I risultati delle elezioni politiche dello scorso mese in Romania, segnate dal più basso livello di affluenza dall’indipendenza del paese (meno del 32%), non avrebbero potuto essere più graditi al premier ungherese Viktor Orbán.
Lo scenario politico emerso è estremamente favorevole alla sua ambizione: accrescere la propria influenza presso le minoranze ungheresi che vivono in Romania, specialmente in Transilvania, dove si trovarono relegate dalla fine di quella Prima guerra mondiale che segnò il tramonto del Regno d’Ungheria, la metà orientale dell’Impero austro-ungarico.
Sono due gli elementi che fanno il gioco dell’autocrate ungherese. Primo, l’Unione democratica magiara di Romania (Udmr) guidata da Hunor Kelemen è entrata nella coalizione di governo di centro-destra capeggiata dall’economista Florin Cîțu, esponente del Partito nazional-liberale (Pnl), insediatasi il 24 dicembre scorso. Negli ultimi anni il legame tra Fidesz, il partito di Orbán da dieci anni al potere in Ungheria, e l’Udmr si è rafforzato: il secondo può essere considerato l’emanazione romena del primo. La partecipazione all’esecutivo del fedele Udmr, che ha di poco superato la soglia di sbarramento (5%), aumenta l’influenza dell’Ungheria nella politica interna dello Stato vicino, dando a Orbán voce in capitolo sugli affari romeni.
Con la nomina a vice-premier di Kelemen e l’assegnazione di quattro dicasteri minori (Pubblica amministrazione, Sviluppo, Ambiente e Sport) alla formazione romeno-ungherese, Budapest potrà infatti condizionare direttamente le prossime scelte del governo Cîțu.
Le dichiarazioni rilasciate da Orbán dopo il varo di questo esecutivo trasmettono disponibilità a collaborare e ribadiscono il proprio sostegno ai connazionali. Il premier magiaro ha affermato di essere convinto che «la cooperazione tra Romania e Ungheria, basata sul rispetto reciproco, possa dare un contributo significativo allo sviluppo dei due paesi, alla crescita e al rafforzamento della cooperazione all’interno dell’Unione europea» e ha assicurato a Kelemen «il sostegno del governo ungherese nello sviluppo delle relazioni tra i due paesi, nella cooperazione internazionale e nel raggiungimento degli obiettivi comuni».
Tuttavia, stando ai precedenti, sembra probabile che, più che per attenuare le tensioni che contrappongono ungheresi e romeni nelle aree etnicamente miste, Budapest sfrutterà la propria quinta colonna in Romania (e le risorse governative cui potrà accedere) per accrescere l’animosità in queste regioni, riproponendosi come garante dei diritti dei connazionali all’estero.
Come raccontato da Deutsche Welle, fin dall’inizio dell’era Orbán (2010) Budapest dedica molta attenzione ai magiari oltre confine, che dal 2011 possono richiedere la cittadinanza ungherese, destinando loro parecchi fondi e avvolgendoli in “mondi etnici paralleli” tramite un abile utilizzo dei media, settore che in Ungheria è pressoché totalmente in mano al governo o a suoi sodali. A testimonianza di quanto Orbán si senta a casa a queste latitudini, il celebre discorso con cui nel 2014 sdoganava la «democrazia illiberale» fu pronunciato proprio in Transilvania, a Băile Tuşnad (Tusnádfürdő, in ungherese). Constatazione solo in apparenza paradossale, la tattica degli orbaniani sarà aiutata dagli ultra-nazionalisti romeni.
Il secondo elemento è infatti l’ingresso di una formazione di ultra-destra nel parlamento romeno: Aur (“Oro” in romeno), che ha ottenuto poco più del 9%. Non accadeva dal 2004, quando il partito Grande Romania di Corneliu Vadim Tudor strappò il 13% alle parlamentari.
Aur è un movimento fluido, poco strutturato e tenuto assieme da un numero limitato di istanze demagogiche. Promuove l’unificazione tra Romania e Moldova, è contrario alla concessione di diritti civili agli individui LGBT e contesta il diritto di esistenza dell’Udmr, sostenendo che non dovrebbero essere permessi partiti su base etnica, e propugna la “romenizzazione” della regioni dove vivono minoranze (o in alcuni distretti anche maggioranze) ungheresi. È, insomma, apertamente ungarofobo.
Fino a pochi mesi fa Aur vegetava ai margini dello spettro politico romeno, nel 2020 è riuscito a capitalizzare il malcontento suscitato dalle restrizioni imposte dal governo di Bucarest per contenere il coronavirus, ricorrendo alle ormai note versioni alternative diffuse dai circuiti complottisti. Nonostante molti osservatori abbiano commentato la sua ascesa come la disarmante comparsa di una formazione di estrema destra in Romania, uno dei pochi Stati dell’Europa centro-orientale rimasto finora sprovvisto di una simile opzione politica, questa interpretazione pare eccessivamente semplicistica.
Come nota Osservatorio Balcani e Caucaso, tutti i partiti dell’establishment romeno hanno alla bisogna flirtato con messaggi nazionalisti e populisti, inclusi i socialdemocratici (Psd) durante l’epoca del potente leader Liviu Dragnea. Con l’estromissione per mano giudiziaria di Dragnea nel 2019 e l’affermazione di un’ala più moderata, il partito si è alienato l’elettorato più sciovinista che, complice la pandemia e la sua gestione maldestra da parte del governo (Pnl), ha premiato la neonata formazione ultra-nazionalista.
La retorica ungarofoba di Aur si sposa alla perfezione con gli scopi di Orbán. Il leader ultra-conservatore potrà facilmente beneficiare dalla radicalizzazione della situazione in Transilvania e presentare all’opinione pubblica interna e comunitaria i propri connazionali come alla mercé degli oltranzisti romeni. Sfruttando proprio il fatto che, a più di un secolo dall’annessione delle terre ungheresi da parte della Romania, la questione magiara resta ancora un nodo irrisolto.
Più per calcolo che per negligenza: tenere alta la tensione è conveniente per entrambe le parti in causa, non solo per Budapest. Nell’ottica dei partiti romeni, attaccare la minoranza ungherese è sempre un modo economico per raggranellare consensi. Lo si era visto, nuovamente, lo scorso aprile, quando il presidente Klaus Iohannis (Pnl) aveva accusato l’opposizione socialdemocratica di tramare per dare «la Transilvania agli ungheresi», dopo che una bozza di legge contenente la proposta di concessioni di alcune autonomie ai romeno-ungheresi era stata approvata d’ufficio dalla Camera bassa, dove il Psd aveva la maggioranza.
Di norma, qualunque apertura verso la possibilità di una maggiore autonomia ai magiari di Romania viene bollata come “tradimento” da parte dei nazionalisti romeni. Con i parlamentari di Aur installati tra gli scranni dell’emiciclo, è verosimile che questa prassi diventi ancora più sistemica. E Orbán è pronto a incassare i dividendi dell’esasperazione dei toni. Come sa bene, uno scenario politico polarizzato è il contesto ideale per distogliere l’attenzione dai temi più concreti (economia, diritti sociali, gestione della cosa pubblica) e, giocandosi la carta identitaria, consolidare la propria base di consenso.
Funziona in Ungheria, perché non dovrebbe funzionare anche in Romania?