La zattera di GiuseppiPer tornare a Palazzo Chigi l’avvocato del popolo dovrebbe fare causa alla Storia

I grillini, travolti dal tornado Draghi, orbati del carisma “de quartiere” di Dibba e abbandonati da Carelli & C., sono così disperati da appellarsi al “Conte salvaci tu”. E ora lo statista di Volturara Appula sogna un grande ritorno sulle ali del voto popolare, alla guida di un qualche partito brancaleonesco

LaPresse

Devono essere proprio disperati, i grillini sopravvissuti al tornado-Draghi, per aggrapparsi alla zattera di Conte avvocato Giuseppe, «un uomo inquietante», lo ha definito il filosofo Biagio De Giovanni, «che ha accettato di guidare due governi di segno opposto senza battere ciglio», l’ex «punto di riferimento dei progressisti», che i progressisti medesimi (tranne Goffredo Bettini) hanno già bell’e dimenticato per dedicarsi al loro gioco preferito, il wrestling fra correnti interne.

D’altronde, la federazione Pd-M5s è una cosa che non sta in piedi nemmeno negli alambicchi degli statisti di largo del Nazareno. E che anzi, negli ultimi giorni, persino a Largo del Nazareno ormai pare per quel che è: una ridicolaggine. Mentre sta andando in soffitta persino l’alleanza strategica franceschinian-bettiniana che nell’èra Draghi stonerebbe come una pattumiera in mezzo a una galleria del Louvre.

Ma Beppe Grillo no, lui l’avvocato non l’ha dimenticato. Essendo il più scaltro di tutti, il comico ha capito che i personaggi rimasti nel Movimento esprimono una forza politica pari a zero. Guardiamo la foto di ieri all’hotel Forum, il Raphaël di Grillo: Di Maio – e vabbè – e poi Crimi, Fico, Fraccaro, Crippa, Licheri, Bonafede, Taverna. Una combriccola di compagni di scuola, per l’esattezza quelli che stavano agli ultimi banchi, molto casino e poco studio, tutti miracolati di vario conio uno più debole dell’altro: un minimo di dignità impone un’altra scelta. E non c’è dubbio che, a paragone di questi, Conte sia Giovanni Giolitti.

Dunque siamo al Conte salvaci tu, sorprendente esito di una crisi che ha portato via un Di Battista – personaggio carico di un carisma di quartiere ma sempre carisma – e ha suscitato un impazzimento collettivo che si sta consumando fra gli scissionisti de “L’alternativa c’è” (che, detta così, sembra un gruppetto neofascista degli anni Settanta), gente che si ricicla con Emilio Carelli, il primo a vedere la malaparata, personaggi che si rivolgono ai giudici per bloccare la propria espulsione, mentre la maggior parte mette da parte i soldi (altro che gli scontrini da consegnare!) per quando la festa sarà finita.
Però, un momento, c’è Conte, il coniglio tirato fuori dal cilindro tre anni fa e ritornato dopo un penoso pellegrinaggio fra destra e sinistra a fare il coniglio.

Detto che già c’è chi vorrebbe imbrigliarlo in un organo collettivo, chi non si fida, chi gli vuole fargli le scarpe, l’avvocato ha il compito di vincere una causa nientemeno contro la Storia, restituendo un senso a un partito che l’ha smarrito man mano che la politica si riappropriava del governo del Paese pur chiamando un esterno alla politica come Mario Draghi, contraddizione solo apparente di un sistema democratico che non ha ancora gettato la spugna, anzi, l’ha rigettata in faccia all’antipolitica.

Il suo “Tigellino” – come Augusto Minzolini chiama Rocco Casalino – lo ha spiegato: Conte vuole rientrare in politica con l’obiettivo di tornare a palazzo Chigi. Per questo ha preso il taxi M5s, per rimettersi alla scrivania in quella stanza dei bottoni nella quale non trovò i bottoni, proprio come confessò Pietro Nenni divenuto vicepresidente del Consiglio. Nella testa gli risuonano gli applausi dei dipendenti di Palazzo Chigi, peraltro equanimemente distribuiti fra i vari premier defenestrati, gli mancano Bruxelles e i convenevoli con Frau Angela e Monsieur Macron, i sondaggi mezzi fasulli sulla popolarità, le conferenze stampa con un’ora di ritardo, il dare ragione a tutti e a nessuno, fra ciuffo e pochette, insomma quel contismo fase suprema dell’uno vale l’altro, basta che serva a barcamenarsi nella palude del Potere.

Ed è quest’uomo che vorrebbe tornare a Palazzo Chigi con qualsivoglia maggioranza, però questa volta con una qualche spinta popolare. Ecco perché “Tigellino” è sicuro che l’avvocato finirà per mettersi alla testa di quella specie di armata Brancaleone che dovrebbe diventare una sorta di Partito Verde 2.0, espressione di un “populismo mignon” all’apparenza più impegnato sui Grandi Temi del Pianeta, una roba forse ampollosa com’è stata la cosiddetta lectio magistralis contiana a Firenze che altro non era che un’autodifesa in latinorum.

Purtroppo, il rientro mediante M5s sarà per Conte una strada stretta, scivolosa, avvolta nella nebbia di un trasformismo che potrebbe mangiare se stesso: che partito sarebbe, quello contian-grillino? Il partito dell’establishment o quello tardo-contestatore? Una formazione neo-verde o delle burocrazie roman-ministeriali? Più Alex Langer o più Remo Gaspari? Come al solito, né di centro, né di sinistra, né di destra, come dicevano i dittatorelli del Sudamerica 40 anni fa.

La verità è che quando si esce dalla politica è difficilissimo rientrarvi, specie nella posizione precedente. La gente dimentica in fretta, e guai poi a far affidamento sulla nostalgia che è nemica della politica per la semplice ragione che questa guarda sempre avanti, nel bene e nel male. «Non escludo il ritorno» poteva cantarlo Franco Califano, nella realtà della politica le cose sono molto diverse. Lasciamo pure perdere il Marx del 18 Brumaio, la trita citazione «la prima volta la Storia si manifesta come tragedia, la seconda come farsa», e ricordiamoci la scena più triste della storia del cinema, quella di Gloria Swanson in “Viale del tramonto”, quando lei, un tempo grande star, vecchia e ormai finita scende ancora una volta la scala del grande salone illudendosi di girare un magnifico film. Solo che era tutto finto.

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