La brutta figura del Partito democratico che ha mandato zero donne al governo ha suscitato una dura reazione delle donne dem che è andata intersecandosi con una larvata critica alla vita reale del partito, della materiale e quotidiana pratica organizzativa e politica.
Mentre le donne alzano il livello della polemica, gli uomini litigano sulla conduzione della crisi, con esponenti di rilievo che imputano al tandem Zingaretti-Bettini l’errore di aver creduto nelle elezioni, ipotesi rivelatasi poi fallace, che ha arrecato al Pd un certo danno nella fase decisiva della crisi.
Si è detto che al governo sono andati i tre capi corrente: Dario Franceschini (AreaDem) e Lorenzo Guerini (Base riformista), molto apprezzati dai rispettivi mondi di riferimento e dal Quirinale; e Andrea Orlando, vicesegretario e uomo forte della sinistra che guida il partito. Sono le tre componenti della maggioranza, e anche il fatto che non esista una minoranza (se non forse il piccolo gruppo di Orfini) la dice lunga. Non ci sarebbe stata dunque generosità da parte dei maschietti a indicare esponenti donne: ma in realtà dietro le quinte i ministri sono imbufaliti con Nicola Zingaretti che li ha fatti apparire come antifemministi, mentre le scelte sarebbero state compiute proprio dal segretario. E intanto il neo ministro Orlando non vuole dimettersi da vicesegretario, una carica a questo punto contesa dalle democratiche.
Ma la questione che è emersa è anche un’altra, e più generale. La nomina dei tre capi corrente illumina potentemente la scena di un partito che ormai è una federazione di correnti, ciascuna con il suo capo, i suoi capetti, le sue logiche, correnti che s’incontrano nella camera di compensazione chiamata Direzione dove alla fine si vota all’unanimità la relazione del segretario o un dispositivo concordato fra le componenti. E così vale per la composizione dei gruppi dirigenti, per i vari uffici di lavoro, persino per la divisione delle card sui social e le ospitate televisive: il tutto grazie a una inflessibile centralizzazione della comunicazione e della propaganda. Solo i gruppi parlamentari, decisi in epoca ancora renziana, sfuggono a queste rigide classificazioni.
Nessuno scandalo. Le correnti sono sempre esistite, nel Pd e nei partiti di provenienza. Quello che però oggi colpisce è l’impossibilità di sfuggire a un arruolamento in questa o quella corrente, l’opportunità di parlare a titolo personale senza incorrere in qualche sguardo torvo – «ma questo con chi sta?» – e soprattutto il divieto, ovviamente non scritto, di organizzare una posizione che non sia quella ufficiale delle tre correnti menzionate.
Eppure era solo un anno fa. Non se la ricorda più nessuno, ma il 20 gennaio 2020 Nicola Zingaretti in un colloquio con Massimo Giannini che era ancora a Repubblica apriva il cuore alla speranza di un change che non arriverà mai: «Vinciamo in Emilia e poi cambio tutto: convoco il congresso, con una proposta politica e organizzativa di radicale innovazione e apertura. Non penso a un nuovo partito ma a un partito nuovo». Parole dietro le quali l’intervistatore intravedeva addirittura la nascita di un nuovo soggetto politico aperto alla società (era il momento delle Sardine), persino una ennesima svolta della storia della Sinistra.
In effetti in Emilia Zingaretti vinse, ma soprattutto vinse Stefano Bonaccini. Dopo però non accadde nulla di quello che aveva in animo. Nulla. Zero. Un paio di mesi dopo, l’Italia entrò nella guerra contro il coronavirus, una guerra di cui sfortunatamente lo stesso segretario del Pd rimase segnato, e l’agenda del Paese cambiò per tutti, e non ne siamo ancora usciti.
Nessun dubbio che l’emergenza abbia cambiato i piani di tutti i partiti. E però la situazione è addirittura peggiorata nel Pd. Proprio in questo anno di guerra si sarebbe potuto aprire qualche porta e qualche finestra a esperienze esterne, ma sul serio, non per il solito convegnino e poi chi si è visto si è visto.
Si potevano chiamare al confronto e al coinvolgimento le forze migliori del Paese, nel momento in cui si governava (e si continua a governare). Si poteva instaurare un clima meno pesante. E invece ci si è chiusi ancora più di prima nel bunker del Nazareno, pochi streaming e molti silenzi. Che dice il Pd? Che propone? Boh.
Le donne dem sono rimaste stritolate in questo clima un po’ plumbeo da démoni braccati dalla Politica e impauriti dal Potere e dalla paura di perderlo. Molti hanno scaricato le loro responsabilità sui capi, con l’unico assillo della rielezione. E chissà se saranno le donne ad aprire una breccia nel muro di questo triste tran tran: c’è ancora tempo.