Bene il governo Draghi, ma ora bisogna «lavorare senza sosta» al Recovery Plan italiano, perché ci sono ancora molti dettagli da definire, obiettivi da fissare e riforme da concordare. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen – in un’intervista con La Stampa e altri giornali europei – non entra nel merito della crisi italiana, ma precisa: «Posso solo dire che Draghi alla Bce ha svolto un ruolo straordinario e di questo ne sono tutti consapevoli. Non solo in Italia».
Ora però bisogna accelerare sul piano di rilancio, perché i soldi messi a disposizione da Bruxelles sono tanti e il tempo a disposizione poco. «Da settimane, per non dire mesi, lavoriamo con le autorità italiane e con le parti interessate per sviluppare i dettagli della bozza», spiega von der Leyen. «E il lavoro è ancora in corso. Lo dico per sottolineare quanto dettagliato sia questo lavoro, visto che si tratta di un ammontare enorme di fondi da spendere in un periodo di tempo relativamente limitato, in pochi anni. Dobbiamo andare in profondità nei dettagli, definendo obiettivi e tabella di marcia. Per questo siamo pronti e impegnati con l’amministrazione italiana per lavorare senza sosta e andare avanti perché il tempo è prezioso e non vediamo l’ora di vedere come sarà formato il nuovo governo».
I criteri da seguire, per l’Italia come per gli altri Paesi, sono quelli che già si conoscono: «Serve un mix di riforme e investimenti legati al Semestre europeo che rispetti il Green Deal, al quale va destinato il 37% delle risorse. Il 20% deve andare alla digitalizzazione e poi c’è la parte relativa alla resilienza che rappresenta un pilastro importante. Si tratta di obiettivi comuni, condivisi da tutti gli Stati con il Parlamento: contiamo che ci sia continuità nell’attenersi a questi princìpi».
Sul Recovery bisogna correre, mentre sui vaccini si procede a rilento. Qualcosa non sta funzionando nel piano Ue. «Un singolo Paese può muoversi come un motoscafo, mentre l’Ue è più una petroliera. Ma questa è la nostra forza. Sono profondamente convinta che l’approccio europeo sia quello giusto e comunque abbiamo lavorato molto più rapidamente del solito», dice.
Il Regno Unito, però, sta procedendo più velocemente. «Perché hanno anche deciso di allungare i tempi tra il primo e il secondo richiamo (del vaccino Pfizer, ndr)», spiega. «Noi non lo abbiamo fatto perché ci siamo attenuti alle raccomandazioni dell’Ema: i dati sulla sicurezza e sull’efficacia sono affidabili solo per l’intervallo di circa quattro settimane tra un’iniezione e l’altra. Ovviamente, così facendo, la quantità di gente che ottiene il primo vaccino è inferiore».
Ma la presidente fa comunque un’autocritica: «L’anno scorso ci siamo focalizzati sulla necessità di sviluppare al più presto i vaccini, un processo che di solito dura 5-10 anni. Forse – in parallelo – avremmo dovuto concentraci di più sui problemi legati alla loro produzione di massa. Li abbiamo sottovalutati. Anche le industrie hanno visto arrivare i vaccini prima del previsto, il che è certamente positivo, ma poi bisogna aumentare la produzione e avviare per tempo le catene di approvvigionamento. Basti pensare che alcuni vaccini richiedono 400 componenti. Forse ci si poteva muovere prima. Per questo ora stiamo lavorando con le industrie per fronteggiare le possibili questioni legate alle varianti del virus. Dobbiamo guardare ad altri siti e investire insieme in nuove capacità produttive».
E aggiunge: «Col senno di poi avremmo anche dovuto spiegare meglio ai cittadini che il processo di distribuzione sarebbe stato lento perché si trattava di una procedura completamente nuova».