa, oltre che singole economiste, manager, professioniste e politiche di tutti gli schieramenti. Le proposte sono interessanti (una sintesi è sul sito Halfofit.it), ma è il sottotesto politico quello che più colpisce, e cioè la convinzione – inespressa ma evidente per chi ha seguito il dibattito – che solo un potente innesto di pragmatismo femminile possa salvare un Paese ormai travolto dal narcisismo maschile. “Ci siamo chiamate Donne per la Salvezza esattamente per questo – dice una delle animatrici della rete – e cioè perché siamo convinte che all’Italia serva un esercito della salvezza capace di guardare ai problemi con occhi nuovi e con uno spirito repubblicano oltre le parti”.
Il prossimo obbiettivo è sedersi al tavolo delle consultazioni di governo (qualunque sia il governo) per ottenere impegni precisi sulla parità, e potrebbe davvero essere un segnale di novità dopo il “tuttimaschi” visto finora, con rare eccezioni, in ogni incontro di vertice. Di sicuro sarà difficile per l’esecutivo (qualunque sia l’esecutivo) scansare questa mobilitazione, che tra l’altro coinvolge molte esponenti della maggioranza, come elemento irrilevante del dibattito, la solita lagna delle donne o giù di lì.