Ancora, però, c’è molto da fare: secondo uno studio di Adiconsum, Aduc, Federconsumatori e Comitas, partner di Consumerlab, 8 imprese su 10 ancora non scrivono il bilancio di sostenibilità. Seppur sia un obbligo formale per le aziende di grandi dimensioni ormai dal 2017, anche i più piccoli, che fanno un lavoro artigianale, si stanno spingendo in questa direzione. Ma qual è il senso per un piccolo imprenditore della ristorazione di realizzare un percorso simile?
«La sostenibilità», spiega Guido Gobino, artigiano cioccolatiero a Torino, «è uno dei parametri fondamentali che concorrono a costruire la qualità dei nostri prodotti. La sostenibilità è l’unica strada percorribile per concepire lo sviluppo futuro – aggiunge – Noi, già da tempo, ci impegniamo per garantire un’attenta e corretta gestione ambientale, sociale ed economica nell’intera filiera di produzione del nostro cioccolato».
Come si controlla la sostenibilità? Tutto ruota attorno a un percorso di filiera, dall’uso dei materiali, al consumo delle risorse energetiche, alla produzione fino alla rete di distribuzione. Il settore del cacao è un esempio di prodotto glocale ed è una delle maggiori sfide da seguire: se da una parte le fave provengono dalla fascia tropicale del mondo (e che dunque necessitano di un modello di governance etico e più sostenibile), dall’altra si valorizzano i prodotti locali. Nel caso di Gobino, per esempio, la nocciola tonda gentile delle Langhe prodotta in Piemonte, con il latte della filiera alpina. Un discorso a parte (e che pesa non poco in questo settore) lo ha il packaging. Ormai, alla carta e al cartone (sui quali si punta con le certificazioni Fsc per le foreste gestite in modo responsabile), si associano plastica e alluminio (riciclabili al 100%). Dunque, non c’è solo il trasporto o l’energia dell’impresa a rendere il prodotto sostenibile. La sostenibilità, in fondo, la portiamo anche in tavola e la mettiamo nel piatto, ogni giorno. Dipende, però, da cosa si mangia.