Due anni dopo la lettera di Emmanuel Macron alle cittadine e ai cittadini europei sarà firmata dai presidenti del Parlamento europeo David Sassoli, dal Presidente del Consiglio dell’Unione António Costa e dalla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen una dichiarazione comune sulla Conferenza sul futuro dell’Europa (dell’Europa non della sola Unione europea n.d.r.) per costruire un’Europa più resiliente e impegnarsi per la democrazia con i cittadini.
A partire da quella firma, le istituzioni potranno iniziare a costituire un comitato esecutivo che avrà responsabilità soprattutto organizzative con il compito di far funzionare l’insieme dei lavori di una Conferenza di cui resta ancora avvolta nelle nebbie la questione centrale relativa al modo in cui dovranno essere garantiti il governo democratico dell’Unione, la sua capacità di decidere e il suo spazio di azione a beneficio dei cittadini europei.
Non sappiamo ancora se sarà mantenuta la data simbolica del 9 maggio 2021, che è scomparsa nelle ultime versioni della dichiarazione comune, ma sappiamo che – rispettando la volontà del Presidente francese – la Conferenza dovrà concludersi entro la primavera del 2022 e cioè con il Consiglio europeo del 24 e 25 marzo 2022 durante il semestre di presidenza francese del Consiglio dell’Unione europea in modo tale da inserire i risultati della Conferenza nella campagna per l’elezione del Presidente dell’Esagono il cui primo turno dovrebbe aver luogo entro la fine di aprile del prossimo anno.
Torneremo nelle prossime settimane sulle modalità di lavoro della Conferenza, sulla organizzazione degli eventi ai livelli locale, regionale, nazionale ed europeo e sulla preparazione delle plenarie attirando l’attenzione delle nostre lettrici e dei nostri lettori su tre rischi di manipolazione della democrazia partecipativa.
Occorre evitare che il dialogo (aperto, trasparente e regolare, dice l’articolo 11 del Trattato sull’Unione europea) fra le istituzioni e le associazioni rappresentative sia rinchiuso nella “bolla” di Bruxelles sapendo che, al contrario dei partner sociali, esistono molteplici reti della società civile e che dunque non è accettabile l’idea che nelle due sessioni plenarie siano accolti su uno strapuntino due osservatori di una ipotetica e per ora inesistente federazione o confederazione delle società civili europee;
Occorre evitare la nazionalizzazione del dibattito sul futuro dell’Europa o la sua riduzione a quattro spazi di dialogo: nella “bolla” di Bruxelles e nelle capitali dei paesi che assumono la presidenza di turno fino alla primavera 2022 (Portogallo, Slovenia e Francia). Noi abbiamo proposto invece l’organizzazione di agorà tematiche e transnazionali che saranno facilitate dalle modalità delle DAD (dibattiti a distanza) che si sono sviluppate durante la pandemia;
Occorre evitare di trasformare la democrazia partecipativa in una “lotteria” della democrazia respingendo al mittente o ai mittenti l’idea grottesca di un’estrazione a sorte delle cittadine e dei cittadini da consultare.
Sgombriamo poi il campo dall’illusione dei governi e delle diplomazie nazionali secondo cui le modalità che regolano le riunioni del Consiglio europeo, del Consiglio e dei suoi comitati (non trasparenza e principio del consenso e cioè decisioni all’unanimità) possano essere applicate al comitato esecutivo e alle strutture della Conferenza coinvolgendo tutte le sue componenti provenienti da diverse culture politiche.
Inevitabilmente, gli orientamenti che saranno espressi dalle società civili e dai parlamentari nazionali ed europei in vista di un rapporto finale fondato su posizioni contrapposte tenderanno a concentrarsi all’interno di un’area di innovatori e un’area di immobilisti rompendo il vincolo del principio del consenso che il Consiglio ha voluto imporre nella dichiarazione comune.
Venendo alla sostanza dei temi che saranno sottoposti alle discussioni nella Conferenza, è stata accantonata la pretesa del Consiglio di limitare il mandato al “passato dell’Unione europea” e cioè alla “agenda strategica” adottata dal Consiglio europeo nel giugno 2019 estendendo le riflessioni alle priorità della Commissione europea 2019-2024 e soprattutto alle sfide nate con la pandemia dal COVID-19.
La dichiarazione comune declina undici obiettivi il cui raggiungimento dovrebbe disegnare il futuro dell’Europa (la salute, la lotta al cambiamento climatico, la difesa dell’ambiente, l’economia al servizio dei cittadini, l’equità sociale, la parità e la solidarietà intergenerazionale, la trasformazione digitale, l’Europa come attore planetario, la sicurezza, i diritti e lo Stato di diritto, i flussi migratori) ma sottolinea soprattutto che il raggiungimento di questi obiettivi è legato alle basi democratiche dell’Unione, al rafforzamento delle funzioni di governo, alla trasparenza e a una riflessione sulle aree dove l’Unione europea ha competenza per agire e dove la sua azione andrà a beneficio delle cittadine e dei cittadini.
È certo che alcuni obiettivi possono essere raggiunti già durante questa legislatura applicando le regole e i principi del Trattato laddove essi sono stati colpevolmente dimenticati (pensiamo al rispetto della Carta dei diritti che è giudicata dalla dottrina superiore al Trattato, al principio della non-discriminazione, alla clausola sociale orizzontale, ai servizi di interesse generale non solo economici, alla solidarietà, all’eliminazione delle disparità legislative, regolamentari e amministrative fra Stati membri che provocano distorsioni nelle condizioni di concorrenza nel mercato interno, alla cooperazione amministrativa o all’adozione di disposizioni necessarie al raggiungimento di obiettivi per i quali il Trattato non ha previsto uno specifico potere d’azione).
È altrettanto evidente che la Conferenza dovrà discutere, nella prima parte dei suoi lavori, se il sistema di ripartizione delle competenze, di attribuzione dei poteri alle istituzioni nonché della loro composizione e delle modalità decisionali così come sono stati ridefiniti più di tredici anni fa quando fu firmato il Trattato di Lisbona garantiscono all’Unione europea una capacità d’azione adeguata a beneficio delle sue cittadine e dei suoi cittadini.
L’esperienza del processo di integrazione europea ha mostrato per un lungo periodo di tempo l’efficacia del “metodo dell’ingranaggio” (così fu definito da Jacques Delors il modello funzionalista) fino a quando è stato necessario raggiungere gli obiettivi indicati nei trattati di Roma, ma l’ingranaggio non ha più funzionato adeguatamente a partire dal momento in cui sono apparse nuove sfide che non erano state previste e che non erano prevedibili affinché fossero affrontate secondo la logica comunitaria.
Nel corso degli anni le spinte più innovative sono venute all’interno del sistema europeo e per ragioni e aree diverse dalle tre istituzioni di natura federale: la Corte di Giustizia, il Parlamento europeo e la Banca Centrale Europea. Da queste riflessioni dovranno partire gli innovatori se vorranno impegnarsi per la democrazia con le cittadine e i cittadini e costruire un’Europa più resiliente.
*Pier Virgilio Dastoli è il presidente del Movimento Europeo – Italia