Il cibo è nutrizione, e insieme uno strumento di lettura della società: molti dei pregiudizi sul rapporto tra le donne e il cibo (e il vino) sono la spia di un sessismo diffuso.
Si dice che le donne abbiano “gusti più delicati”, o che preferiscano “i vini fruttati”, o che “odino l’aglio”, e ancora, che quando sono al ristorante non debbano pagare, se accompagnate, e guai a essere affamate!
Se si tratta di lavoratrici del settore alimentare poi, le storie si moltiplicano: se si tratta di cuoche, sono considerate meno forti degli uomini. Se sommelier, meno esperte. Se bariste, è richiesta la bella presenza. Funziona anche al contrario: ci si aspetta che gli uomini a tavola siano carnivori e molto affamati.
Ma: questi sono dati di fatto o pregiudizi? Rispondono a realtà o sono affermazioni sessiste? E: davvero c’è qualcuno che crede che le donne bevano solo vini rosati? La realtà è che non esiste un palato femminile, non esiste un gusto femminile, non esiste una lingua femminile, perché non esiste un solo modo di rappresentare, raccontare, e indicare il corpo e la fame delle donne.
L’8 marzo parte l’iniziativa il #ilgustononhagenere, che rivendica lingue, corpi, fame e sete, chiedendo di condividere l’illustrazione simbolo dell’iniziativa sul proprio feed o nelle stories di Instagram, magari aggiungendo il racconto di quella volta in cui ci si è trovati ad affrontare un pregiudizio alimentare legato al proprio genere.
Cuoche Combattenti è un progetto di imprenditoria sociale di Palermo che ha come obiettivo l’emancipazione economica delle donne vittime di violenza di genere. Dalle marmellate ai biscotti, i prodotti vengono realizzati utilizzando materie prime a Km zero da coltivazioni biologiche e le loro “Etichette Antiviolenza” mirano a diffondere una conoscenza comune e condivisa per contrastare la violenza sulle donne, smontare gli stereotipi, rinforzare l’autostima e la libertà personale.
Le Cuoche Combattenti possono essere sostenute anche tramite l’acquisto di uno dei loro prodotti alimentari, l’obbiettivo è liberarsi dal sessismo partendo dall’attività più quotidiana che c’è: mangiare, e bere, a tavola, al ristorante, in occasioni conviviali, nei luoghi di lavoro.
Libere di mangiare, libere di bere, libere di scegliere.