«Si apre uno spazio d’azione notevole per le forze che per brevità chiameremo riformiste, ma le chiama anche a una responsabilità ancora maggiore verso il Paese: è dalla loro unità di intenti e riconoscibilità che dipende il successo di quella progettualità politica che è indispensabile per guidare il Paese verso la rinascita post pandemica, davvero analoga a quella del boom economico post bellico. Se falliranno, se falliremo, sarà sempre più concreta una prospettiva di decrescita e assistenzialismo…».
L’appello di queste personalità democratiche meriterebbe certamente un sostegno e un’adesione convinta. L’anomalia italiana, d’altronde, ha privato per un lungo tempo la democrazia di un soggetto politico, di una coalizione che sapesse integrare il pensiero aggiornato, “adatto i nostri tempi”, del riformismo, che è stata tanta parte dell’esperienza di partiti democratici che hanno saputo non soltanto far progredire il Paese ma anche interpretarne i bisogni e le aspettative, pur assumendo decisioni necessarie non sempre corroborate dal consenso popolare o di opinione.
Il maggioritario per sua natura è un sistema che rende a un tempo i governi numericamente più solidi e in teoria più stabili. In realtà in questi quasi trent’anni è successo tutto il contrario, una divisione manichea fra destra e sinistra fra blocchi disomogenei, in definitiva conservatori che hanno perpetuato il mantra della falsa rivoluzione del 1992/1994, dove l’arma del
golpismo giudiziario unito alla purificazione morale schiantò di botto l’area laica e socialista del Paese.
Un appello di questa natura, che suscita emozioni in situazioni di stagnazione e di crisi del sistema, deve tuttavia partire da forze reali che già dispongono nel Paese di un minimo di struttura organizzata. L’appello dei firmatari pone una questione che allo stato non è risolvibile con geometriche soluzioni di terza forza perché in Italia la prima, la seconda e la terza forza sono un insieme di debolezze e, in qualche caso, di ombre. Occorre per questa ragione, e con l’urgenza che si richiede, un dibattito europeo perché la nostra debolezza è tutta interna a una debolezza delle forze politiche tradizionali europee.
Segmentare progressivamente le forze che hanno dovuto allearsi con i movimenti populisti (e continuano a farlo), può certamente produrre un esodo di ceto politico, come indicato dai firmatari, tanto dal centrodestra di Forza Italia quanto dal Partito democratico; ma non produrrebbe nell’immediato il big-bang politico e programmatico che si richiede. La convergenza politica in questa fase di tutti i soggetti indicati è reale: il piano sanitario e la ristrutturazione della politica economica in mano a Mario Draghi, un keynesiano di ritorno, è certamente meglio che sapere il futuro immediato in mano inesperte e viziate dalla tentazione autoritaria.
Tuttavia, un grande disegno riformatore necessita di grandi forze nelle quali è salda non soltanto la cultura democratica ed europea ma anche il proprio legame con le culture e le forze europeiste prevalenti in Europa che restano quelle popolari e socialiste, alle quali viene richiesto un supplemento di riflessione programmatica e organizzativa.
Sono naturalmente per provare, per contribuire a un tentativo reale, per concorrere a un Epinay repubblicana perché credo che sia il compito di tutti coloro che esprimono le medesime sensibilità sulla fase politica e più in generale intendono reificare un sistema politico non solo ben ordinato ma che sappia emarginare le forze della reazione che hanno dominato per oltre un trentennio.
In questo la convergenza della cultura socialista e democratica è assicurata, purché siano chiari gli approdi e pur premettendo che in una fase convulsa, in definitiva, nuova e drammatica, le rotte possono anche essere sbagliate, ma nulla è più necessario di quel che viene evocato con intelligenza e generosità politica dagli estensori dell’appello.