Vaccinare mezza Italia per l’estate, aprire una strada la più larga possibile per far respirare il Paese. In una fase delicatissima della guerra al Covid dove si arretra e si avanza in un’alternanza che prostra i cittadini anche psicologicamente, Mario Draghi mette in campo tutto quello che ha a disposizione, giocando anche sull’effetto psicologico della sua leadership che, nel caso specifico, sembra sortire l’effetto di una nuova sintonia con le Regioni sin qui tutt’altro che addomesticate dal duo Conte-Boccia.
Draghi sa benissimo che a lui tocca indossare i panni del commander-in-chief, lo si era capito fin dal discorso della fiducia. E allora: oggi il Consiglio dei ministri prorogherà il divieto di spostamento tra le regioni per un altro mese, cioè fino al 27 marzo. La decisione è stata assunta ieri sera d’intesa con le Regioni.
Il piano di battaglia del commander Draghi va ben oltre: vaccinazioni ovunque – altro che primule – negli aeroporti, negli stadi, nei parcheggi dei centri commerciali, anche nelle fabbriche, come ha suggerito giustamente il presidente di Confindustria Carlo Bonomi; vaccinazione anche da parte dei medici di base, l’accordo ora c’è (potenzialmente si tratta di 35mila medici da inviare “al fronte”); intervento dei volontari (qui si parla di 300mila persone pronte a fare tutto ciò che serve) ma anche delle Forze armate e ruolo centrale di una Protezione civile lasciata inspiegabilmente da Conte ai margini di questa calamità spaventosa; e nuovo rapporto – lo si è già accennato – con le Regioni, con un sottinteso invito a remare nella stessa direzione evitando protagonismi messi in campo magari per coprire ritardi e magagne. Solo così si potrà accelerare la vaccinazione di massa, con l’obiettivo annunciato ieri da Franco Locatelli: per fine marzo l’Italia dovrebbe ricevere, da inizio campagna vaccinale, 13 milioni di dosi.
C’è chi sostiene che il presidente del Consiglio si starebbe ispirando al cosiddetto “modello inglese” (ne avrebbe accennato direttamente a Boris Johnson) che prevede una vaccinazione la più larga possibile con tutte le dosi a disposizione, senza pensare a quelle da accantonare per il richiamo. Si vedrà se il Cts avallerà una scelta di questo tipo che secondo alcuni scienziati come Massimo Galli potrebbe causare la diffusione delle famose varianti che stanno mettendo a dura prova la guerra mondiale, e italiana, contro il Covid.
In ogni caso, la sensazione è quella di un’accelerazione dei piani di vaccinazione con purtroppo l’evidente enorme problema della mancata distribuzione dei vaccini, da ultimo la “sforbiciata” di AstraZeneca. Ma è un motivo in più per dare una scossa ai piani del governo. Sulla cui strada da ieri si staglia il problema del commissario Domenico Arcuri, molto protagonista nell’era Conte e improvvisamente acquattato da quando il premier è Mario Draghi. La sua testa ora è chiesta esplicitamente da Matteo Salvini, ma è ben noto che forti dubbi sull’efficacia del suo operato vennero già avanzati da Italia viva e, più riservatamente, da altri esponenti dell’ex maggioranza giallorossa.
In pratica, l’accusa è che Arcuri abbia agito sostanzialmente da solo, con la copertura dell’avvocato del popolo, e sovente senza grandi risultati incappando anzi in veri e propri infortuni, dalle mascherine ai banchi a rotelle. È esattamente questa gestione solipsistica, tinta di arroganza nella comunicazione esterna, che è messa oggi sotto accusa.
Il ruolo di Arcuri vacilla. Come minimo, il supercommissario verrà non diciamo commissariato ma quanto meno inserito in una catena di comando più complessa, che vedrà per esempio la Protezione civile in posizione più centrale. E, a proposito di comunicazione, Draghi vorrebbe porre fine al festival degli epidemiologi con decine di dichiarazioni da parte di un sacco di gente, preferendo di gran lunga una comunicazione centralizzata, più responsabile e più affidabile. È una nuova fase della guerra: e stavolta c’è un comandante in capo che decide.