La seconda ondata della pandemia ha travolto buona parte dell’Europa costringendo molte nazioni a ricorrere a severe misure restrittive, ormai in vigore da mesi. Ci sono, però, alcune fortunate eccezioni a questa condizione e tra queste spicca l’Islanda. Reykjavik è riuscita ad appiattire la curva dei contagi già nel mese di gennaio, uno dei peggiori dal punto di vista climatico per la diffusione del Covid-19 e senza ricorrere a provvedimenti draconiani. Il governo dell’isola, formato da una grande coalizione a cui prendono parte i conservatori del Partito dell’Indipendenza, i liberali del Partito Progressista e i socialdemocratici della Sinistra-Movimento Verde, ha delegato buona parte della gestione della pandemia agli organismi tecnici, che si sono mossi con oculatezza.
Il capo epidemiologo Þórólfur Guðnason si è occupato di informare, gli islandesi sullo stato della pandemia. Le conferenze stampa a cui prende parte sono caratterizzate da toni pacati e mai allarmistici e lo stesso capo epidemiologo si occupa di inviare, periodicamente, i propri suggerimenti al governo in merito alle misure restrittive da adottare e da rimuovere. In Islanda le restrizioni attualmente in vigore sono decisamente poche, in particolare modo se paragonate al resto d’Europa.
I ristoranti sono aperti sino alle 22 e possono ospitare al massimo venti clienti, le palestre e le piscine sono operative seppur con restrizioni sugli ingressi, i cinema e i teatri possono avere fino a 100 spettatori, con mascherina e fino a 50 attori e comparse sul palco. I negozi non essenziali sono aperti e devono assicurarsi che non ci sia sovraffollamento mentre le mascherine devono essere indossate in alcuni luoghi chiusi, come i mezzi pubblici e in altri dove non è possibile rispettare la distanza interpersonale di due metri.
Sono rimasti chiusi i pub, i bar, le discoteche e le sale scommesse. Ma non sono vietati i viaggi all’interno del Paese, non è in vigore alcun coprifuoco, non sono mai stati adottati lockdown e le frontiere sono aperte per i viaggiatori provenienti dall’Unione Europea e dallo Spazio Schengen. Tutti i viaggiatori devono sottoporsi a un test per il Covid-19 all’arrivo, mettersi in quarantena per 5-6 giorni e sottoporsi a un secondo test diagnostico. Se negativo sono libero di muoversi come preferiscono. La norma si applica anche ai bambini nati dopo il 2005 ed ha lo scopo di evitare l’ingresso di nuove varianti del virus e più in generale di diffondere il Covid-19 sul territorio nazionale. Questa norma non si applica a chi può dimostrare di essere già guarito dalla malattia mediante certificato medico e a chi è stato vaccinato contro il morbo.
Al momento il numero totale di casi Covid-19 registrati in Islanda dall’inizio della pandemia è di 6,016 mentre 29 persone hanno perso la vita a causa del morbo. La media di nuovi casi giornalieri è invece ferma a quota 2 e il tasso di incidenza nell’arco di quattordici giorni su 100mila abitanti non supera quota 10. Il Paese ha tutte le carte in regola per trasformarsi in una sorta di Nuova Zelanda europea e per tornare molto presto alla normalità. L’Islanda è una nazione insulare, isolata e poco popolata e queste caratteristiche la hanno aiutata nel fronteggiare al meglio la diffusione del virus.
Gli abitanti del Paese sono poco più di 330mila mentre la superficie territoriale è di 103 mila chilometri quadrati, circa un terzo di quella italiana. Il distanziamento sociale è connesso allo stile di vita islandese e al di fuori della capitale Reykjavik, che ha 122mila abitanti, non ci sono insediamenti urbani degni di nota. Non è stato, dunque, particolarmente difficile contenere il virus e le poche minacce sono venute dall’esterno.
L’Islanda è una nazione a forte vocazione turistica e un certo numero di persone, seppur in netto calo rispetto agli anni precedenti, vi si è recata anche nel corso dell’estate del 2020. Le autorità hanno riaperto i confini a partire dal 15 giugno del 2020 e sino al 19 agosto non sono stati implementati requisiti particolarmente severi per entrare nel Paese. Il risultato è stato quello di dare un po di rifiato all’economia nazionale ma anche di gettare le basi per un’ondata di contagi che si è poi manifestata a partire dalla seconda metà di settembre.
Il picco dei casi è stato poi superato a partire da novembre e la conclusione della stagione turistica, che ovviamente coincide con l’estate, ha aiutato a riportare la situazione sotto controllo. Le aspettative, ora, sono tutte puntate sul trimestre giugno-agosto 2021, un periodo cruciale per far ripartire definitivamente l’economia e lasciarsi alle spalle un’annata problematica.
La Banca Centrale islandese ha stimato che il prodotto interno lordo si sia contratto del 7.7 per cento nel 2020 a causa del crollo del turismo, che nel 2017 contribuiva alla formazione di oltre l’8 per cento del prodotto interno lordo e dava occupazione al 15.7 per cento della forza lavoro del Paese. La disoccupazione, invece, ha toccato quota 11 per cento. Le stime per il 2021 prevedono un ritorno a una crescita moderata, che non dovrebbe superare il 2.5 per cento. Molto, ovviamente, dipenderà dalla congiuntura internazionale e dal successo della campagna vaccinale contro il Covid-19, che almeno nell’Atlantico settentrionale sta procedendo in maniera spedita.
L’ottima organizzazione dei servizi sanitari a livello territoriale ha consentito a circa il 5 per cento della popolazione, come testimoniato da OurWorldinData, di ricevere almeno la prima dose del vaccino. L’obiettivo, qui come altrove, è il raggiungimento dell’immunità di gregge e la creazione di un vero e proprio fortino anti-Covid in grado di accogliere i turisti di tutto il mondo nella più totale sicurezza. Il piccolo e tenace popolo islandese, che non a caso discende direttamente dai vichinghi, è già al lavoro per riuscire in un’impresa che, solamente alcuni mesi fa, sembrava quasi impossibile mentre ora è a portata di mano.