NewsletterVino sul Divano

Approda su Gastronomika la newsletter di Jacopo Cossater, un esperimento per provare a parlare di vino e enologia, in modo comodo e rilassato, ma non per questo meno serio, su un divano che ha una storia del tutto unica

Illustrazione di Louise Sheeran

Ciao, benvenuti, questa newsletter si chiama Vino sul Divano e io sono Jacopo Cossater.

Una breve introduzione per dare un po’ di contesto, per spiegare: il nome Vino sul Divano è quello di una serie di serate che si sono svolte fino a febbraio dello scorso anno, fino al Covid-19: più aperitivi didattici che degustazioni tecniche, momenti durante i quali assaggiare cose nuove e parlare di vino senza prendersi troppo sul serio, con un po’ di leggerezza. L’idea è che sia possibile affrontare temi serissimi in contesti un po’ diversi da quelli considerati come tradizionali del vino e che al tempo stesso lo si possa fare più bevendo che degustando, chiacchierando più che spiegando.

Il nome non è casuale: la maggior parte di questi appuntamenti si sono svolti intorno a un divano specifico e un po’ particolare, quello che usava Paola Maugeri nel suo Brand:New, programma andato in onda su MTV fino al 2010. E che divano! Quello che tutti gli ospiti della trasmissione autografavano prima di lasciare lo studio di registrazione. Divano che qualche anno fa è finito a un’asta di beneficenza e che ho ritrovato in un locale vicino casa.

Da quelle serate è nato prima un podcast, registrazioni che volevano mantenerne lo spirito insieme a persone particolarmente rilevanti del panorama informativo e produttivo italiano, e poi questa newsletter. Un appuntamento che per tutto il 2020 è stato quindicinale e che voleva provare a raccogliere in un unico luogo quel flusso informativo legato al vino che inevitabilmente si tende un po’ a perdere, specie se non si ha voglia di seguire le tante decine di testate che ogni giorno lo alimentano, in tutto il mondo. Questo è un aspetto centrale: in Italia, come Paese produttore, abbiamo una visione del mondo del vino che tende un po’ a ruotarci intorno (ok, anche intorno alla Francia). Una cosa molto bella, il vino in Italia è dappertutto e possiamo vantare tanto una conoscenza diffusa quanto un consumo consapevole. Al tempo stesso il racconto del vino di tutti i giorni rischia di perdere qualche pezzo importante proprio relativamente a quello che succede fuori dai nostri confini, dove la grande maggioranza del vino viene consumato. Da qui l’idea di raccogliere alcune delle cose più interessanti e significative che sono state pubblicate online nel vino in un unico luogo, in un’unica newsletter.

Se oggi ricevi Vino sul Divano è perché Anna Prandoni, la persona che dirige Gastronomika, mi ha proposto di trasferirla qui almeno per tutto il 2021, ogni terzo giovedì del mese (grazie, che bello).

Andiamo quindi.

Corrado Dottori, riferimento non solo per il mondo dei vini naturali e non solo per il tessuto produttivo del Verdicchio, ha scritto un post sulla moda degli orange wine. Anche lui, come avevo sostenuto anche io proprio su Gastronomika un paio di mesi fa, è un po’ preoccupato della deriva che hanno preso questi vini così affascinanti, che però sempre più spesso puntano “sullo stile produttivo e sull’immaginario più che sul territorio”.

E ormai passato un po’ di tempo dall’uscita di Porthos 37, l’ultimo numero di una rivista che ha segnato più di ogni altra il racconto del mondo del vino (naturale) italiano. Nelle settimane che sono seguite tanti i contributi che sono stati pubblicati a proposito del suo “dietro le quinte”, una genesi durata ben 8 anni (il numero 36 era uscito nel 2012). Tra i molti da non mancare queste 2 videointerviste di Mauro Fermariello rispettivamente a Sandro Sangiorgi e a Matteo Gallello, suo principale collaboratore.

Ancora Porthos, e un pezzo di Sandro su una parte della scena contemporanea del vino naturale:

“Diversi dei produttori più bravi hanno portato i prezzi delle loro bottiglie a cifre impraticabili per coloro che fanno Porthos e per una fetta consistente della comunità che ci frequenta (…) La mia riflessione, però, non è diretta alla politica dei prezzi alti, che merita un confronto articolato e approfondito che di certo faremo, consideratela una promessa. Io voglio proprio invitare le persone come me a pensare: e ora cosa compriamo? Molte delle aziende naturali sorte in questo arco di tempo hanno un’onestà e un’energia invidiabili, le proprietà si danno da fare per recuperare ciò che non hanno potuto imparare e conoscere prima di scoprire l’amore per l’agricoltura e la produzione del vino. Ciononostante, la sensazione è che molte di queste si affidino a luoghi dalla vocazione incerta se non mediocre, questo ci dicono le degustazioni che stiamo conducendo. Impeccabili premesse aziendali e familiari, tanto lavoro, vini generosi, schietti, di rado interessanti.”

Questa è un po’ tecnica e lunghissima ma altrettanto significativa: Alex Russan, produttore californiano, si interroga su una cosa che per anni è stata una vera e propria certezza enologica (oggi molto meno). Le basse rese in vigna come sinonimo di qualità. È interessante in particolare il paragrafo in cui racconta di come si è arrivati a questa convinzione, e di come sia sempre stata una questione più che altro legata alla quantità degli zuccheri presenti nell’uva e quindi nel mosto.

L’uso dell’anidride solforosa come conservante nella vinificazione è un argomento particolarmente controverso, uno di quelli che suscita discussioni sempre accese. Su Decanter Rupert Joy prova ad affrontare il tema senza partigianerie (spoiler: ci riesce).

Ma davvero ci interessa sapere come evolve una bottiglia di vino nello spazio?

Parentesi birraria: quello di Davide Salsi è probabilmente nome che dirà poco agli appassionati di birra artigianale, è però lui l’autore che per anni si è nascosto dietro l’acronimo UBAG, Una Birra Al Giorno, uno dei più longevi e ricchi di informazioni blog di settore ci siano mai stati in Italia. Dopo 11 anni ha pubblicato un lungo post in cui racconta di come è cambiato lui (e come è cambiata la birra) e in cui annuncia la sospensione degli aggiornamenti, con sommo dispiacere da parte di chi quasi sempre nel cercare questa o quella etichetta sapeva di poter contare sulla sua testata, sempre tra i primi risultati di Google. In bocca al lupo, mancherai.

Io su Intravino: nelle Marche il nome Bordò (locale vitigno appartenente alla famiglia della grenache) è diventato un tema, e adesso non si può più usare.

Bella questa: quanto incide nello stile dei vini l’altezza dei vigneti. Per dire: a Bordeaux le colline più alte della regione si trovano a circa 40 metri sul livello del mare, e può capitare vengano pubblicizzate come rilievi particolarmente significativi.

Una gran carrellata di foto bellissime dalla Borgogna, regione in cui Jon Wyand è rimasto per circa un anno alla ricerca della sua essenza. Su Club Oenologique.

È piuttosto raro che un italiano, almeno nel vino, venga celebrato in Francia, dai francesi. È appena successo ad Alessandro Masnaghetti, uno dei più importanti critici italiani. La rivista La Revue du Vin de France gli ha assegnato il Gran Prix per la sua divulgazione culturale nel disegnare le mappe di alcune (ormai molte) delle zone produttive più importanti d’Italia e del mondo.

È morto Luigi Gregoletto, vignaiolo di grande valore e storico produttore di Prosecco.

Anche Olivio Cavallotto, tra i pionieri del Barolo.

Pare che Brexit sia un bel pasticcio per chi si occupa di importare vini dall’Unione Europea (il Regno Unito è il primo Paese importatore del continente, parliamo di numeri grossi). Maggiori procedimenti burocratici e quindi maggiori costi. Qui un report della regina, Jancis Robinson, qui invece un lungo thread su Twitter scritto da Daniel Lambert, importatore inglese.

Stati Uniti. Un paio di settimane fa il gruppo vitivinicolo E & J Gallo (5 miliardi di dollari di fatturato nel 2019) ha acquisito da un altro colosso, Constellation Brands, ben 30 marchi di vino a basso costo per circa 830 milioni di dollari. Esther Mobley del San Francisco Chronicle si chiede che effetto avrà questa operazione per i consumatori della GDO, fascia di mercato che vede Gallo sempre più protagonista. Non è chiaro, anche alla luce del fatto che quella dei vini a basso costo sembra essere sempre più un segmento con marginalità bassissime e che sempre più consumatori negli ultimi anni si sono spostati verso vini considerati come “premium”, il cui costo a scaffale è quindi superiore a 10 dollari a bottiglia.

Anche questo è Covid-19: Wine.com è il più grande e-commerce di vino del mondo e nel 2020 ha superato i 300 milioni di dollari di fatturato, +119% rispetto al 2019.

Avete mai pensato al peso di una bottiglia di vetro da vino, vuota? Ci possono essere differenze enormi, anche di mezzo chilo e più. Fabio Giavedoni di Slow Wine propone una cosa più che condivisibile: «non sarebbe male se si ponesse un preciso limite di legge al peso delle bottiglie di vetro per ottenere la certificazione biologica per il proprio vino». Il motivo è presto detto: su un pallet ci stanno 720 bottiglie di vino. In un camion di medie dimensioni ci stanno 8 pallet. Anche solo usare un vetro che pesa 3 etti più rispetto a una normale bottiglia bordolese da mezzo chilo comporta, su quel camion, un maggiore peso di quasi 2 tonnellate. Di. Solo. Vetro. Superfluo.

Che poi riciclare il vetro delle bottiglie di vino è molto più complicato di quello che si pensa proprio a causa delle tante differenze che le contraddistinguono. Jancis Robinson.

Non c’è bottiglia senza la sua veste. Su Eater un bel pezzo che attraverso 3 interviste racconta il processo creativo che si nasconde dietro la realizzazione di un’etichetta, disegnata o illustrata. A margine: poi ci sarà da parlare di quanto la narrazione del vino naturale passi attraverso le sue etichette. If your natural wine doesn’t have a children’s drawing on it, is it even a natural wine?

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