L’Italia inizia la guarigioneDraghi indica la nuova direzione, lo stolto guarda la riconferma dei ministri politici

Il presidente del Consiglio dà una svolta pro crescita al governo, con uomini e donne nuovi nei ministeri chiave di Economia, Sviluppo, transizione digitale ed ecologica, Infrastrutture, Istruzione, Giustizia, Sud e Rapporti con le Regioni. E sebbene alla Sanità sia rimasto Speranza, occhio a chi prenderà il posto di Arcuri

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La priorità dell’Italia, come abbiamo scritto prima ancora che cominciasse la crisi favolosa che ci ha finalmente liberato di Giuseppe Conte e di Rocco Casalino, era appunto quella di rimuovere Giuseppe Conte e Rocco Casalino da Palazzo Chigi, scrivere un Recovery plan serio e accettabile, organizzare una campagna nazionale di vaccinazione, far tornare i ragazzi a scuola e risolvere le liti tra comari con le Regioni.

Con grande sapienza politica, Mario Draghi ha formato un governo che raggiunge tutti o quasi questi obiettivi: Conte non c’è più se non nel cuore di Travaglio e, ahimè, di Giuliano Ferrara, Casalino presenta le sue memorie di successo, il team recovery è stato sostituito in toto, Lucia Azzolina e Francesco Boccia sono stati giubilati.

È rimasto in pista solo l’altro saggista del team precedente, Roberto Speranza alla Sanità, ma si confida ancora nella sostituzione di Domenico Arcuri, il super commissario nominato da Palazzo Chigi e non dal ministero. In sostanza, Draghi controlla l’economia, con Daniele Franco, lo sviluppo, la transizione digitale, la transizione ecologica, cioè i 209 miliardi del Recovery plan, ma anche le infrastrutture, l’istruzione, la giustizia e, quando sostituirà Arcuri, anche la salute pubblica. Ai politici ha lasciato le briciole, fingendo di accontentarli. Chapeau.

Roberto Speranza è il leader di LeU, così come Luigi Di Maio, confermato agli Esteri, è il leader dei Cinquestelle. Difficile estrometterli dal nuovo esecutivo che hanno contribuito a formare. Allo stesso modo sono rimasti in Consiglio dei ministri Lorenzo Guerini, garante dell’atlantismo italiano, e Dario Franceschini, viceré della Cultura sebbene mutilata delle competenze sul Turismo, accorpate in un nuovo ministero affidato al leghista Massimo Garavaglia.

C’è l’ingresso al governo del vicesegretario Andrea Orlando al Lavoro, non esattamente un esperto della materia, come non lo era Di Maio nel Conte uno, mentre il sandersiano Peppe Provenzano lascia il ministero per il Sud, affidato a Mara Carfagna.

Draghi non solo tiene per sé e per i suoi tutto ciò che serve, ma abbandona anche la visione pseudo declinista dell’alleanza Conte-Pd e prende una direzione sicura a favore della crescita, con il leghista presentabile Giancarlo Giorgetti allo Sviluppo economico, al posto del grillino Stefano Patuanelli, spostato all’Agricoltura, con la liberale Mara Carfagna al Sud, più un interessante ministero turistico con capacità di spesa. E lo fa, soprattutto, con sei tecnici di grande valore, capacità e visione come Vittorio Colao alla transizione tecnologica, il quale si riscatta dopo l’umiliazione subìta da Conte agli Stati generali, come Enrico Giovannini alle Infrastrutture, come l’uomo di Leonardo/Finmeccanica Roberto Cingolani alla transizione ecologica (mica un grillozzo come avevano previsto i retroscenisti), come l’accademico Patrizio Bianchi all’Istruzione, uno che vuole una scuola orientata al lavoro, come il rettore Cristina Messa all’Università, fino a Marta Cartabia che è pronta ad azzerare gli anni bui di Alfonso Bonafede alla Giustizia.

Una squadra nuova, ma con i capi corrente della precedente coalizione e con le conferme di quelli bravi, tra cui la renziana Elena Bonetti alla Famiglia, con Maria Stella Gelmini che difficilmente farà litigare il governo con le regioni guidate del centrodestra, più gli esperti che vengono dal privato in aggiunta alla riconfermata Luciana Lamorgese all’Interno.

Menzione d’onore per il nuovo sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli, prossimo uomo chiave del governo. Garofoli era il capo di gabinetto del Ministero dell’Economia del Conte uno, un funzionario costretto a dimettersi in seguito a una campagna populista che lo accusava di essere la «manina» manipolatrice della legge di bilancio. Quella campagna sulla «manina» era stata orchestrata da un certo Luigi Di Maio, forse un omonimo del Ministro degli Esteri che da domani risponderà alle convocazioni di Garofoli. La guarigione italiana può iniziare.